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Processo Minotauro, in Piemonte la ‘ndrangheta c’è

di Santo Della Volpe il . L'analisi, Piemonte

Attesa,ma passata quasi inosservata, la sentenza del processo denominato “minotauro” , a Torino, ha invece una grande importanza. Solo che avendo confermato l’ipotesi dell’accusa,avendo rivelato che quella maxi operazione di polizia con 146 arresti del giugno del 2011, non era campata per aria ma aveva una  solidità d’inchiesta, ha interessato poco  l’informazione. E se invece di 36 condanne,piuttosto pesanti (e 38 assoluzioni  solo per reati connessi) avesse sancito tutte assoluzioni, sarebbe diventato un caso nazionale.

Segno dei tempi? Forse, più che altro segno di una incapacità di andare fino in fondo  nell’informazione nazionale, quando  nell’inchiesta c’è “solo” un ex-sindaco di un paesino come Leinì,nel torinese,invece di qualche grosso nome politico.  Invece la sentenza emessa a Torino il 22 novembre scorso,  segna un salto di qualità importante nella lotta alle  mafie al Nord.  Perché riconosce, condannando tutti (tranne uno) i capi bastone delle famiglie della ‘ndrangheta in Piemonte, che le infiltrazioni mafiose in quella regione sono diventate  stabili e continuative nel tempo, negli affari e nei giochi di potere nelle quali sono infilate. Sia in politica che nell’economia. In secondo luogo la sentenza di condanna per quei 36 capi clan a pene che vanno dai 21 anni e 6 mesi sino ai 10 anni di carcere, sono state inflitte per il 416bis, cioè per l’ ”associazione  a delinquere di stampo mafioso”  , riconoscendo così che erano vere le rivelazioni di uno dei pochi pentiti della ‘Ndrangheta, Rocco Varacalli ,che aveva consentito il processo ai 75 imputati del processo.

Dei grandi imputati solo uno è sfuggito alla condanna, con una assoluzione, sulle cui modalità sarà importante aspettare le motivazioni della sentenza: si tratta di Rosario Marando, fratello di uno dei più grandi narcotrafficanti mondiali di cocaina ,di stanza a Leini. Personaggio quest’ultimo di levatura internazionale nel mondo del crimine che indica quanto sia diventata potente la ‘ndrangheta che ormai commercia cocaina direttamente con i boss colombiani, avendo preso in mano il commercio su base mondiale, anche se lo dirigono da piccoli paesi della Calabria come del Piemonte.  Infine la sentenza è importante perché attesta l’intreccio tra parti del potere politico e le cosche, come aveva sostenuto nella requisitoria il procuratore capo Giancarlo Caselli. La sentenza ha infatti condannato a dieci anni di carcere Nevio Coral,  esponente del Pdl del Piemonte  ed ex sindaco di Leinì, nel Torinese , comune sciolto per mafia.

Condannato poi  a due anni il segretario comunale di Rivarolo Canavese, Antonino Battaglia. Uomini in gangli vitani della politica e quindi degli affari a questa connessa nel territorio dell’hinterland torinese, là dove  l’economia gira spesso intorno agli appalti, alle commesse, ai lavori connessi con la politica. Che a sua volta si alimenta dei voti che da questi scambi arrivano ai candidati vicini ai boss. Non a caso nel processo Minotauro una delle condanne più forti e significative è stata emessa per  Salvatore De Masi detto Giorgio, l’uomo che nelle carte risulta in contatto con molti esponenti della politica torinese,   condannato a 14 anni (di cui tre in libertà vigilata).  La condanna più alta è per Vincenzo Argirò,  21 anni e sei mesi: un vero boss, quello che, secondo l’inchiesta della Procura di Torino, guidava il braccio armato mafioso nella spessa ramificazione della ‘ndrangheta in Piemonte, direttamente in contatto con i boss della Calabria.

“La ‘ndrangheta esiste – aveva dichiarato il procuratore capo Gian Carlo Caselli, durante la requisitoria in aula svolta prima dell’estate -. Il lato osceno della ‘ndrangheta c’è, nel senso che opera fuori scena. Per combatterla c’è bisogno dell’intervento di tutti”. Secondo molte delle difese, l’accusa non sarebbe riuscita a dimostrare altro se non che esistono dei gruppi di calabresi in vari paesi piemontesi, a cui piacerebbe ritrovarsi insieme per pranzi e cene. Smentiti, almeno con questa sentenza di primo grado che ora  andrà in Appello: ma ci andrà con la forza di una inchiesta  corroborata da una sentenza arrivata dopo un lungo processo e ben 8 ore di Camera di Consiglio.

E si tratta di sentenza forte anche perché dimostra che le mafie al Nord si possono sconfiggere quando le istituzioni, le associazioni ,la politica e la magistratura formano un fronte unito, dove il senso comune della legalità prevale e mette all’angolo la criminalità organizzata, sino agli arresti. Affermare la legalità significa costruire questo percorso, ,partendo dalla società che toglie ossigeno alle organizzazioni mafiose, sino alle forze di polizia e magistratura che fanno tesoro delle indagini per battere le mafie. Al Nord è difficile come al Sud, Ma questa sentenza dice che “si può fare”, anche se pochi se ne sono accorti, soprattutto nelle tv nazionali.

Se ne è invece ben accorta la neo presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, on. Rosy Bindi:”E’ un risultato di grande rilievo nella battaglia contro le mafie. Se da un lato si conferma la presenza della ‘ndrangheta anche nelle regioni più sviluppate del paese e la sua capacità di condizionamento della politica e dell’economia locale, dall’altro – ha spiegato il presidente della commissione antimafia – si dimostra  l’efficacia dell’azione di contrasto della magistratura e delle forze dell’ordine e la determinazione dello Stato e della società civile a fronteggiare i poteri criminali”.

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