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Dal Clan alla Ndrina. Criminalità organizzata a Bolzano: una storia vecchia

Maurizio Ferrandi * il . Mafie, Trentino Alto Adige

droga a bolzanoLa notizia, diffusa a metà settimana, di un consistente numero di arresti nei confronti dei presunti appartenenti ad una cellula bolzanina della ‘ndrangheta calabrese, ha avuto l’effetto di relegare in secondo piano nelle cronache altoatesine, dopo diversi mesi, le notizie sulla pandemia.

Si è trattato in effetti di un’operazione a vasto raggio coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Trento che ha avuto come obiettivo lo smantellamento di un’organizzazione che, a giudizio degli inquirenti, che sono partiti dalle rivelazioni di un pentito e che hanno lavorato sottotraccia per diversi mesi, era dedita principalmente allo spaccio di stupefacenti e in particolare di cocaina, ma non disdegnava di occuparsi anche di estorsioni e di traffico d’armi.

Sin qui le notizie diffuse dagli investigatori e dai magistrati che hanno precisato come le indagini potrebbero avere ulteriori sviluppi, mentre ovviamente l’intera inchiesta attende di passare al vaglio della magistratura giudicante. La vicenda, nel suo complesso, merita però qualche notazione a margine.

C’è da dire innanzitutto che appare abbastanza ingiustificato lo stupore con il quale la notizia è stata accolta, accompagnato da affermazioni come quella secondo cui l’operazione di polizia avrebbe svelato per la prima volta il radicamento dell’organizzazione malavitosa di origini calabresi nella regione Trentino Alto Adige.

Nulla di più inesatto.

La storia degli insediamenti mafiosi della ‘ndrangheta soprattutto a Bolzano risale ancora alla seconda metà del secolo scorso. In particolare tra gli anni 80 e 90 una serie di operazioni di polizia portarono alla scoperta di un milieu malavitoso di vastissime proporzioni, anche allora dedito al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti. Si trattava all’epoca di eroina, visto che la cocaina non era ancora divenuta primario bene di consumo per i tossicodipendenti.

Non si utilizzò allora, nelle cronache, il termine ‘ndrangheta, ma fu utilizzato quello di “clan dei calabresi” cosa che, all’epoca, suscitò anche qualche polemica per la valenza discriminatoria che poteva avere nei confronti degli altoatesini immigrati dalla Calabria che nulla avevano a che fare con i corregionali malavitosi.

Furono anni densi di avvenimenti: inchieste giudiziarie, arresti, processi di vaste dimensioni. Un esempio per tutti: il 25 gennaio del 1993 iniziava a Bolzano un processo con ben 40 imputati accusati a vario titolo di aver partecipato all’organizzazione malavitosa, articolata su vari livelli, per l’importazione, la distribuzione e lo spaccio al minuto dalla droga. Nel corso delle varie indagini erano emersi però anche fatti di ulteriore gravità.

La storia della presenza criminale della ‘ndrangheta calabrese in Alto Adige è dunque assai più antica di quanto oggi non si voglia ricordare. A suo tempo fu addirittura diffusa una sorta di mappa della spartizione delle varie regioni italiane tra le organizzazioni malavitose. Una carta del federalismo criminale in base alla quale, ad esempio, la mafia siciliana dominava incontrastata su alcuni settori del mondo economico lombardo, mentre il Trentino Alto Adige era già assegnato all’organizzazione di origine calabrese.

Negli ultimi cinquant’anni le cronache ci hanno raccontato però di una situazione in rapido cambiamento con le ndrine capaci di espandersi a ritmo incessante e di conquistare posizioni su posizioni.

La recente scoperta dei magistrati di Trento pone per l’appunto un quesito abbastanza interessante in questo senso: le cronache dell’ultimo decennio ci hanno dimostrato che, ad onta delle dichiarazioni dei politici, che negavano, anche di fronte all’evidenza, la presenza dei fenomeni mafiosi nelle regioni del Nord, la ‘ndrangheta è stata capace di infiltrare in maniera pesante il tessuto sociale, economico e politico di regioni che in teoria avrebbero dovuto restarne immuni.

Due esempi per tutti.

