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Reggio, il giallo della seconda cimice

Di redazione il . Calabria, Dai territori

Ancora una cimice in procura a Reggio. Anzi no. Un balletto che prosegue con nuove rivelazioni e nuove smentite. Dopo l’apparecchio ritrovato nelle stanze del pm Francesco Gratteri, è giallo sulla microspia che sarebbe stata ritrovata negli uffici della procura generale presso la Corte d’appello, nella stanza del sostituto Francesco Neri. Come scrive Carlo Macrì del Corriere della Sera (edizione 12 maggio), la scoperta sarebbe stata fatta nel corso delle bonifiche avviate nelle scorse settimane. Il dispositivo sarebbe simile a quello utilizzato per spiare Gratteri, che consente di ascoltare fino a 200 metri di distanza, stando alle ultime perizie degli esperti, alimentato a batteria, con un’autonomia di due mesi.

Al servizio del Corriere ha replicato immediatamente il procuratore generale di Reggio Giovanni Marletta: “’Abbiamo fatto controlli, una bonifica degli uffici, dopo quello che è accaduto in procura, ma non è emerso nulla. Non mi spiego come si può dare una notizia creata sul nulla”. Anche il procuratore facente funzioni di Catanzaro Salvatore Murone, che per competenza sta indagando sulla microspia ritrovata nella stanza in uso a Gratteri, ha detto di non essere informato su un secondo ritrovamento. A caldo,  il magistrato coinvolto ha detto di essere all’oscuro della vicenda: “Anche io ho letto la notizia sul giornale e l’ho sentita alla radio e sto andando in ufficio a verificare. So – ha aggiunto Neri –  che la scorsa settimana è stata effettuata una bonifica degli uffici, ma al momento non ne conosco l’esito”.

Macrì del Corriere ha confermato e rilanciato. Nell’edizione del 13 maggio, il giornalista rivela che la seconda microspia sarebbe stata ritrovata in un angolo di uno scaffale di una libreria nella stanza di Neri. A individuare la cimice una ditta privata specializzata nel settore informatico, nel corso di una terza bonifica, successiva alle due portate a termine dal Ros del colonnello Valerio Giardina. Il Corsera precisa che “diversi magistrati della Dda confermano” il ritrovamento, mentre Neri precisa di “essere all’oscuro dell’esito delle due bonifiche disposte dalla procura di Catanzaro, competente per territorio, ed eseguite dai carabinieri del Ros negli uffici della procura generale”. Il procuratore capo della Dna Piero Grasso, secondo Macrì già informato da qualche giorno del ritrovamento, ha detto di voler “sapere chi è la fonte che fornisce ai giornalisti notizie riservate”, chiosando poi con una battuta: “Ci vorrebbe un intervento dell’ufficio di igiene per debellare le cimici”. La relazione sul ritrovamento starebbe per arrivare sul tavolo del procuratore di Reggio Giuseppe Pignatone, che dovrà poi trasmetterla ai competenti magistrati di Catanzaro.

 

Francesco Neri è stato il titolare di diverse inchieste su mafia e politica. Si è occupato – come pm della pretura circondariale reggina – anche dei traffici di rifiuti tossici, in particolare della famigerata nave dei veleni Jolly Rosso. E delle collegate vicende della giornalista Rai Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin, assassinati in Somalia nel 1994. Anche la vicenda Alpi nasconde retroscena inquietanti. La commissione parlamentare d’inchiesta sul caso, presieduta dal forzista Carlo Taormina, ha giudicato false le dichiarazioni di Neri, girando il verbale alla procura di Roma (la posizione di Neri è stata archiviata dal gup). Il magistrato ha sostenuto che il certificato di morte della Alpi, scomparso in circostanze non chiarite, è stato trovato tra le carte dell’ingegnere Giorgio Comerio, finito al centro di un’indagine sullo smaltimento dei rifiuti speciali. Affermazioni che non avrebbero però trovato riscontro, in quanto quel certificato non si trova più in procura.

In proposito, lo scorso gennaio, Neri ha inviato una nota al pg di Reggio Giovanni Marletta nella quale riferisce di una vera e propria manomissione del plico relativo all’indagine. Di qui la scomparsa del certificato di morte della Alpi, ma anche quella dei documenti di ben 11 carpette delle 21 numerate e un’alterazione della matrice dell’assicurata necessaria per provare la trasmissione degli atti alla procura di Roma. Ancora la trinità talpa-corvo-iena? Del resto sono note le frizioni tra Neri e diversi magistrati reggini.

In passato, quando Agostino Cordova era procuratore a Palmi, Neri ha lavorato all’inchiesta sulla massoneria e si spinse a tal punto da far considerare alla ‘ndrangheta la sua eliminazione, come risulta dalle intercettazioni di un boss di una cosca del Tirreno reggino che avrebbe confessato al suo guardaspalle la necessità di fare fuori quel «magistrato diventato un rompi…». Inoltre, nei mesi scorsi una busta con due proiettili è stata recapitata nell’ufficio del pm. Macrì ricorda poi che Neri “si è occupato anche del verminaio di Messina. Con l’operazione Gioco d’Azzardo sono emersi intrecci tra apparati dello Stato, mafia e politica. Tra le persone finite in carcere anche giudici, professori universitari, poliziotti ed imprenditori”.

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