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Il tempo interrotto di Rocco

Di Anna Foti* il . Calabria, Dai territori

Quando il mugnaio
calabrese sfida gli Ursini a Gioiosa Ionica in provincia di Reggio
Calabria, siamo negli anni del terrore in Italia e dell’illusione del
decollo industriale della Calabria e della sua città in punta allo
stivale. Quando Rocco Gatto non paga il pizzo e inizia contro la
‘ndrangheta la lotta coraggiosa e invisibile al resto del paese,
siamo negli anni in cui in Italia trema la democrazia e in cui la
sicurezza dagli attentati assume assoluta priorità. Quando il 12
marzo del 1977 a Gioiosa Ionica, dopo avere raccolto il grano da
macinare, Rocco viene ucciso a colpi di lupara, siamo negli anni di
piombo quelli, insomma, che assorbono le energie buone del paese
consentendo a quelle cattive della mafia di proliferare, crescere,
mutare la propria fisionomia. E’ in questi anni che la criminalità
organizzata si affaccia dalle aree rurali allo scenario economico e
imprenditoriale. Oggi una delle sue articolazioni, la ‘ndrangheta, è
indiscussa holding del crimine e del traffico internazionale di
droga. E’ il 1978 quando piazza Vittorio Veneto a Gioiosa Ionica
diventa teatro di memoria con i colori contro la mafia, di recente
rivitalizzati, del Murales in memoria di Rocco Gatto e delle altre
vittime della ‘ndrangheta.. Sono gli anni in cui la terra di aranci
e bergamotti, che avrebbe dovuto assistere all’avvio del quinto
centro siderurgico di Gioia Tauro – poi trasformato nel porto
sinonimo di infiltrazioni mafiose – e dello stabilimento della
Liquichimica di Saline Joniche – appena scampato (chissà fino a
quando!) ad un inquinamento da “carbone pulito” – diventa terra
insanguinata; quando la criminalità, arricchitasi dei miliardi
piovuti al Sud dal governo, si impadronisce del territorio e delle
coscienze. Non di quella di Rocco Gatto e di altri il cui destino
drammatico sarà segnato da una ribellione a quelle pretese che sono
un insulto per il lavoro onesto e l’impegno civile.

Profondamente legato al
mito sovietico, comunista, Rocco Gatto aveva ereditato il mulino dal
padre Pasquale. Era un gran lavoratore e non pagava il pizzo. Non
pagava il pizzo e subiva i furti, gli incendi, le innumerevoli
intimidazioni che dal 1974 si facevano sempre più pressanti.
Insistente il capoclan Luigi Ursini con Mario Simonetta, condannati
in via definitiva nel 1988 per estorsione aggravata. Poi quella sera
di novembre, sempre in quegli anni di piombo nel resto d’Italia e di
guerre di mafia nel Sud della stessa, in uno scontro con le forze
dell’ordine muore il boss reggente Vincenzo Ursini e in reazione la
cosca impone il coprifuoco e il lutto cittadino nel paese. La
risposta del carabiniere di ferro Gennaro Niglio non si fa attendere
e quella mattina al mercato l’ordine viene ripristinato ed è allora
che Rocco gatto spezza il silenzio e fa i nomi. Una denuncia che
produce processi e condanne. Una denuncia che costa a Rocco la vita e
il dolore infinito e la rabbia dirompente di una terra che avrebbe
continuato a sacrificare e a sacrificarsi. Una terra che insorge, ma
mai abbastanza, e il dolore di un padre che avrebbe a lungo chiesto
giustizia anche al Capo dello Stato Sandro Pertini in visita in
Calabria nel 1982. Il suo coraggio è segno di una tempra che rende
Gioiosa Ionica il primo comune d’Italia ad avere scioperato nel 1975
contro la mafia e ad essersi costituita parte civile nel processo
contro le cosche. Rocco era appassionato di orologi da collezione, li
riparava. Primo di 15 figli, aveva raggiunto il mezzo secolo quando i
colpi di lupara lo hanno freddato, quando le lancette del suo tempo
bruscamente si sono fermate. Nessuna passione avrebbe potuto
ripararle solo la memoria di un impegno civile esemplare,
irrinunciabile e necessario. Solo un’eredità che non deve smettere
di imporci quel ticchettio di lancette. Un’eredità che dovrebbe
toglierci il sonno per restituirci la dignità.

* www.strill.it

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