Un segnale di profondo cambiamento culturale ed economico
In una domenica mattina calda col termometro che sfiora i 35 gradi, per il centro storico di Mesagne (quasi 28 mila abitanti, alle porte di Brindisi) si aggirano i primi gruppi di visitatori “responsabili”, baciati dal solleone e scaldati dall’accoglienza degli abitanti di questo paesino del Salento, dove, pare incredibile, solo un trentennio fa la mafia pugliese più temuta, conosciuta con l’acronimo SCU (Sacra corona unita) aveva posto le sue radici. E’ in questo contesto che da alcuni anni i giovani operatori della cooperativa Terre di Puglia – Libera Terra, i volontari dell’associazionismo locale, gli scout e Libera, col fondamentale sostegno dell’Amministrazione comunale e delle istituzioni, hanno provato a voltare pagina. A riscrivere la storia di questo comune che racket, contrabbando e sequestri di persona, avevano trasformato in una terra ad alta densità criminale, dove l’economia locale, prevalentemente agricola, era manipolata dalla piccola borghesia mafiosa e contadina. Dopo la costituzione della cooperativa nei terreni confiscati di Mesagne, che di recente la criminalità ha visitato con atti vandalici e intimidatori, l’apertura della Bottega “I sapori della legalità”, prima in Puglia, rappresenta il segnale più importante di un profondo cambio di rotta nella cultura e nell’economia locale.
Alla presenza del Sindaco Vincenzo Incalza, che ha sostenuto con forza il progetto di Libera fin dal primo momento e messo a disposizione il locale dove sorge la nuova Bottega, del Prefetto e dell’Assessore regionale alla Trasparenza, Guglielmo Minervini, due bambini del gruppo scout che ha trascorso diverse giornate su quei campi “liberati”, hanno tagliato il nastro e sono entrati per primi nella nuova bottega. Per dare un segno di continuità e lungimiranza all’opera dei volontari impegnati a restituire una Mesagne “libera” dal giogo mafioso alle nuove generazioni.
Alla cerimonia hanno partecipato il commissario straordinario per i beni confiscati, dott. Antonio Maruccia, il presidente onorario di Libera, Nando Dalla Chiesa, e Davide Pati dell’Ufficio nazionale di Libera sui Beni Confiscati. La presenza del pm barese Desireè Di Geronimo che ha partecipato anche al convegno serale promosso da Libera, “La mafia esiste. Ma anche l’Italia”, è stata poi di forte impatto simbolico perché proietta con determinazione la lotta alla mafia dal presente al futuro. La sua testimonianza è stata lucida, a tratti commovente, quando con la voce spezzata dall’emozione, ha ribadito quel bisogno profondo di una cultura dell’antimafia che supporti l’attività giudiziaria che da sola è insufficiente. Quasi un’invocazione, una preghiera a tutte le donne e gli uomini responsabili. Scompare così dal dizionario la parola legalità, come quella “solidarietà”, troppo abusate, e compare il termine “responsabilità” che ha una più forte implicazione sociale.
L’Assessore Minervini ha commentato, rivolto agli illustri ospiti convenuti, che “oggi abbiamo messo insieme una splendida foto dell’antimafia di comunità; e questa è la foto che rende la democrazia una realtà viva”. Poi l’Assessore ha proseguito nel suo intervento spiegando che “la democrazia vive quando riesce a condividere pezzi di legalità e questo momento fornisce un prezioso spunto per recuperare le radici vere della partecipazione”.
Don Raffaele Bruno, referente regionale di Libera, ha ricordato due momenti importanti dal punto di vista simbolico nel percorso che dalla Cooperativa sociale ha portato alla nuova bottega: la prima semina e la prima mietitura sui campi confiscati. E ha presentato le genuinità tipiche della terra di Puglia esposte sugli scaffali e in vendita in questa bottega, dove spiccano al centro due enormi e confortevoli divani rossi, per ricordare a tutti che questo vuole essere anche un punto di incontro, un luogo di studio e non soltanto un mero esercizio commerciale. Infine don Raffaele ha promosso l’idea del kit “tarallucci e vino” che nasce da un interessante incontro tra Libera Terra e la realtà carceraria. Una borsa in tessuto cucita a mano dai detenuti del super carcere di Trani contenente i taralli prodotti dal grano raccolto sui terreni confiscati e una bottiglia di vino rosso “Terre di Puglia-Libera Terra” direttamente dai vigneti liberati di Torchiarolo.
Un percorso di redenzione duplice quindi: per la comunità carceraria che si affranca dal peso del suo debito attraverso il lavoro, e per tutta la comunità in generale che ritrova nella bontà di questi prodotti il senso di una rinnovata sfida al potere mafioso che strangola l’economia del territorio.
Una provocazione in termini quella dei “tarallucci e vino” – spiega don Raffaele – perché è esattamente l’opposto di quello che la metafora lascia intendere. Auguri a tutti coloro che producono quest’olio, vino, taralli e legumi straordinari, ma soprattutto auguri ai nuovi consumatori “responsabili” che comprendano il senso di questa scommessa. Da protagonisti.
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