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La mafia, le intercettazioni e le strategie di Berlusconi

Di Roberto Morrione il . L'analisi

Il disegno di legge sulle intercettazioni
prosegue il suo cammino parlamentare, apparentemente inarrestabile,
qualcosa che la maggioranza deve a ogni costo condurre in porto perché
c’è un ordine a cui non si può dire di no.

Rallentato e solo in parte
ammorbidito dai dissensi interni della Casa della Libertà, fronteggiato
dall’opposizione del PD e dell’Italia dei Valori e da uno schieramento
che va dall’ Associazione Nazionale Magistrati e dal CSM alle organizzazioni
dei giornalisti e alla stessa Federazione degli Editori, unite in un’insolita
alleanza che arriva a superare una difficile trattativa contrattuale,
gravato dal sospetto di incostituzionalità, dall’ostilità della
stampa internazionale, dal monito delle istituzioni europee, compresa
la Corte di Giustizia, il provvedimento ha tuttavia assunto per il
premier una centralità strategica.

Non a caso Berlusconi diede
a questo obiettivo una valenza prioritaria fin dai primi giorni dopo
la  vittoria elettorale, richiamandosi a quanto il precedente governo 
aveva già impostato con il decreto Mastella, approvato dalla Camera
dei Deputati con soli sette astenuti.

E’ evidentemente difficile,
alla luce di questa sconcertante trasversalità di obiettivi, non scorgere
una sorta di autodifesa del ceto politico, rivolta a esorcizzare, bloccando
la pubblicazione delle intercettazioni, la conoscenza e il giudizio
dell’opinione pubblica sul proprio operato e sui legami di sottopotere
che legano parti o singoli esponenti dei partiti alla ragnatela di interessi
affaristici e finanziari, in tanti casi al di là della legalità, che
domina la vita del Paese.

Che la pubblicazione delle
intercettazioni abbia poi spesso tracimato, estendendosi con  “rivelazioni”
sensazionalistiche ( a volte a comando ) ad aspetti della vita privata
che niente hanno a che fare con le inchieste giudiziarie o i comportamenti
in vicende di interesse generale, ledendo diritti alla riservatezza
e alla privacy, ha costituito la base di una protesta di per sè legittima,
ma che costituiva insieme un comodo alibi per coprire e affossare ogni
possibilità di fare luce su gravi deviazioni, atti illegittimi, casi
di corruzione e quant’altro lede responsabilità pubbliche e diritti
dei cittadini.

Ed è a questo punto che si
innesta la strategia di Berlusconi, volta non tanto o non solo a coprire
vicende e risvolti telefonici personali, che pure sono emersi o potrebbero
ancora emergere, quanto a fare di questo terreno un pilastro dell’offensiva
per condizionare la Giustizia e  affermare un assoluto controllo
dell’informazione. Una parte importante, dunque, di quell’attacco
alla Costituzione, alla separazione dei poteri, alla libertà di stampa
sancita dall’articolo 21, che ne costituiscono l’architrave e che
il premier, con l’offensiva a freddo innescata sul tragico dramma
di Eluana Englaro, ha cominciato a demolire, facilitato dalla debolezza
dell’opposizione politica e dalla crisi esplosa nel Partito Democratico.

Conosciamo ormai i pesanti
condizionamenti che il disegno di legge Alfano prevede in materia di
intercettazioni, per quanto riguarda gli impedimenti e le pesanti restrizioni
poste all’operatività delle procure e dei PM, come la gravità delle
sanzioni previste per i giornalisti e per gli editori, fino al grottesco
divieto di pubblicare qualsiasi notizia anche non coperta da segreto
istruttorio prima della fase del dibattimento, ciò che in Italia può
significare anni di ermetico silenzio su vicende di assoluta rilevanza
per i cittadini. L’ultima ”trovata” riguarderebbe addirittura
una radiazione dall’Ordine, al posto del carcere, ma forse si inventeranno
presto qualche altro deterrente…La mobilitazione delle organizzazioni
dei giornalisti, come degli editori, ma soprattutto l’espressa volontà
di tanti cronisti di non sottostare a una legge liberticida e anticostituzionale,
esprimendo forme organizzate di obiezione di coscienza nel caso in cui
fosse imposto un vero bavaglio, sono già una risposta chiara, che andrà
resa operativa.

Vogliamo però, come Libera
Informazione, portare l’attenzione agli aspetti culturali e psicologici 
sul terreno del contrasto alle mafie e del sistema di complicità e
di contiguità di cui si avvalgono nei territori. Pur essendo i reati
di mafia, insieme a quelli di terrorismo, apparentemente tenuti fuori
dalle restrizioni previste, in realtà ne sarebbero in vario modo investiti,
con notevoli intralci, limiti e ritardi nelle indagini, come hanno riaffermato
a ogni livello il CSM, magistrati impegnati, il Procuratore Piero Grasso.
Disastroso sarebbe però l’effetto indiretto, ma sostanziale, che
questa legge avrebbe sul rapporto mafia, politica, istituzioni, che
è alla base del vero potere degli interessi criminali e del loro silenzioso
progredire fra i meandri degli appalti, della sanità, della pubblica
amministrazione, fino al riciclaggio nella finanza e nell’economia
legale.

Le mafie ormai conoscono bene
la pericolosità delle tecnologie usate dai giudici inquirenti e dagli
investigatori attraverso le intercettazioni telefoniche e ambientali,
tanto da cercare di ricorrere a loro volta a congegni e precauzioni
anti-intercettazioni.

Sarebbero davvero molti i brindisi,
non solo fra i capi-clan, ma soprattutto fra i loro referenti e “amici
degli amici”, a ogni livello, alla notizia che questo potente nemico
tecnologico è stato smantellato o almeno in parte neutralizzato, mentre
un’opinione pubblica già largamente indifferente o subalterna si
convincerebbe ulteriormente di una “invincibilità” del potere mafioso.

Come ha opportunamente ricordato
a Palermo il sostituto procuratore De Matteo, “senza le intercettazioni
oggi Provenzano sarebbe a Bagheria a fare affari”. 

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