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Immigrazione: dallo SPRAR al SIPROIMI

Piero Innocenti il . Migranti

flussi migratori

Il linguaggio ministeriale, talvolta, è straordinariamente efficace perché riesce a rendere meno spigolose situazioni e normative che, volontariamente o involontariamente, alcuni organi di informazione  hanno contribuito a rendere più preoccupanti per l’opinione pubblica. Questa è l’impressione che si ricava leggendo l’articolata e tranquillizzante circolare esplicativa del 18 dicembre scorso del Ministero dell’Interno inviata a tutti i Prefetti ed avente per oggetto il ben noto decreto immigrazione-sicurezza  di Salvini ( decreto legge 4 ottobre 2018 n.113) convertito, con modificazioni, dalla legge 1 dicembre 2018 n.132.

Un provvedimento che si compone di ben 74 articoli, suddiviso in quattro Titoli. La corposa circolare, 18 pagine, illustra chiaramente le principali disposizioni del provvedimento in questione rinviando alle “istruzioni di carattere operativo e applicativo” che i singoli Dipartimenti dello stesso Ministero emaneranno in tempi rapidi “..per assicurare immediato impulso a quelle attività che  (..) appaiono in grado di produrre effetti concreti sia in chiave di protezione internazionale e immigrazione, che di prevenzione e contrasto dei fenomeni criminali nonché di complessivo rafforzamento dell’azione dello Stato e delle Autorità locali sul territorio”. In tema di immigrazione, sottolineata la “..decisa contrazione degli arrivi irregolari sulle coste italiane (oltre l’80% in meno rispetto all’anno scorso)”, flessione che, in realtà, si era delineata sin dai primi mesi del 2018 in conseguenza degli accordi fatti con la Libia ed i vari capi tribù dal Ministro dell’Interno del tempo, la circolare spiega come “..la nuova linea operativa di governo” sull’immigrazione sia quella di “..riportare, nel medio periodo, l’intero sistema nazionale a una gestione ordinata e sostenibile basata su canali legali d’ingresso e sul rimpatrio degli immigrati in condizioni di soggiorno irregolare, esposti al rischio di marginalità sociale e di coinvolgimento in attività illegali”.

Considerazioni che appaiono condivisibili soprattutto per il coinvolgimento in attività illegali che è stato rilevato, da molti anni a questa parte, per esempio nel traffico/spaccio di stupefacenti ( ma anche in attività predatorie e nello sfruttamento della prostituzione) con una percentuale di stranieri denunciati, in molti casi anche richiedenti asilo o irregolari, piuttosto elevata – circa il 40% – sul totale nazionale. Nella circolare si spiegano i motivi che hanno portato alla abolizione della “protezione umanitaria” – ridefinita in alcune tipologie di permessi di soggiorno “speciali” per esigenze di carattere umanitario – tenuto conto che quell’istituto ( non riconducibile direttamente a obblighi europei) non si è rilevato “.. un adeguato strumento di integrazione”. Infatti, soltanto 3.200, negli ultimi tre anni, sono state le conversioni in permessi di lavoro delle 40mila tutele umanitarie riconosciute dalle Commissioni territoriali. Questa mancata conversione, senza sbocchi lavorativi, ha prolungato la presenza sul territorio di straneri “..in condizioni di assoluta fragilità e povertà, spesso foriere di attrazione in circuiti criminali”.

Con la legge in questione viene data la possibilità di ampliare, in via temporanea, la rete delle sezioni delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. Una lista dei “Paesi di origine sicuri” verrà adottata, quindi periodicamente aggiornata, sulla scorta di un decreto interministeriale e tenuto conto delle informazioni fornite dalla Commissione Nazionale per il diritto di Asilo.

Il sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) viene rimodulato assumendo la connotazione di Sistema di protezione per i titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati (SIPROIMI) nel quale “..vengono assicurate le iniziative di orientamento a quei servizi integrati che agevolano l’inclusione sociale  e il superamento della fase di assistenza”. Restano invariate le regole di accoglienza delle persone già ospiti nei CARA  e CAS fino alla definizione del loro status e, per i minori richiedenti asilo non accompagnati, sino al compimento della maggiore età.

Per questo motivo, dunque, dovrebbero dissiparsi le preoccupazioni espresse nei giorni scorsi da diversi Sindaci sugli effetti che la legge in questione avrebbe prodotto in termini di incremento di marginalità sociale. Sul punto, è ancora la circolare a ricordarlo, nel 2018 e sino al 4 dicembre, a normativa previgente, sono state già quasi 43mila le persone fuoriuscite dal sistema di accoglienza, con un andamento medio costante nei mesi. Insomma, i centri di accoglienza si sono andati progressivamente decongestionando in relazione al significativo trend in decremento dei flussi. Flussi che, come noto, sono andati aumentando verso la Grecia e la Spagna.

