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Reggio Calabria: un documento per “liberare” i beni confiscati

Di Tiziana Barillà il . Calabria, Dai territori

Pare che sia
indispensabile scrivere il contesto prima di tutto. Ebbene, in città
ma anche in provincia, l’atmosfera è quella di un’escalation di
attentati dinamitardi, omicidi eccellenti e inchieste in tema di assegnazione
dei beni confiscati alla criminalità organizzata. L’aria che si respira,
dunque, sembra perfettamente in sintonia con gli esiti delle ultime
inchieste e dei tanto acclamati scandali.

In una città,
Reggio, in cui l’associazionismo soffre di una patologia cronica,
la mancanza di spazi, la L. 109/96 avrebbe potuto rappresentare una
vera boccata d’aria rigenerante per quella società civile che opera
in contrasto con la criminalità organizzata, non “per scopo” ma,
per sua stessa natura.

E invece gli
spazi restano ancora “inspiegabilmente” occupati, mentre gli interessati
cercano di capire come fare per ottenerne l’assegnazione, laddove
conoscano questa possibilità.

In Italia è
solo nel 1982 che vede la luce la prima legge, la 646 più nota come
“Rognoni La Torre”, che oltre a definire esplicitamente il reato
di tipo mafioso (art. 416 bis) contrasta sul fronte economico
e patrimoniale l’accumulazione illecita di capitali delle mafie.

Comincia finalmente
a delinearsi l’idea che il contrasto è creazione di un’altra società,
di un altro lavoro, di un’altra cultura. Ma la svolta è rappresentata
dalla L. 109/96, per la quale Libera raccolse oltre un milione di firme,
che parla finalmente di riutilizzazione, di snellimento delle procedure
di sequestro e assegnazione e istituisce un fondo prefettizio triennale
(97-99) per finanziare progetti a finalità sociali.

Sono passati
più di dieci anni dalla L. 109 e centinaia di beni sono stati confiscati
alla ‘ndrangheta per milioni di euro, ma la loro restituzione alla
comunità per la riutilizzazione sociale non è mai avvenuta, se non
in rari casi e con inverosimili ritardi.

Reggio è senz’altro
la provincia calabrese capofila in materia di sequestri di beni.

Perciò, approfittando
del passaggio della Carovana Antimafie 2008 “In viaggio per la legalità
contro il razzismo e le mafie”, organizzata da Libera, Arci e Avviso
Pubblico, a Reggio Calabria i coordinamenti di Libera in sinergia con
parte del mondo dell’associazionismo e della cooperazione, hanno deciso
di redigere un documento che sia allo stesso tempo descrittivo e propositivo.

“Una fotografia
– sostiene il referente reggino di Libera Mimmo Nasone – di quella
che è l’attuale situazione nella nostra provincia e allo stesso tempo
la formulazione di una proposta che possa contribuire a risolvere questa
impasse”.

I dati emersi
sono sconcertanti: nella Provincia di Reggio Calabria 52 Comuni su 97
hanno dei beni immobili confiscati alla ‘ndrangheta, per un totale
di 823 beni immobili, di cui il 29% in gestione, il 22% destinati da
consegnare, mentre ben il 49% sono stati sia destinati che consegnati.

Ma dove sono
questi beni? Lo scorso agosto un’indagine dei Ros dei Carabinieri
di Reggio Calabria, ci ha rivelato un quadro inquietante: i beni confiscati
in questa provincia rimangono impigliati nella rete dell’inefficienza
e delle complicità – quando non restano alla ndrangheta – e vengono
denunciate 374 “personalità” tra sindaci, assessori e funzionari,
ma anche un magistrato e un colonnello della Guardia di Finanza, per
omissione d’atti d’ufficio aggravata dall’aver favorito la ‘ndrangheta.

Da rilevare
qualche segnale positivo come la firma del Protocollo d’Intesa del
31 marzo tra Prefettura di Reggio Calabria, Agenzia del Demanio, Commissario
straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni
confiscati alle organizzazioni criminali, A.N.C.I. Calabria, Regione
Calabria e Società Italia Lavoro, o come gli impegni economici assunti
dalla Regione Calabria con il Piano degli interventi su immobili confiscati
alla criminalità organizzata (legge 25.2.2005 n. 3).

Eppure la situazione
non sembra mutare, perciò le associazioni, le cooperative e i soggetti
sensibili al tema hanno deciso di reagire sottoponendo alcune proposte
alle istituzioni interessate, durante l’assemblea pubblica del 21.
A testimoniare la propria adesione tante le realtà impegnate tra cui
l’Agesci, la CGIL, l’Azione Cattolica, Legambiente, ma anche e soprattutto
le esperienze positive come la Cooperativa ROM 1995 e l’associazione
pro-Pentedattilo e le denunce di don Pasqualino Catanese della Parrocchia
del Buon Consiglio di Ravagnese.

Se da una parte
è apparsa soddisfacente la partecipazione della società civile e incoraggiante
la risposta delle Autorità, tra cui il Prefetto di Reggio Calabria,
l’Agenzia del Demanio, la Regione, la Provincia e le Forze dell’Ordine,
dall’altra è spiacevole ma necessario rilevare l’assenza delle
grandi protagoniste, le Amministrazioni Comunali, che hanno risposto
solo in quattro (Polistena, Condofuri, Melito Porto Salvo e la commissariata
Rosarno) sulle 52 invitate.

Evidenziare
le buone esperienze delle realtà impegnate nella gestione e/o nel recupero
di beni confiscati, infatti, non significa soltanto promuovere le opportunità
che questi strumenti possono rappresentare anche da un punto di vista
economico, oltre che sociale, ma significa soprattutto ricordare ai
Sindaci della Provincia di Reggio Calabria che questo è un argomento
degno di maggiore attenzione nelle agende politico-amministrative e
che rappresenta il riscatto della società onesta reggina.

Quello del
21 novembre non è stato un entusiasmo sterile e passeggero ma il frutto
di un lavoro condiviso, per questa ragione si proseguirà nell’impegno
sollecitando le Amministrazioni Comunali a voler prendere in esame le
richieste formulate e continuando, come sempre, sulla via del lavoro
e della condivisione.

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