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Carta vetrata. L’antimafia che va di moda, l’antimafia in movimento

di Ludovica Ioppolo il . L'analisi, Sicilia

«I piedi scottano. Anzi. La sabbia scotta. I piedi bruciano. Li strofino sulla sabbia umida. L’acqua li bagna appena. Mi fanno sempre più male. Strizzo di nuovo gli occhi. Il sole mi acceca. Strofino ancora i piedi. Più li strofino, più mi bruciano. Guardo in basso. Al posto della sabbia c’è un tappeto di carta. Pagine di giornali distese per tutta la lunghezza della riva. Mi volto. Non c’è più la sabbia. Non c’è più il lido. Niente lettini. Nessun ombrellone. Al posto della musica di sottofondo il ticchettare sulle tastiere dei computer, lo squillo continuo di telefoni. Quelli della redazione. Il vociare tipico delle ore più concitate. […] Sono in mezzo al niente. C’è del sangue, intorno a me. Strisciate di sangue. Non mi sento più i piedi, da quanto mi fanno male. Mi accascio. Guardo meglio. Sono le piante dei miei piedi a sanguinare. Non erano giornali, quelli sui quali correvo. Era carta vetrata. Un deserto di carta vetrata.»

Un giornalista. Un’intimidazione. Reggio Calabria. Ci sono tutti gli ingredienti per la costruzione narrativa di un eroe nazionale.   «L’antimafia fa figo. Deve averlo detto qualcuno, ultimamente. Tutti parlano di legalità. Tutti si riempiono la bocca di lotta alla criminalità organizzata». Lo diciamo da tempo: l’antimafia è straordinariamente in voga. E se certamente è positivo che i fatti di criminalità organizzata e le storie antimafia non siano più nascosti, ma ricevano un’attenzione mediatica importante, d’altro canto desta sempre più preoccupazione il timbro narrativo eccessivamente artificioso e retorico con cui mafia e antimafia vengono presentati: la costruzione epica di eroi negativi e miti positivi non aiuta, anzi danneggia fortemente, sia un’analisi corretta del fenomeno sia l’allargamento di una responsabilità collettiva. Nelle ultime settimane si è acceso su questi e altri temi un dibattito importante nel movimento antimafia e non solo. Per questo motivo non c’è momento migliore per leggere il nuovo romanzo di Paola Bottero, Carta vetrata, Sabbia Rossa Edizioni.

Le parole lasciano una sensazione tattile, sembra di sentirla sulla pelle. La carta vetrata provoca escoriazioni, fa male. Ma a volte è necessaria per pulire, per togliere via ciò che è di troppo. Le pagine del libro scorrono velocissime, la narrazione avvincente sembra quasi un racconto antropologico: il lettore viene strattonato e portato di peso nel mondo patinato e costruito dell’informazione, partendo da una Reggio Calabria che vuole essere esclusiva a tutti i costi, per arrivare alla Roma mondana di mammaRai e Cinecittà. I personaggi sono dipinti tra chiari e scuri, impossibile non odiarli, tutti e tutte, o quasi. Altrettanto impossibile però non ritrovarsi istintivamente a comprendere le emozioni e gli istinti che li muovono. Emerge una umanità che noi anime belle rifiutiamo spesso di vedere e accettare, ma con cui è necessario fare i conti, nella quale dobbiamo imparare forse a ri-conoscerci, per costruire basi più solide per i nostri ideali – parecchio malandati – di libertà e giustizia.   «Io non so cosa sia la felicità. Un tempo pensavo che fosse avere ciò che si voleva. Bei vestiti, belle macchine, bei ristoranti, bella gente da frequentare. Ho passato anni a studiare il modo di avvicinarmi a quel bello che guardavo da fuori, senza percepirne bene i contorni. […] Poi sono arrivato qui. Catapultato nel bello di tutti i belli. I più bei ristoranti. Le più belle macchine. I più bei vestiti. Le più belle feste. La più bella gente. E l’ho annusata, la felicità. Ho capito che poteva essere mia. Dovevo semplicemente, non farla scappare. Catturarla e metterla in gabbia per sempre.»   L’umanità narrata dall’autrice cerca di sfamarsi di vanità e vacuità. Il consumo e il debito sono nel romanzo gli strumenti di una felicità apparente quanto effimera. E nel vano tentativo di ingabbiare l’effimero, quelli che credevamo solo mezzi diventano fini, e le nostre vite consumate e usurate. Forse è proprio da questo che dovremmo ripartire. Dai codici simbolici e le culture complici che ci rendono così funzionali al fenomeno mafioso, per definire una nuova umanità che ci identifichi in positivo e non per essere esclusivamente anti. Per affrontare i problemi senza negarli. Scartavetrare e poi metter via le scorie e i detriti. E ricominciare, più forti di prima.   Infine, la storia del giornalista Demetrio Romeo potrebbe essere ambientata in qualsiasi altro luogo e non perderebbe il potere di denuncia nei confronti del mondo dell’informazione e della società dell’apparenza. Ma la Calabria non è un luogo qualsiasi e questo fa la differenza.

La Calabria e la ‘ndrangheta sono oggi sotto i riflettori come mai era accaduto prima in Italia e nel mondo. Certamente ci sono responsabilità pesanti da parte dei media mainstream nella spettacolarizzazione della lotta alla mafia. Non parliamo nemmeno dell’insufficienza di politica e istituzioni. Forse lo stesso movimento antimafia – a livello locale così come a livello nazionale – è ancora troppo immaturo per gestire questa sovraesposizione. Carta vetrata rappresenta però la nostra buona notizia di fine anno: i lavori tutti importanti di Sabbia Rossa Edizioni, le bellissime puntate radiofoniche di Ossi di Seppia, il progetto Musica Contro le mafie, così come lo straordinario film Il Sud è niente di Fabio Mollo – e tanto tanto altro ancora – sono il segno di una Calabria che forse non è ancora pronta, ma di sicuro si è messa in moto. Sta a noi non stare semplicemente a guardare, ma metterci tutti in movimento.

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Ludovica Ioppolo

Ludovica Ioppolo è ricercatrice e sociologa, si occupa di formazione, università e ricerca per Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie

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