Carcere per i giornalisti, Consulta: «Ora una nuova legge»
Depositata l’ordinanza con cui la Corte ha rinviato al 22 giugno 2021 la decisione sulla legittimità della pena detentiva in caso di diffamazione a mezzo stampa, concedendo al legislatore un anno per intervenire. Per i giudici occorre adeguare ai tempi il bilanciamento fra le esigenze di garanzia della libertà giornalistica e la tutela della reputazione, senza «dissuadere i media dall’esercitare la propria cruciale funzione di controllo».
È cruciale la libertà della stampa, ma tecnologie e social aumentano i rischi per la reputazione delle vittime.
Lo ha affermato la Corte costituzionale nell’ordinanza n. 132 depositata venerdì 26 giugno 2020 (redattore Francesco Viganò), con cui ha rinviato all’udienza del 22 giugno 2021 la decisione delle questioni sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari sulla legittimità della pena detentiva prevista in caso di diffamazione a mezzo stampa, in modo da consentire al legislatore di approvare una nuova disciplina.
Il bilanciamento tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione, afferma la Consulta, «non può (…) essere pensato come fisso e immutabile, essendo soggetto a necessari assestamenti, tanto più alla luce della rapida evoluzione della tecnologia e dei mezzi di comunicazione verificatasi negli ultimi decenni».
Il bilanciamento espresso dalla normativa vigente è divenuto ormai inadeguato, e richiede di essere rimeditato dal legislatore «anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (…), che al di fuori di ipotesi eccezionali considera sproporzionata l’applicazione di pene detentive (…) nei confronti di giornalisti che abbiano pur illegittimamente offeso la reputazione altrui», e ciò anche in funzione dell’esigenza di non dissuadere i media dall’esercitare la propria cruciale funzione di controllo sull’operato dei pubblici poteri.
Il nuovo bilanciamento dovrà «coniugare le esigenze di garanzia della libertà giornalistica (…) con le altrettanto pressanti ragioni di tutela effettiva della reputazione individuale delle vittime di eventuali abusi di quella libertà da parte dei giornalisti; vittime che sono oggi esposte, dal canto loro, a rischi ancora maggiori che nel passato. Basti pensare, in proposito, agli effetti di rapidissima e duratura amplificazione degli addebiti diffamatori determinata dai social network e dai motori di ricerca in internet».
Un così delicato bilanciamento, afferma la Corte, spetta primariamente al legislatore, che è il soggetto più idoneo a «disegnare un equilibrato sistema di tutela dei diritti in gioco, che contempli non solo il ricorso – nei limiti della proporzionalità rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva dell’illecito – a sanzioni penali non detentive nonché a rimedi civilistici e in generale riparatori adeguati (come in primis l’obbligo di rettifica), ma anche a efficaci misure di carattere disciplinare, rispondendo allo stesso interesse degli ordini giornalistici pretendere, da parte dei propri membri, il rigoroso rispetto degli standard etici che ne garantiscono l’autorevolezza e il prestigio, quali essenziali attori del sistema democratico. In questo quadro, il legislatore potrà eventualmente sanzionare con la pena detentiva le condotte che, tenuto conto del contesto nazionale, assumano connotati di eccezionale gravità dal punto di vista oggettivo e soggettivo, tra le quali si inscrivono segnatamente quelle in cui la diffamazione implichi una istigazione alla violenza ovvero convogli messaggi d’odio». (Ansa)
Il testo dell’Ordinanza della Corte Costituzionale n. 132 anno 2020 è disponibile a questo link.
Foto: @CorteCost
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