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‘Ndrangheta, finita la latitanza di Rocco Morabito

Donatella D'Acapito il . Mafie

arresto-morabitoHa provato a dire che non era lui, ma poi si è arreso e ha seguito gli agenti senza opporre resistenza. Così, sabato scorso, è finita la latitanza del boss di ‘ndrangheta Rocco Morabito, catturato in un albergo di Montevideo, in Uruguay. Con lui è stata arrestata anche la compagna, Paula Maria De Olivera Correia, angolana cinquantaquattrenne con passaporto portoghese.

Latitante da 23 anni e fra i primi cinque ricercati della lista del Viminale, Morabito deve scontare una pena definitiva a trent’anni di reclusione per associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti ed altri gravi reati. Su di lui pesa inoltre l’accusa di aver organizzato e gestito il traffico di cocaina dal Sudamerica verso Milano.

Nella sua casa di Punta del Este, una villa con piscina a circa 140km dalla capitale uruguayana, gli agenti hanno rivenuto 13 cellulari, una pistola, 12 carte di credito, 150mila dollari (fra contanti e assegni), due auto (una è una Mercedes) e 150 foto carnet pronte per essere usate su eventuali documenti.

E da circa dieci anni viveva in Uruguay come Francisco Antonio Capeletto Souza, di Rio de Janeiro, col vezzo di avere un anno meno di Rocco. Identità stampata su un documento brasiliano, autentico ma contraffatto, necessario per ottenere quelli uruguayani.

Ma chi è Rocco Morabito?

Sconosciuto ai più perché la pista bianca della droga sembra meno violenta di quella rossa del sangue, l’uomo è considerato il re milanese della cocaina. Nato nel comune reggino di Africo il 13 ottobre del 1966, feudo di Peppe ‘u Tiradritto, il boss lascia presto la Calabria per andare a fare affari all’ombra della Madonnina. Se ne va con quello strano soprannome cucito addosso, ‘u Tamunga, forse una cattiva pronuncia del Dkw Munga, un fuoristrada militare tedesco che si dice indistruttibile.

Nella “Milano da bere”, Morabito si confonde tra i giovani rampanti che frequentavano il Biffi di piazzale Baracca, oppure nei locali della Galleria o in quelli di piazza Diaz e perfino all’Ortomercato, dove arriva spesso la cocaina sudamericana importata dalla cosca e che, dal 1988 al 1994, è smistata da un gruppo a cui lo stesso Morabito appartiene come uomo di fiducia dello zio Domenico Antonio Mollica, altro pezzo da novanta della cosca africota. Proprio durante le indagini sul traffico di stupefacenti alcuni agenti sotto copertura incastrano ‘u Tamunga mentre paga 13 miliardi di lire per importare circa una tonnellata di droga.

Ricercato a seguito di quell’indagine, Morabito fa perdere le sue tracce nel 1995 e per farlo sceglie proprio il Sudamerica, dal Brasile all’Uruguay. Da lì avrebbe continuato a fare affari con gli stupefacenti, garantendo gli introiti alla famiglia. Una attività possibile grazie alla protezione dei cartelli del luogo e che sottolineerebbe la caratura criminale di Tamunga.

Nel Nuovo Continente, per tutti Morabito è un imprenditore impegnato nel settore dell’import-export e nella coltivazione intensiva dalla soia. Un imprenditore impegnato e col debole per il lusso tanto da scegliere di trovare casa nel quartiere Beverly Hills di Punta del Este.

“Rocco Morabito è un elemento di vertice nella ‘ndrangheta. È stato un protagonista di traffico internazionale di cocaina, tanto che ha riportato ben quattro condanne. La prima della Corte d’Appello di Milano per reati di associazione mafiosa, oltre che per vendita e distribuzione di stupefacenti, una seconda ancora per stupefacenti, un’altra condanna dalla Corte d’Appello di Palermo per traffico internazionale di stupefacenti e altre ancora a Reggio Calabria”, ha dichiarato all’Agi il Procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho.

“È un soggetto – ha proseguito Cafiero De Raho – legato a Giuseppe Morabito, detto “Tiradritto”, avendo la sorella sposato il fratello di quest’ultimo, quindi anche dal punto di vista delle parentele ci troviamo di fronte a soggetti dallo spessore talmente alto da potersi legare in matrimonio o per affinità con vertici apicali della ‘ndrangheta. Non abbiamo elementi per ritenere che continuasse da lì a gestire i traffici ma la sua collocazione, la latitanza, le numerose condanne, l’appartenenza a cosche di ‘ndrangheta, tutto questo fa certamente pensare ad attività criminose protratte nel tempo”.

Mentre si aspetta l’estradizione, accordata dalle autorità uruguayane, l’uomo è detenuto nel paese sudamericano per armi. Il suo avvocato, Alejandro Balbi, non fa che ripetere che la vita del suo assistito è quella di un uomo normale oltretutto estraneo ai fatti che gli vengono contestati.

Verrebbe da dire parole di un copione già visto.

‘Ndrangheta stragista: il patto fra i calabresi e Cosa nostra

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