Flussi migratori: una questione irrisolta

Sui flussi migratori che continuano a interessare ( lo saranno ancora per decenni, anche in altre parti del mondo) il Mediterraneo Centrale, quello Occidentale e della rotta Atlantica, in parte la regione Balcanica, interessanti dati e informazioni dettagliate emergono dai rapporti settimanali ISAA (Integrated Situation Awareness and Analysis) compilati dai servizi competenti  della Commissione Europea sulla scorta di segnalazioni degli Stati membri e di varie Agenzie europee (European Asylum Support Office, European Border and Coast Guard Agency, European Union Agency for Fondamental Rights ed altre).

Il report di 43 pagine (destinato ad uso esclusivo degli uffici), riferito all’ultima settimana di novembre scorso, è il n°142, ed evidenzia intanto un incremento del 44% di arrivi di migranti in Grecia nel 2018, al 30 ottobre. Si tratta di 45.645 persone approdate, in prevalenza (29.128) nelle isole greche (soprattutto a Somos) e provenienti dalla Turchia ma di nazionalità afghana, siriana, irakena, congolese, palestinese. Aumentati anche gli arrivi in Spagna con 57.434 migranti, un incremento del 126% rispetto allo stesso periodo del 2017 (25.430). Si è trattato, per lo più, di marocchini (7.823), guineani (5.388), maliani (5.178), ivoriani (2.117), algerini (1.607), gambiani (1.491). Le notizie, riprese da fonti aperte, di violenze e abusi da parte della polizia marocchina nei confronti di migranti vengono riportate nel citato rapporto ISAA. Decrementi nei flussi, in alcuni casi marcati, in altri meno, si rilevano nella regione balcanica a partire dalla Bulgaria con 2.061 migranti (meno 31% rispetto al 2017), in Romania con 1.914 ( meno 51% rispetto all’anno prima), in Serbia con 9.943, in Bosnia Erzegovina con 22.000, in Slovenia con 2.621, Montenegro 4.879, Albania 6.259.

In Italia i 23.099 migranti del 2018, di cui 3.418 minori non accompagnati,rappresentano un meno 80% rispetto al 2017 e questa forte contrazione è da ricollegarsi a vari fattori tra cui la “chiusura dei porti” italiani disposta nei mesi passati nei confronti delle navi ong che soccorrevano migranti in prossimità delle coste libiche, gli aumentati controlli della guardia costiera libica addestrata e dotata di motovedette donate dalle autorità italiane, i precedenti accordi (ben pagati) del ministro dell’interno Minniti con il governo Serrai ed i vari capi tribù libici che, di fatto, nei vari territori controllano, dirigono e indirizzano i traffici di migranti. I 12.976 migranti partiti dalle coste libiche quest’anno sul totale sopra indicato sono, probabilmente, attribuibili anche ai leader delle varie tribù che non disdegnano di inviare, di tanto in tanto, “messaggi” alle nostre autorità per ricordare gli impegni presi (l’attuale Governo italiano ha impostato, come noto, una linea antimmigrazione ben diversa dal precedente). Le principali nazionalità dei migranti giunti in Italia sono state tunisine (22%), eritree (15%), irakene (7%), sudanesi (7%), pakistane (7%), nigeriane (5%), algerine (5%). La situazione degli arrivi riguardante il nostro paese sarebbe stata ben diversa se fossero salpati dalla Libia anche i circa 15mila migranti, in prevalenza nigeriani, maliani, nigerini che, assistiti dall’OIM hanno fatto rientro nei loro paesi direttamente dalla Libia. Sarebbero, con ogni probabilità aumentate anche le morti in mare che quest’anno sono già state 1.277 (nel 2017 furono 2.844). L’Italia, dal luglio 2016 al 5 novembre 2018 ha effettuato 2.137 rimpatri volontari assistiti (finanziati dall’apposito Fondo europeo) mentre sono stati 5.620 gli stranieri rimpatriati coattivamente nello stesso periodo.

Per quest’ultima attività la Polizia di Stato è stata, come sempre, particolarmente impegnata con i servizi di scorta per i quali si richiedono adeguate capacità personali e professionali che vengono accresciute e consolidate con appositi corsi di formazione. I rimpatri, poi, lo ricordiamo sono effettuati solo verso quei Paesi con i quali esiste un accordo di riammissione e, finora, sono stati formalizzati solo con Egitto, Tunisia, Nigeria e Marocco. Ci sono, poi,intese (accordi di natura tecnico-operativa, per esempio con l’Egitto, l’Algeria, la Turchia, l’India, il Gambia) che sono state fatte nel tempo dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza con i corrispondenti organismi di polizia dei Paesi a forte vocazione migratoria per “fluidificare procedure già contemplate dall’ordinamento..”e che prevedono ambiti di cooperazione tra le forze di polizia. Ambito, questo dei rimpatri, nel quale c’è ancora molto da lavorare con diversi Paesi.

Global compact

Se un paese crea i clandestini

Presentato il Rapporto “Notizie di chiusura”,

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