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Negare le mafie: un tragico errore che pagheremo

Borrometi, Cabiddu, Mattiello, Ricchiuti, Vannucci il . Mafie

il silenzio è mafiaDopo le ultime sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani, della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione in tema di mafie, riceviamo il seguente appello che volentieri pubblichiamo.

Signor Direttore,

nella prima delle relazioni della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia approvate successivamente alle stragi di Capaci e via D’Amelio (il 6 aprile 1993), il sen. Massimo Brutti scriveva testualmente, citando anche Anton Blok: “I mafiosi prendono decisioni che riguardano la collettività. I rapporti tra autorità costituite sono profondamente ambivalenti. Da un lato, essi non rispettano la legge e sono in grado di opporsi alla pressione dell’apparato giuridico e governativo. Dall’altro, agiscono in connivenza con l’autorità ufficiale e rafforzano il proprio controllo attraverso rapporti occulti, ma concreti, con coloro che ricoprono cariche ufficiali”. […]. Il modello corrisponde a una lunga consuetudine di comportamenti (sottintende un costume, una storia) ma è anche alla base di strategie esplicite, come quelle proprie di Cosa nostra”.

Le mafie – in definitiva – sono un antistato violento e sanguinario ma si propongono al contempo un disegno durevole di Stato alternativo, il quale si infiltra e occupa gli spazi di quello ufficiale.

Da questa lucida analisi sono passati più di 25 anni e la conoscenza del fenomeno mafioso si è grandemente rafforzata, via via che le mafie stesse si evolvevano e progredivano. Generazioni di giovani si sono formate sugli insegnamenti di Falcone e Borsellino e nella collettività italiana si è diffusa una vasta consapevolezza della minaccia mafiosa. Nelle procure vi sono ancora validi magistrati che mettono a repentaglio la loro vita e serenità familiare per difenderci dal male e molti cronisti sono sotto scorta per il dovere che svolgono di informarci sugli sviluppi di queste metastasi.

Purtroppo però vi sono altrettanti settori della società italiana (specie nell’avvocatura e nell’accademia ma anche – è triste doverlo constatare – nella autoproclamatasi intellettualità dei diritti) che pensano che le mafie non siano una minaccia con caratteristiche speciali e con potenzialità eversive peculiari. Si va affermando la convinzione che quella micidiale doppiezza, che – per la penna di Brutti – la Commissione d’inchiesta aveva messo così bene in chiaro, non sia un rischio maggiore della criminalità comune.

Questa visione pacificata con le stragi del 1992-1993 oggi mira a diventare egemone nella cultura e nel discorso pubblico italiano. Essa ignora le risultanze di centinaia d’inchieste e processi su e giù per l’Italia (non solo dalla Sicilia alla Calabria e alla Campania, ma anche dalla Lombardia all’Emilia Romagna, dal Piemonte alla Liguria), di altrettanti scioglimenti di comuni per mafia e di innumerevoli omicidi, susseguitisi negli anni (in Italia come in Europa – un solo esempio per tutti, la strage di Ferragosto 2007 a Duisburg, in Germania).

Le recenti sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo (guidata da giuristi italiani) e della Corte costituzionale sui reati c.d. ostativi e quella della Cassazione sul processo Mondo di mezzo-Mafia capitale sono il frutto amaro di questa nuova narrazione.

Pensare che i mafiosi definitivamente condannati (i quali – si badi – hanno goduto nel processo delle amplissime garanzie che il processo penale italiano offre) debbano accedere agli stessi benefici detentivi dei ladri di galline o dei truffatori di periferia denota una profonda ignoranza della storia d’Italia.

E ritenere che – nell’epoca in cui, oltre ai tradizionali domini terrestre, marino e aereo, si afferma prepotentemente quello cibernetico – l’art. 416-bis si applichi solo alle zone in cui le cosche hanno un visibile controllo del territorio a prescindere dai mezzi informatici significa leggere la realtà in modo deformato.

Se le élites istituzionali, professionali e intellettuali italiane cederanno a questo negazionismo commetteranno un tragico errore, che farà scorrere altro sangue e che pagheremo tutti.

Paolo Borrometi, vicedirettore Agi
Maria Agostina Cabeddu, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico Politecnico Milano
Davide Mattiello, già deputato e memrbo della commissione antimafia
Lucrezia Ricchiuti, già senatrice e membro della commissione antimafia
Alberto Vannucci, ordinario di Storia politica Università di Pisa

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