Blitz antimafia in Sicilia, dagli atti emergono altre minacce a Paolo Borrometi
l nome di Paolo Borrometi sulla bocca di uno degli arrestati nell’ultimo blitz contro la mafia siciliana.
E’ uno degli spaccati più inquietanti che emergono dagli atti del decreto di fermo notificati poche ore fa dal Ros dei carabinieri a 23 indagati, a vario titolo, per associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, favoreggiamento personale, tentata estorsione ed altri reati aggravati, poiché commessi al fine di agevolare le attività delle associazioni mafiose del circondario.
I decreti di fermo sono stati emessi dalla Procura della Repubblica – Direzione distrettuale antimafia di Palermo. L’operazione è denominata “Xydi” arriva al termine di due anni di indagini condotte in diverse province siciliane. I capi si riunivano nello studio di un’avvocata di Canicattì, anch’ella arrestata. La professionista, che ha assunto la difesa di diversi mafiosi, era la compagna di un imprenditore già condannato per associazione mafiosa. Il suo studio era stato scelto come base logistica dei clan perché la legge limita le attività investigative negli uffici degli avvocati.
Gli inquirenti hanno accertato che la donna, Angela Porcello, 50 anni, compagna di un indagato per reati di mafia, aveva assunto un ruolo di vertice in Cosa nostra organizzando i summit, svolgendo la funzione di consigliera, suggeritrice e ispiratrice di molte attività del sodalizio criminale. Rassicurati dall’avvocato sulla impossibilità di effettuare intercettazioni nel suo studio, i capi dei mandamenti di Canicattì, della famiglia di Ravanusa, Favara e Licata, un ex fedelissimo del boss Bernardo Provenzano di Villabate e il nuovo capo della Stidda si ritrovavano secondo le indagini nello studio, per discutere di affari e vicende legate a Cosa nostra.
In questo scenario Simone Castello, ritenuto uno degli uomini d’onore del gruppo, parlava con Giancarlo Buggea, rappresentante del capomafia agrigentino Giuseppe Falsone: “Ce ne sono articoli, questo qui, Borrometi, questo che è scortato – diceva Castello – a parte il libro che ha fatto, ha fatto un post, pubblicato su La Sicilia di Catania, e vuole fare un film, vuole farlo su di me a quanto pare…”. E ribadisce: “Siccome ha fatto prima il libro ora mira a fare il film tipo Saviano… e io sono stato pure dall’avvocato… dice ‘che dobbiamo fare?’. Che dobbiamo fare? Ho detto: ‘però teniamo presente…’. Dice “perché, vede, se ci fai una querela e il pubblico ministero l’archivia, non ce lo leviamo più di sopra’. No – gli ho detto – io non devo fare niente… vediamo gli eventi come vanno. ‘però teniamo presente…’”.
Per chi indaga, l’esigenza di Castello “era di mantenere un profilo sempre basso, quello dell’inabissamento che aveva rappresentato per il suo mentore, Bernardo Provenzano una regola di vita”. E che una simile vicenda non riguardasse soltanto il singolo associato bersaglio delle inchieste giornalistiche, “ma coinvolgeva le necessità dell’intera associazione di rimanere invisibile rispetto alle possibili iniziative investigative che talvolta conseguono alle inchieste, si intuiva chiaramente nella decisione di Castello di richiedere ospitalità in altri paesi siciliani presso altre famiglie mafiose – quale quella capeggiata da Buggea – che dal canto loro si mostravano senza tentennamenti pronti a fornire protezione e assistenza logistica”.
Al Presidente di Articolo 21 Paolo Borrometi va la solidarietà di Articolo 21, mentre la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, con una nota a firma del Presidente, Giuseppe Giulietti e del segretario Raffaele Lorusso ha chiesto che la Commissione Antimafia acquisisca gli atti di questa indagine.
Giovedì 4 febbraio intanto Paolo Borrometi e i vertici della Fnsi saranno sentiti in audizione presso il Comitato sui cronisti minacciati della stessa commissione. “Le frasi su Borrometi e sull’ostacolo rappresentato dalle scorte è un passaggio che inquieta – dice la nota della Fnsi – e che ribadisce come la mafia tenga sotto osservazione i giornalisti sotto tutela, ciò purtroppo smentisce chi con leggerezza parla delle scorte ai giornalisti come una forma di privilegio”.
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Minacce a Borrometi, appello bis sul metodo mafioso per De Carolis. Altre inquietanti manovre contro il cronista
La Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza del 2019 con cui i giudici di Catania fissarono la pena per l’imputato, accusato di tentata violenza privata, in 2 anni, 4 mesi e 20 giorni, senza riconoscere l’aggravante. Emergono intanto nuove “attenzioni” rivolte al giornalista da esponenti della criminalità siciliana.
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