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Mentre l’orchestrina suonava «Gelosia»

Di Lorenzo Frigerio il . Recensioni

Sono tanti i compiti che, lasciandoci, il nostro Roberto Morrione ci ha affidato: sono compiti non semplici da gestire, vista la nostra assoluta impossibilità di avvicinarci, anche solo per approssimazione, alle sue straordinarie capacità umane e professionali. Tra questi compiti riusciamo ora a mantenere fede ad una promessa fatta a suo tempo: si tratta di un impegno preso con un valido collega che ha recentemente pubblicato un felice affresco di una stagione, forse irripetibile per il giornalismo italiano, ma in grado, ancora oggi al solo ricordo, di scuotere le coscienze e suscitare passione per la vita. 

Il collega in questione è Antonio Roccuzzo e Roberto avrebbe dovuto commentare il suo ultimo libro per Libera Informazione: «Mentre l’orchestrina suonava Gelosia» edito da Mondadori. “Mi raccomando – ci disse in quegli ultimi giorni e con un filo di voce – ricordatevi di recensire il libro di Roccuzzo!”. Ora tocca quindi a noi: scusandoci con l’autore e con la speranza di non fare troppi danni, vi invitiamo a leggere il bel libro perché ne vale davvero la pena, in un momento in cui il panorama editoriale è soffocato da una pletora di volumi di cui se ne farebbe volentieri a meno. 
Dalla lettura delle intriganti pagine, che si scorrono tutte d’un fiato, ci viene restituita l’esperienza del gruppo dei “carusi” di Pippo Fava, una batteria di giovani giornalisti che dopo i travagliati trascorsi al “Giornale del Sud” seguirono il loro coraggioso direttore nella straordinaria avventura de “I siciliani”, il periodico di battaglia che da Catania seppe portare a livello nazionale l’impegno per un giornalismo al servizio dei lettori e contro ogni forma di violenza e di sopraffazione, da quella, più animale, del crimine organizzato – all’epoca la vulgata ufficiale sosteneva che la mafia nel capoluogo etneo non c’era – a quella, più subdola, della politica corrotta. Roccuzzo racconta il suo esordio nel mondo giornalistico, poco più che ventenne, proprio a partire dal titolo del suo primo articolo, che ora campeggia sulla copertina del libro: una pennellata immaginifica, ma soprattutto immaginaria, che il direttore Fava impose a quel primo pezzo, riscrivendolo quasi per intero e dando un tono avvincente a quella che Camilleri oggi chiamerebbe “un’ammazzatina” in pieno centro storico di Catania. 
La leggerezza e la densità: due concetti apparentemente contrastanti ma che forse costituiscono la cifra umana e professionale di Pippo Fava, così come ci viene restituito anche dal racconto di Antonio Roccuzzo. L’autore, il figlio del direttore, Claudio, Riccardo Orioles, Michele Gambino e altri giovani furono la redazione storica dell’ultimo periodo giornalistico di Fava, il periodo in cui la cultura e l’amore per la vita che lo animavano dovettero fare i conti con le insidie della mafia e dei suoi complici. Non ci fu mai un passo indietro, un cedimento di fronte alle minacce e alle profferte, ma al contrario tante denunce e inchieste giornalistiche che, per la loro importanza, ancora oggi sono pagine che andrebbero lette nelle università e nelle scuole di giornalismo. 
L’indipendenza, dichiarata in ogni in ogni scritto e in ogni occasione ma soprattutto tradotta in parola e azione: questo il motivo che scatenò l’ira dei criminali, dei violenti e dei corrotti. Fava e i suoi non scesero mai a patti con il quieto vivere, con il buon nome della città, con il rispetto delle convenzioni e scelsero di “dire alla gente ciò che la gente non vorrebbe sentirsi dire”, secondo la ben nota definizione della libertà di stampa che è contenuta nell’aforisma di George Orwell. Pagine poco edificanti per la classe politica e l’elite culturale di una città come Catania, che costrinsero ai margini Fava e i suoi, sono altrettanto esemplificative di quelle dedicate ai delitti e ai traffici mafiosi, perché offrono, in presa diretta, lo spaccato di un sistema criminale che da quasi due secoli ormai, nelle sue diverse forme e denominazioni, costringe il nostro Paese a misurarsi con una crisi etica che mina le basi stesse della convivenza civile. Riandare con la mente e la scrittura a quegli anni in cui raccontava Catania e i suoi meandri è per Roccuzzo fare anche i conti con l’eredità consegnata da “I siciliani” al giornalismo italiano e ai suoi lettori, che sono anche cittadini di questo paese. 
Di un giornale così oggi ne avremmo ancora bisogno? Forse sì, forse no. La domanda da farsi non è questa, ma piuttosto serve interrogarsi sulla voglia e la capacità del giornalismo nostrano di essere “cane da guardia” contro ogni forma di prevaricazione, da qualsiasi direzione provenga. Anche quando il fuoco è amico e non ce lo si aspetterebbe. Anche quando fa più male. Nel libro di Roccuzzo si racconta l’inevitabile appuntamento con la morte di Fava; un appuntamento temuto, non cercato e vissuto con grande dignità. Strano che lo stesso, fatte le dovute distinzioni ci mancherebbe, si possa dire per gli ultimi giorni del nostro direttore. Leggere quelle pagine in quei giorni del distacco ha avuto l’effetto inaspettato di un balsamo.

Antonio Roccuzzo

MENTRE L’ORCHESTRINA SUONAVA «GELOSIA»

Crescere e ribellarsi in una tranquilla città di mafia

Mondadori, Milano 2011

pp. 180 € 17,50 

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