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Caro Paolo, da vecchio amico, un solo consiglio: quello di ascoltare il Paese

Di Roberto Morrione il . L'analisi

E’ troppo complessa la situazione politica e aziendale in cui si
inseriscono le vicende della Rai per dare un valore assoluto alla
nomina del Presidente, come peraltro a quella del Direttore Generale,
di cui si conosce già la designazione nel  Consiglio di amministrazione
figlio della stretta lottizzazione partitica. Sarà ancora decisiva
l’anomalia del permanere della legge Gasparri, su misura delle esigenze
televisive e pubblicitarie dell’impero mediatico del premier
Berlusconi, con il sempre incombente conflitto d’interessi. E morde
anche in Rai la crisi economica, che colpisce  duramente l’editoria,
con un peso nelle dinamiche del mercato audiovisivo, nello sviluppo
tecnologico, nei rapporti sul satellitare e sul digitale con i
competitori Mediaset e Sky. Da tutto ciò infine verranno le scelte di
programmazione e di modelli produttivi che il Servizio Pubblico
proietterà sugli ascoltatori, oggi condizionati da un palinsesto e da
un’informazione che hanno  contribuito non poco ad alimentare quella
deriva culturale, quel disorientamento del costume, dei modelli di vita
e di consumo, quella percezione spesso falsa e deviata di molti aspetti
della realtà che segnano oggi il  Paese.
E’ con tutto questo che
dovrà misurarsi Paolo Garimberti. Il mio contributo personale  di un
anno di stretto lavoro al suo fianco nella direzione del TG 2, fra il
’93 e il ’94, mi dice che la sua scelta, voluta da Franceschini, è
felice e oggi inattaccabile.
Garimberti mi chiamò mentre ero
ancora al TG 3, reduce da una sfortunata “tornata” di nomine da parte
della Rai dei “professori” che mi aveva escluso da incarichi di
direzione perché di “area  comunista”, come attestò Paolo Murialdi in
un suo libro. Accettai di buon grado l’offerta di Garimberti, in un
colloquio a tu per tu nel bar centrale di Saxa Rubra, perché credevo
nella novità di ricostruire un TG dissestato e diventato agli occhi del
pubblico un’emanazione del Partito Socialista di Bettino Craxi, perché
al TG 3 di Curzi avevo conosciuto Paolo come un bravissimo esperto di
politica estera. Mi affascinava il suo intendimento di portare nel TG 2
il vento del cambiamento, criteri di indipendenza, innovazione nel
linguaggio. L’ostacolo delle mie idee politiche – mi disse – non lo
spaventava, perchè mi considerava una persona libera e non ne doveva
rendere conto ad alcuno, fatto di per sè apprezzabile. Completavo così
i suoi vice-direttori, con un criterio peraltro anche politicamente
equilibrato, affiancandomi al bravissimo Franco Alfano, vicino all’area
culturale democristiana, di lontane origini a destra e all’ottimo
Filippo Anastasi, di posizioni liberal-repubblicane. Paolo si rivelava
così indipendente, ma anche non sprovveduto rispetto alle dialettiche
delle “aree” politico-aziendali.
Con Paolo facemmo squadra sul
versante di un difficile cambiamento interno, in una redazione
demoralizzata,  ricca di eccellenti giornalisti e di passione per il
mestiere, ma che portava i segni di una guerra civile strisciante  in
casa socialista, che aveva diviso per anni i giornalisti in “buoni” e
“cattivi” sulla base della fedeltà e della disponibilità al craxismo
imperante. Erano tuttavia forti le nostalgie per la stagione originaria
del TG 2 di Barbato, Zatterin, Ghirelli, la Testata delle inchieste e
dell’impegno civile . E’ anche facendo leva su questo orgoglio, che la
direzione di Garimberti  seppe rilanciare la Testata, rimotivando la
redazione, rimettendo in campo idee e professionalità.
Come quella
divisione-base del notiziario della sera, già penalizzato dalla
collocazione oraria, fra le news generaliste e una seconda parte che
approfondiva con più contributi i temi attuali e scottanti. Una scelta
che si rivelò vincente, perché riportò rapidamente l’indice degli
ascoltatori sopra il 20% di audience, facendo spesso notizia anche per
