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1. Giustizia lenta. E la mafia ringrazia

Di Norma Ferrara il . Dai territori, Sicilia

“La cronaca di questi giorni ci ha consegnato notizie che non possono passare inosservate soprattutto per chi, come noi, ha scelto di lottare contro il fenomeno dell’illegalità in generale e contro quello della mafia in particolare. E noi ci rivolgiamo direttamente a Voi che rappresentate la Giustizia, per avere delle risposte certe, per avere quelle conferme che cerchiamo e che adesso ci sembrano lontane”. Questo l’inizio della lettera che i ragazzi di Addiopizzo Catania invieranno nei prossimi giorni al presidente della Repubblica Napolitano e al Ministro di Grazia e giustizia dopo i troppi fatti accaduti in Sicilia negli  ultimi mesi. Tira infatti vento di scirocco in gran parte dell’Isola e non è per l’arrivo della bella stagione. Sono in moto dinamiche che da anni  hanno generato livore latente fra parte della società civile e le istituzioni, centrali e locali, e che sembrano destinati a ripetersi: un assetto giudiziario che non convince e una burocrazia che talvolta inciampa proprio la dove non dovrebbe.

 

MESSINA, DISCARICA DEGLI AFFARI DELLE MAFIE.  Mentre a Gela un giudice impiega ben 8 anni per depositare una sentenza contro il clan Madonia, che liberamente continua a vivere in quel di Caltanissetta (senza per altro incorrere in sanzioni da parte del Csm)  a Messina ritornano in libertà per decorrenza dei termini, 12 boss di primo piano del messinese che sono in attesa del processo di secondo grado nell’ambito della Mare Nostrum, inter giudiziario messo in moto più di dieci anni fa e che  portò in carcere il gotha criminale della provincia “babba”, Messina.

 

 Dietro le sbarre finirono con l’accusa di associazione a delinquere capi cosca come Giuseppe Chiofalo, Bontempo Scavo, Giordano Orlando Galati. Esponenti delle due famiglie più influenti della provincia, come ancora conferma anche l’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia, ovvero quella dei barcellonesi e quella dei Tortoriciani. Barcellona pozzo di Gotto e Tortorici sono due paesi che coprono aree di territorio ad altissima densità mafiosa, ci sono numerose attività, commerciali ed agricole,  taglieggiate dal pizzo nonostante siano in carcere gli attuali capi ai quali era storicamente affidata la reggenza del racket.

 

Sono paesi che nascondono i loro illeciti affari fra le montagne dei Nebrodi, le stesse che negli anni hanno ospitato summit fra mafiosi di primo rango, spesso anche di Cosa nostra palermitana, di certo zona di latitanza privilegiata negli anni in cui il capoluogo era sotto assedio per la guerra di mafia che imperversava fra i palermitani di Navarra e i corleonesi. Proprio lì dove i Peloritani lasciano posto ai Nebrodi, nei boschi di Malabotta e Argimusco, incantevoli riserve naturali custodiscono segreti di mafia. Anche attraverso quei sentieri si sono presumibilmente consolidate alleanze mafiose, incontrati esponenti esterni a Cosa nostra,  impastando sangue ed affari sino a fare della provincia babba dello Stretto una piccola discarica degli affari mafiosi della regione.

 

DODICI BOSS IN LIBERTA’.  “Le scarcerazioni di questi ultimi mesi –  dichiara Tiziano Granata del sindacato polizia di Messina, ci lasciano perplessi e in allarme. Sono tornati in  libertà e sembrano già aver trovato reverenza a consenso nei rispettivi paesi, nomi di primo piano della criminalità organizzata della mafia messinese, ultimo Vincenzo Galati Giordano. Abbiamo segnalato al questore e al prefetto l’assurdità e la pericolosità di tale situazione e pare che si sia per lo meno stabilita la data per il processo d’appello (novembre prossimo); inoltre il prefetto ha indetto una riunione nella quale valutare l’ipotesi di far trascorrere questo periodo di libertà ai detenuti fuori dalla provincia, in modo da limitare la loro possibilità di riconnettersi con il territorio”.  Rimane un nervo scoperto l’attuale geografia mafiosa della provincia. La mafia non lascia nulla al caso, tantomeno in una città nella quale sa di poter  raschiare il fondo, ancor più in vista dei nuovi progetti che interesseranno proprio lo stretto.

 

Ci sono da un lato povertà diffuse che creano manovalanza per i clan della città, anche in quartieri post sisma mai risanati di Messina, come quello  Giostra. Ci sono dall’altro aree dove il controllo è evasivo come le aree interne della provincia, montagne troppo spesso lasciate sole, aree cittadine attraversate da un vuoto culturale e legale; infine quelle in cui, cessato il fuoco delle armi (Barcellona Pozzo di Gotto, Terme Vigliatore) l’attenzione è calata ma qui come altrove la mafia inabissata sta progettando dell’altro. I conti tornano, anche con la politica locale (anche il comune di Barcellona pozzo di Gotto, indicato più volte come ripetutamente infiltrato dalla mafia del Longano, resiste al pericolo di scioglimento; il dietro front sul decreto? è storia di cui non si parla più, ed è storia di lentezze sospette).

 

Un congegno quasi perfetto rotto circa un anno fa da un omicidio strano, in un paesino che collega Barcellona Pozzo di Gotto con le montagne che portano a Novara di Sicilia quello di Antonino “Ninì” Riottino. L’operazione Vivaio (naturale proseguimento di operazioni come la Icaro, Omega) condotta dai Ros di Messina e provincia lo scorso 10 aprile ha individuato il primo di una serie di tentacoli che soffocavano cittadini e imprese, nonché alcune amministrazioni comunali del messinese e la sorpresa (che tanto sorpresa non è) è che la nuova costola dei “Mazzarroti” scende  proprio dalle silenziose montagne dei Nebrodi. (CONTINUA…)

 

 

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