NEWS

Quei “cento passi” verso verità nascoste

Di Francesca Chirico il . Calabria, Dai territori

La foto del figlio, “un ragazzo di Locri”, attaccata al collo. I 44 mesi trascorsi dal suo omicidio caricati sulle spalle. Ma in corteo per le vie di una distratta Soverato – impegnata solo a guardare  sfilare i “Cento passi” della manifestazione antimafia voluta dai ragazzi dell’associazione “Metasud” – Liliana Esposito Carbone non ne sembra piegata, anche se l’ultimo colpo, l’archiviazione del caso, brucia ancora. “L’ho saputo quattro mesi dopo, dai giornali”. Alla maestra di Locri, però, qualcuno deve aver spiegato che di più, considerate le carte in mano, era difficile fare. “Si rischiava di chiedere il rinvio a giudizio senza avere elementi solidi per arrivare in aula. E così i colpevoli sarebbero finiti assolti”, ragiona pragmaticamente Liliana, per tre anni impegnata a pungolare e raddrizzare indagini “partite tardi e male”. “Perché siamo a Locri, non a Garlasco o Perugia, e da noi il Ris arriva 14 giorni dopo. I nostri morti, evidentemente, sono meno rispettabili e rispettati”.

 Da un punto di vista investigativo, tra le colpe di Massimiliano Carbone, ammazzato a 30 anni di ritorno con il fratello da una partita di calcetto, c’è in primo luogo quella di non essere morto sul colpo. Il fucile caricato a pallettoni che la sera del 17 settembre 2004 sbuca tra il fogliame del giardino e lo centra alla schiena a pochi passi dal portone di casa lo uccide, infatti, dopo sei giorni trascorsi in rianimazione: “Solo in quel momento hanno cominciato a indagare”. La maestra, che ha subito protetto le macchie di sangue sull’asfalto confidando che un giorno potesse servire, non ha bisogno di investigare. Massimiliano ha smesso di respirare da pochi minuti e la madre è infatti già sotto la finestra di una casa di Locri a gridare: “Assassino”. Uno sfogo che davanti ai carabinieri presto si ricompone e ufficializza in denuncia: “Il suo unico peccato è stato l’amore, per una donna sposata e per il figlio avuto da lei”.

Liliana fa nomi e cognomi, ricostruisce situazioni, si espone, infrange la regola del dolore muto che consuma nelle loro case le famiglie dei morti ammazzati calabresi. Batte con i suoi avvocati (tre in tre anni) stanze e corridoi di tribunali e caserme e, per sollecitare l’udito intermittente degli interlocutori, scende in piazza. In catene, con la foto del figlio al collo, in corteo con gli altri volti dolenti della Locride. Chi le si stringe attorno, però, non riesce a farla sentire meno sola quel giorno in cui, a due anni dall’omicidio di Massimiliano, viene aggredita a calci e pugni davanti alla tomba del figlio. E non la fa sentire meno sola la visita di Romano Prodi che a Locri, nell’ottobre del 2006, commemora Franco Fortugno, il vicepresidente del Consiglio regionale assassinato un anno prima a Palazzo Nieddu. All’allora premier la maestra indirizza una lettera solennemente amara.
“Mario Congiusta, padre di Gianluca, ucciso a Siderno 17 mesi fa, la invita a portare un fiore sulle tombe dei nostri figli; sarei d’accordo, se non ritenessi eccessiva pena per lei quella di dare compito al suo portaborse di comprare fiori per i tanti morti ammazzati di Calabria, “terra prediletta”. A me, mamma di Massimiliano Carbone, ucciso due anni e dieci giorni fa a Locri, basterebbe il più piccolo dei suoi pensieri pieni di bonomia. (…) Mario Congiusta, io stessa e tutti quanti attendiamo verità e giustizia, non soltanto promesse, ma concretate nei fatti, portiamo fieri, come la più alta delle onorificenze, la memoria dei nostri figli, i nostri  “onorevoli figli”.

Le perizie, alla fine, le danno ragione. La riesumazione del corpo del figlio e il test del Dna gli consegnano un nipote che dovrebbe esserle affidato insieme con la madre: “L’ho visto una sola volta, infilandomi tra gli spettatori di una recita scolastica. Gli parlerò di suo padre e delle cose belle della vita”.  Ma gli investigatori non riescono a chiudere il cerchio di quell’unica pista investigativa che la vita di Massimilano, incensurato e presidente di una società di servizi ora diretta dal fratello, ha offerto. Come resta ancora senza riscontro il presunto coinvolgimento del clan Cordì nell’esecuzione materiale dell’omicidio con l’obiettivo di lavare l’onta delle corna dalla testa di un’intera famiglia ritenuta vicina alla cosca. Liliana però ne è sicura: “E’ stato un omicidio mafioso”. Poco importa se la ‘ndrangheta ha prestato gli uomini o “solo” la mentalità.    

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link