la carta stampata. Paolo si rivelò davvero un giornalista di razza,
autonomo verso il vertice aziendale, peraltro con i “professori” che
non intervennero mai sulle scelte editoriali, tetragono alle pressioni
dei partiti, attento ai consigli dei collaboratori. Lo aiutammo, devo
dire, soprattutto agli inizi, quando si presentò come un decisionista
che intendeva mettere pesantemente ordine nella redazione, forte di una
cultura da lui ritenuta diversa, quasi sacerdotale, propria del
giornalismo di stampo anglosassone nel quale credeva (e fortunatamente
crede ancora) ma che poteva essere interpretata come una
auto-referenzialità autoritaria psicologicamente fuori posto. I
vice-direttori gli furono vicini nello smussare gli angoli e nel
chiarire ai colleghi che da quella visione professionale il TG 2 non
aveva che da guadagnare, calandola nella nuova missione ma rispettando
personalità e qualità della redazione. Paolo capì autocriticamente,
dimostrando buon senso oltrechè capacità di accettare motivati
consigli. Fu così un anno impegnativo, denso di affiatamento e di
novità, che mi permise fra l’altro di realizzare un desk centrale, sul
modello della BBC, relativamente piccolo, ma innovativo, che avrei
successivamente sviluppato a Rai International e a Rai News 24. Paolo
non solo riequilibrò e motivò la redazione sulla base delle scelte
editoriali, del rigore e dello stile che seppe imprimere, ma si collegò
bene con la programmazione di Rai 2, allora diretta brillantemente da
Giovanni Minoli, dimostrando attenzione ai meccanismi del palinsesto. E
in quello spazio di approfondimento potemmo affrontare con chiarezza
tanti temi decisivi della democrazia e della situazione sociale e
culturale del Paese dopo l’eredità di Tangentopoli. Rivitalizzammo
soprattutto la cronaca e l’inchiesta investigativa, ma anche gli
esteri, forti della grande esperienza di Garimberti, uscendo dal
provincialismo tipico dei TG italiani, suddito del rapporto con la
politica, che fu invece in quell’anno affidata a una qualità più
selettiva, volta alla sintesi e all’approfondimento più che all’enorme
spazio infarcito di subordinazione, oggi prorompente in tutti i TG 
nell’insopportabile sofferenza degli ascoltatori…
Quella esperienza
finì troppo presto, con la vittoria di Berlusconi alle politiche e la
fine della parentesi dei professori con il conseguente annientamento
della nostra direzione.
Di lì a poco la nuova identità del TG 2,
così faticosamente riconquistata, sarebbe stata travolta dall’arrivo di
Clemente Mimun, che diede vita, addirittura teorizzandola, alla più
grande diaspora nella travagliata storia dell’informazione Rai, con
oltre 30 giornalisti sgraditi e “infedeli” costretti di fatto a
cambiare Testata, cioè quasi tutti i migliori.. Un direttore che fu
“disdettato” per almeno due volte dal non gradimento della redazione,
ma inutilmente…
Per Paolo Garimberti, tornato a Repubblica e al suo
Venerdì, da vice-direttore e editorialista,  senza cessare di
approfondire la conoscenza televisiva e multimediale, anche attraverso
la nuova TV del quotidiano, si apriva il percorso che lo porta ora al
vertice della Rai. Un compito difficilissimo, da “mission impossible”
direbbe lui, ma che Paolo, ne sono certo, saprà affrontare da
professionista, con la passione di un’avventura al servizio del Paese,
da persona intellettualmente e moralmente onesta, pluralista, aliena
dalla subalternità e dalla contiguità con i poteri. Io così l’ho
conosciuto e lo ricordo. Da vecchio amico, un solo consiglio: quello di
ascoltare soprattutto il Paese, la realtà in cui vivono i suoi
cittadini-utenti, la domanda di diritti, memoria e conoscenza che sale
da chi non vuole navigare nel “pensiero unico” di un neo-liberismo
senza regole e per di più con pulsioni autoritarie. Un vero compito da
Servizio Pubblico, da giornalista libero, da Presidente. Auguri di
cuore, Paolo, ne avrai bisogno.

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