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Trattativa Stato – mafia: la Bella e la Bestia

di Umberto Di Maggio il . L'analisi

“Pensa se l’Italia si svegliasse senza la Torre di Pisa”. Queste le parole del collaboratore di giustizia Gioacchino La Barbera che oggi ha deposto al processo sulla Trattativa Stato-mafia in corso a Palermo, riferendo di una discussione che Paolo Bellini, un eversore nero, ebbe con il boss Nino Gioè ai tempi delle stragi mafiose degli anni ’90. In quella frase la lucida follia di chi pensava di barattare preziose opere d’arte rubate in cambio di arresti ospedalieri.

Quando uno Stato democratico va sotto scacco e quando il pegno a questa difficile partita è la sua gente, la propria storia, il proprio patrimonio artistico è il segno che qualcosa sta andando proprio storto. E che qualcosa bisogna pur fare. Perché altrimenti la gente viene legittimata a pensare che in fin dei conti ce ne possiamo fregare sonoramente di monumenti, paesaggi, musei e quant’altro possa farci migliori. Quella stessa gente magari non si scandalizzerà a vivere nel degrado dei palazzoni di periferia. E non acquisterà libri, non andrà al cinema o al teatro. Afflitta dai problemi di sopravvivenza preferirà spendere il poco che ha in altro. E così non godrà delle emozioni che solo l’arte può regalare. E si impoverirà ancor di più cominciando addirittura a tifare per il welfare mafioso che risolve, seppur con insopportabili costi sociali, i problemi di chi non ce la fa.

Peppino Impastato diceva che bisognerebbe aiutare la gente a riconoscere la bellezza e quindi a difenderla. Ed aveva proprio ragione. Nella difficile partita contro le mafie, e lo sanno anche i sassi, la sfida più importante è senza dubbio quella culturale. Ed è chiaro che l’informazione, l’istruzione e la scuola giocano un ruolo decisivo. Eggià, la scuola. La scuola che è uno spazio di democrazia, una palestra di civiltà che è anche frequentata dai figli di mafia che bisogna, attraverso un’educazione civile, “scippare e confiscare” al consenso criminale. Ma purtroppo la scuola è vilipesa, offesa, calpestata ed è ancora terra di nessuno.

Ma torniamo agli eversori ed ai mafiosi di cui sopra ed alla loro spietata cattiveria. Io ce li vedo pentiti di quelle loro pazze idee. Chiamiamolo pure “dovere dell’ottimismo” ma spero che un giorno questi possano incontrare fisicamente i Pubblici Ministeri come Di Matteo, Tartaglia, Del Bene e Teresi che oggi stanno nonostante le pesanti minacce di Riina & Co istruendo il Processo sulla Trattativa.

Spero anche possano guardare in faccia i familiari delle vittime di quelle stragi mafiose e toccare il loro dolore. Li immagino commossi davanti ad un bel tramonto o immersi nella straripante forza di un panorama artistico di una qualsiasi nostra città e per questo pentiti di quella cattiveria che ha armato i loro gesti. E vedo anche, alla fine del tunnel, un’Italia che si è salvata da tutti i suoi mostri grazie anche alla sua bellezza.

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Umberto Di Maggio

Umberto Di Maggio nasce a Palermo durante le stragi di mafia degli anni '80. Cresce nei vicoli della periferia, nel meticciato del Mediterraneo, mentre la città viveva la sua Primavera. Fugge rabbioso nel Continente per trovare la desiderata pace. Il sogno di un terra libera, invece, lo rimette in viaggio verso Itaca. Oggi, felice, coordina "Libera - associazioni, nomi e numeri contro le mafie" nell'Isola. Diritti, libertà, democrazia sono per lui il pensiero plurale di una Sicilia emancipata dall'infame peso di mafie e corruzione. Sociologo, è autore di “Siciliani si diventa”, un racconto che denuncia i traffici delle mafie internazionali nel mediterraneo. Sostiene Libera Informazione perché Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Peppino Impastato, Mauro Francese, Giuseppe Fava, Giancarlo Siani, Mauro Rostagno, Beppe Alfano sono giornalisti uccisi delle mafie. Nella loro memoria il mio (ed il nostro) impegno.

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