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Revoca del 41 bis: la risposta che dallo Stato non ti aspetti

Di Rino Giacalone il . Dai territori, Sicilia

Lo Stato ha dato la sua risposta alle richieste di chiarimento e di agevolare il disvelarsi della verità sulla strage mafiosa di Pizzolungo del 2 aprile 1985. Quando sembrava dovessero andare nel senso positivo i segnali che si andavano raccogliendo, dinanzi ad una opinione pubblica ripresa per mano e ricondotta verso la solidarietà ed il sostegno a chi è rimasto vittima (fisicamente e moralmente) di quell’autobomba, dinanzi alle attenzioni di una magistratura che ha preso atto di una sentenza che pur individuando i mandanti di quella strage (Totò Riina, Vincenzo Virga, Balduccio Di Maggio, Antonio Madonia) condannandoli all’ergastolo, non è riuscita a delinearne le ragioni, il movente, i mandanti occulti, ecco che la risposta finisce con l’essere quella che non ti aspetti.

 

Il carcere duro è stato tolto a chi è rimasto in silenzio, a chi conoscendo i segreti per la strage continua a tenersi il «peso» dentro, non abbandonando la fedeltà all’«onorata (più disonore che onore per la verità) società». Dapprima Nino Madonia, poi Gioacchino Calabrò l’ex lattoniere di Castellammare del Golfo condannato per la ricettazione dell’auto rubata e poi imbottita di tritolo, usata per la terribile deflagrazione del 2 aprile 1985. Boss mafiosi che appresso si portano condanne per tantissimi altri crudeli delitti compiuti da Cosa Nostra.

 

Calabrò è coinvolto nelle stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze del 1993, nel delitto di Antonella Bonomo la donna del capo mafia di Alcamo Vincenzo Milazzo eliminata 24 ore dopo l’uccisione del suo compagno, era incinta e i boss non si fermarono, Calabrò la portò in una villetta con l’inganno che lì avrebbe trovato Vincenzo, invece chiusa la porta alle sue spalle la Bonomo fu strangolata da Matteo Messina Denaro, il super boss latitante, i capi mafia avevano paura che lei scoperta la morte di Vincenzo Milazzo finisse con lo svelare alcuni segreti ad un parente che lavorava nei servizi segreti. Milazzo e la Bonomo furono uccisi nel luglio del 1992 qualche giorno prima della strage di via d’Amelio.

 

C’è un altro delitto per il quale Gioacchino Calabrò è stato condannato al carcere a vita, l’assassino di Paolo Ficalora il comandante di mare che gestiva  un complesso residenziale a Guidaloca, baia di Scopello. In una di quelle ville abitò sotto falso nome il pentito Totuccio Contorno, Ficalora non lo sapeva, ma ai mafiosi la cosa non importò e nel settembre del 1992 Ficalora fu ucciso da Giovanni Brusca e Calabrò, davanti agli occhi della moglie. Poi c’è la storia della strage mancata all’Olimpico di Roma in una domenica del 1993, quando Calabrò doveva innescare l’eplosione di un’altra autobomba destinata al bus che portava gli agenti per i servizi all’interno dello stadio. Per fortuna il timer non funzionò.

 

Negli anni più recenti le indagini su Castellammare del Golfo, la «culla» del potere mafioso insediatosi negli States, hanno fatto scoprire la moglie di Calabrò, Rosa Fiordilino, che faceva quasi la portavoce del marito in carcere. tutto questo non è servito a nulla, e Calabrò, come altri 37 mafiosi, 14 siciliani, è uscito dal regime del carcere duro. La norma «annacquata» funziona, come chiedevano i boss, come chiese nel luglio del 2002 il capo mafia Leoluca Bagarella intervenendo durante un processo nell’aula della Corte di Assise di Trapani, quando rappresentò in modo sottinteso che i politici che un anno prima avevano vinto le elezioni, centrodestra, dovevano rispettare gli impegni presi.

 

Una legge che quando fu cambiata fece compiacere altri mafiosi, come il mazarese Mariano Agate che dal carcere mandò i suoi ringraziamenti ad un avvocato che aveva partecipato alla rescrizione di quelle norme. Oggi c’è una indagine in corso sui tentacoli della mafia dentro gli uffici della Cassazione attraverso i buoni uffici della massoneria. Guarda caso Calabrò è uno che la massoneria la conosce bene, c’era anche lui tra i frequentatori delle logge di Trapani della Iside 2 dove c’erano i faccendieri, come quelli di oggi, che si occupavano di processi da aggiustare, di patenti da rilasciare ai pregiudicati, di rapporti internazionali, con i turchi per esempio, quelli che facevano i traffici di droga con la Sicilia e che erano quelli che il giudice Carlo Palermo aveva individuato nelle sue indagini a Trento prima e a Trapani dopo, fino a quando non trovò sul suo cammino quell’autobomba piazzata a Pizzolungo e che lì era arrivata dalla officina castellamarese di Gioacchino Calabrò.

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