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11. Riciclaggio, la sfida dei capitali doc

Di Alessio Magro il . Altre regioni, Dai territori

Prima la droga, poi l’usura per passare al riciclaggio e giungere agli investimenti legali. È la lunga marcia dei soldi delle mafie. Un pericolo che impone la questione della “tracciabilità dei capitali”, come sottolinea Antonio Turri di Libera Lazio. Anche perché è nell’economia legale che sfocia il fiume del denaro sporco, con una colpevole omissione di controllo delle istituzioni. L’economia cresce,  tutti felici. Ma è un’economia dopata, le imprese pulite non reggono la concorrenza, cedono il passo, il monopolio mafioso si estende.

E’ questa la forma di controllo del territorio della Quinta mafia. I soldi sporchi finanziano l’usura. Chi non riesce a pagare cede di fatto la propria attività, mantenendone ufficialmente la titolarità. E il gioco è fatto. Altra modalità, la costituzione di esercizi e imprese intestate a prestanome, spesso improduttive o sottoproduttive. In altri casi addirittura ultra-concorrenziali, per la liquidità imponente e l’assenza del rischio d’impresa. E ancora, i soldi sporchi vengono filtrati attraverso falsi passaggi di proprietà, a prezzi gonfiati.

Il tutto porta a forme incisive di controllo dell’economia. I capitali mafiosi, italiani e stranieri,  prendono il volto di imprenditori venuti su dal nulla o quasi. Palazzinari talvolta noti alla giustizia, capitani coraggiosi dai saldi legami politici, insospettabili uomini d’affari, poi l’esercito dei prestanome volenti o nolenti, tutti col pedigree laziale. Controllo del territorio e accettazione sociale. E c’è anche la legione straniera, gli investimenti di tutte le mafie estere attratte dalla Città Eterna.

È alta la guardia di investigatori e inquirenti. La regione è ai primi posti per numero di segnalazioni di operazioni finanziarie sospette e trattenute, cioè sulle quali sono scattate delle indagini. Numerosi gli allarmi della politica e dell’antimafia sociale. Significativo il dato sulle imprese sequestrate:  90 beni aziendali confiscati, l’11% sul dato nazionale. Numerose anche le operazioni antimafia nel Basso Lazio, sul litorale romano e nella Capitale. Dalle vecchie indagini, come lo scandalo della Banca industriale del Lazio scoppiato a Casssino nel ’94, alle nuove, come l’operazione King dello scorso maggio e l’inchiesta della Dda di Roma sul riciclaggio della ‘ndrina Rizzuto.

Nel Cassinate è sintomatica la costante presenza di soggetti campani alle aste giudiziarie. A Latina basta contare il numero di banche e finanziarie attive sul territorio e le indagini su Casalesi e calabresi. A Roma si assiste a un vorticoso scambio di proprietà, mentre il denaro sporco è ripulito da insospettabili professionisti. Cosa nostra ha cominciato da decenni a riciclare a Roma e nel Lazio, camorra e ‘ndrangheta hanno seguito la scia. Con investimenti diretti, ma anche con il tramite delle organizzazioni usuraie. Ad esempio, è rivelatore il rapporto tra la ‘ndrina degli Alvaro e i Casamonica. E le mafie straniere impazzano dappertutto, dalla Capitale a Rieti, mercato ancora fresco.

Come hanno sottolineato la Dia e la Commissione parlamentare antimafia nelle ultime relazioni, impressiona la capacità di riciclaggio della criminalità organizzata laziale, grazie a “collaudate reti di contatto tra imprenditori ed esponenti di famiglie mafiose”. Quinta mafia pura. E così dalla droga all’usura, i capitali legittimati vengono investiti nell’economia legale: alberghi e ristorazione, turismo, edilizia e autosaloni, intermediazione finanziaria, abbigliamento, sale giochi (videopoker ecc.) e soprattutto grande distribuzione, all’ingrosso e al dettaglio. Supermercati, centri commerciali, outlet, catene e discount. Alla seconda e terza generazione di investimenti, i capitali riciclati sono praticamente impossibili da individuare, e soprattutto da dimostrare in sede giudiziaria.

Grande questione è anche quella del riciclaggio delle mafie straniere, presenti in modo massiccio a Roma e nel Lazio. Russi e cinesi su tutti. Comprano interi quartieri – vedi l’Esquilino – aprono attività commerciali ovunque, trovano alleanze con la criminalità locale, dai casalesi , alla ‘ndrangheta. Riciclano senza tregua. È soprattutto la Triade a preoccupare. Perché quella cinese è una mafia impenetrabile, una comunità chiusa e gerarchizzata, con i boss dagli occhi a mandorla a sfruttare all’inverosimile i propri connazionali. Quella cinese è una mafia che controlla il territorio, non accetta ingerenze e allontana i riflettori della stampa.

La questione riciclaggio non è sottovalutata. Ma la giustizia italiana viaggia a passo d’uomo, la legge Mancino (tracciabilità delle proprietà di immobili ed esercizi commerciali) è inapplicata da 15 anni, così come il miraggio dell’anagrafe dei conti correnti bancari. Si aggiungano finanza digitale, paradisi fiscali e corruzione: la magistratura non può che arrivare con estremo ritardo. Ancora un enorme paradosso: la legislazione non prevede l’obbligo di indicare la provenienza dei capitali investiti.

“La tracciabilità dei capitali, soprattutto di quelli stranieri, è la nuova sfida antimafia nel Lazio”. Ne è convinto in modo assoluto Turri, tanto che secondo il coordinatore di Libera Lazio la questione della trasparenza in economia è strategica almeno quanto l’aggressione ai patrimoni mafiosi, cavallo di battaglia dell’associazione di Luigi Ciotti. “Tracciabilità dei capitali vuol dire chiedere conto a chi investe dei soldi, andare a guardare da dove questi capitali arrivano, valutare se gli investimenti sono compatibili con il profilo di chi investe. Altrimenti il certificato antimafia è carta straccia: basta mandare avanti una testa di legno ignota alla giustizia”.

Basterebbero controlli semplici, una sorta di marchio di garanzia per assicurare la provenienza del denaro, come accade per i cibi. Capitali doc. Ma al momento la legislazione è carente. Chi vuole aprire un’attività commerciale nel Lazio, piccola o grande, sappia che dovrà affrontare una lunga trafila burocratica, presentare carte e bolli, eventualmente produrre il certificato antimafia, ma nessuno gli chiederà una semplicissima dichiarazione dei redditi. (UNDICESIMA PUNTATA)

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