Il caso probabilmente più clamoroso è stato quello dell’Emilia-Romagna e in particolare della zona di Reggio Emilia dove le cosche sono riuscite ad acquisire posizioni di assoluto rilievo nella gestione degli appalti pubblici, nell’infiltrazione all’interno delle amministrazioni locali, nel controllo di interi settori. Caso eclatante è quello del Comune di Brescello, proprio quello dove furono girati i film di Don Camillo e Peppone, il cui consiglio comunale è stato sciolto, nel 2016, proprio perché considerato pesantemente inquinato. L’attività investigativa è sfociata in una serie di inchieste giudiziarie, tra cui la più nota è quella denominata viaemilia che ha portato davanti ai giudici oltre 200 imputati, in un maxiprocesso conclusosi, in primo grado, lo scorso anno.

Il secondo esempio è ancora più inquietante se visto con l’ottica altoatesina, visto che riguarda una realtà che ha moltissimi punti di contatto con la nostra: quella della Valle d’Aosta. Regione a statuto speciale, abitata da una minoranza linguistica, orgogliosa delle sue particolarità e della sua autonomia. Ebbene è di queste ore la notizia secondo la quale tra un mese, davanti ai giudici di Torino, verrà emessa la sentenza di primo grado per una colossale inchiesta che ha portato sul banco degli imputati una parte non irrilevante della classe politica aostana accusata di connivenza e di traffico di voti con gli esponenti di una cosca locale della ‘ndrangheta insediatasi saldamente da molto tempo all’interno della folta comunità di calabresi emigrati in Valle d’Aosta per lavorare nelle industrie locali.

Prima di parlare genericamente, come qualcuno ha fatto, di infiltrazione della ‘ndrangheta nel tessuto economico e sociale trentino e altoatesino, è il caso dunque di domandarsi, proprio prendendo spunto da quanto è avvenuto in Emilia o in Valle d’Aosta, ma avremmo potuto citare molti altri esempi tra cui quelli verificatesi in alcune zone del Veneto, se anche a Bolzano e a Trento le ndrine, che come abbiamo visto esistono praticamente da sempre, siano state capaci di fare il salto di qualità entrando in relazione diretta con il mondo dell’economia e con quello della politica, proponendosi come finanziatori e soci di aziende in difficoltà, come mediatori per l’aggiudicazione di lucrosi appalti, attraverso la corruzione e la concussione di esponenti della politica e della pubblica amministrazione.

A giudicare dalle notizie che gli investigatori hanno scelto di far trapelare dal rigido riserbo che ovviamente circonda sempre queste inchieste, nulla di tutto questo per ora si è verificato.

A Bolzano, se le accuse nei loro confronti verranno confermate quando passeranno al vaglio della disamina processuale, gli arrestati si vedranno contestare soprattutto le imputazioni relative al traffico di droga.

Qui vale la pena di fare un’altra considerazione. Nell’immagine comune la circolazione degli stupefacenti sembra quasi ridotta ad un fenomeno marginale dove spacciatori tossicodipendenti appartengono esclusivamente a quei gruppi border-line che si ritrovano assieme destando scandalo e ripulsa e alimentando le polemiche sullo scarso “decoro” di alcune zone della città.

Nulla di più sbagliato.

Tutte le statistiche dicono che la circolazione degli stupefacenti vive e prospera in tutto il tessuto sociale, ivi compreso quello delle classi medio-alte, che consumano, in specie cocaina, in quantità notevolissime. Ha destato forse meno clamore di quanto fosse auspicabile la notizia secondo cui, in base ad uno studio reso noto un paio d’anni fa da un centro che si occupa di analisi a livello europeo, il capoluogo altoatesino, con un consumo stimato medio di 392 milligrammi di cocaina per 1000 abitanti, dato rilevato dall’analisi delle acque di scarico, superava addirittura la piazza milanese.

Sono cifre che vanno prese ovviamente con il beneficio d’inventario, ma che assieme ad altri elementi conducono a poter formulare un concetto abbastanza elementare. A Bolzano, come Trento, come in molti centri periferici soprattutto nei periodi di maggior afflusso turistico viene consumata una grande quantità di droga, da parte di quei soggetti che poi nelle cronache vengono definiti come “insospettabili” proprio perché non rientrano nei cliché abituali del consumatore o dallo spacciatore.

E’ a questo mercato che si rivolgono le grandi organizzazioni criminali per realizzare profitti notevolissimi, raccogliere grandissime quantità di denaro contante, che poi vengono riciclate in vari modi, non ultimo quello che prevede l’investimento in attività apparentemente del tutto legali, o l’inserimento dei capitali di imprese momentaneamente in difficoltà.

Capire se questo sia avvenuto anche nella nostra regione e aumentare il controllo per evitare che fenomeni del genere possano verificarsi è uno dei compiti più delicati che spettano agli inquirenti ma anche al mondo della politica e della pubblica amministrazione.

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