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Il numero unico di emergenza 112: funziona?

Piero Innocenti il . L'analisi

112-numero-emergenzeContinuano a segnalarsi lagnanze e insoddisfazioni di molti cittadini, in diverse zone del Paese dove è attivo il NUE, Numero Unico Europeo di emergenza 112.

L’ultimo episodio grave, dopo gli affanni dei giorni scorsi per le chiamate di soccorso nelle giornate di forti criticità per il maltempo, è del 2 novembre scorso, a Orbassano (Torino), la vicenda di un intervento tardivo di soccorso sanitario a causa di una risposta dell’operatore del 112 solo dopo alcune decine di minuti.

Sul tema anche diversi sindacati di polizia hanno espresso forti perplessità, denunciando ritardi nelle attività di intervento dei servizi. Inefficienze che ho potuto constatare personalmente almeno in due recenti circostanze (volevo segnalare una situazione di pericolo di crollo sulla strada a causa del vento), componendo il 112 senza ricevere alcuna risposta per almeno dieci minuti (idem al 113 e 115); soltanto alla sala operativa regionale della protezione civile mi hanno ascoltato , ma solo perché mi sono qualificato come ex questore.

Per approfondire l’argomento, sono andato, allora, a ripescare la più recente circolare del Gabinetto del Ministro dell’Interno (la n.145207/125 del 26 aprile scorso) trasmessa a tutti i Prefetti avente ad oggetto:”Funzionalità del Servizio Numero Unico Europeo di Emergenza-NUE 112”. Si parte dalla cosiddetta legge Madia (legge delega 7 agosto 2015 n.124) che all’art.8, comma 1, lettera a), prevede, tra l’altro, “..l’istituzione su tutto il territorio nazionale del numero unico europeo 112 con centrali operative da realizzare in ambito regionale”. Il  modello organizzativo nazionale – prosegue la circolare – “di efficienza e di economicità” deve assicurare “una gestione integrata e coordinata delle emergenze da parte degli Enti di soccorso”. Dunque, una Centrale Unica di Risposta (CUR) indicata come PSAP-1 (Public Safety Answering Point) che riceve, localizza e smista le chiamate di emergenza alle centrali operative di secondo livello (PSAP-2) competenti per funzioni e territorio alla gestione dell’emergenza (Polizia di Stato, Carabinieri, Vigili del Fuoco, Soccorso Sanitario).

Che il passaggio a questo  modello non fosse né facile, né virtuoso, né celere (peraltro il “vecchio” modello di numeri diversi per le richieste di soccorso funzionava egregiamente), è stato chiaro sin da quando, nel lontano 2003, fu istituita la Commissione Consultiva (prevista dall’art.75 del decreto leg.vo 259/2003) presieduta dal Vice Capo della Polizia preposto al coordinamento e alla pianificazione. La Commissione ha approvato, tenendo ben presente che i tempi di risposta alle emergenze debbono essere brevissimi, un Disciplinare tecnico operativo che modifica il funzionamento della CUR prevedendo, tra l’altro, “..la definizione di una tempistica ottimale entro la quale deve concludersi la fase intercorrente tra la risposta alla chiamata di soccorso da parte della CUR e la presa in carico della stessa da parte della centrale operativa de delle PSAP-2“.

E’stata prevista, inoltre, in relazione ad eventi eccezionali (come quelli che stanno ancora caratterizzando in questi giorni ampie zone del Paese) una soluzione temporanea per le chiamate di emergenza per le CUR non ancora dotate di sistemi di backup e di gestione dell’iperafflusso di richieste che hanno determinato una ritardata risposta dell’operatore della CUR al cittadino. Tutto questo nella circolare, ma, nella pratica, i ritardi segnalati nelle risposte o, addirittura, le mancate risposte o prolungate interlocuzioni con gli operatori delle CUR, sono all’origine del malcontento di molti cittadini. Sarebbe comunque interessante conoscere gli esiti delle attività di analisi che dovrebbero effettuare i “gruppi di monitoraggio” istituiti presso le Prefetture-UTG con sede nel capoluogo di regione che fungono da strutture di coordinamento delle attività svolte a livello regionale per promuovere anche “..le iniziative dirette al migliore funzionamento del Servizio NUE-112”.

Quali sono stati i risultati nelle Regioni (Lombardia, Lazio-distretto telefonico 06 Roma, Piemonte, Valle D’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Sicilia Orientale, province autonome di Trento e Bolzano)  in cui risulta attivo il NUE? E’ funzionante il Sistema di Monitoraggio Dati Centralizzato 112 che doveva essere operativo entro il 30 settembre 2018? Viene alimentato con cadenza giornaliera? Vengono evidenziati gli eventuali scostamenti dai parametri fissati nel Disciplinare tecnico operativo sopra richiamato? Vengono analizzati quotidianamente i dati da parte dei responsabili (che qualifiche hanno? Che professionalità?) delle CUR e dei PSAP-2 delle singole province? Eventuali criticità delle attività di più PSAP sono oggetto di attenzione “per la necessaria azione di raccordo” da parte delle Prefetture-UTG competenti?

La circolare termina sottolineando la “particolare attenzione con cui gli organismi comunitari seguono il processo di adeguamento degli Stati membri” per il completamento di questa progettualità. Noi, invece, confidiamo che si torni a diversificare i numeri dei servizi di emergenza in modo da soddisfare tempestivamente le richieste di soccorso dei cittadini che, altrimenti, vedono amplificate le loro angosce.

 

La “classificazione” delle Questure: a cosa serve?

Non è stato facile il compito di “riorganizzazione delle articolazioni periferiche dell’Amministrazione della PS” affidato dal Capo della Polizia, un paio di anni fa (il 27 dicembre 2016), al Gruppo di lavoro interdirezionale  (Dipartimento della Pubblica Sicurezza), presieduto dal Vice Capo della Polizia con funzioni vicarie. Tra gli obiettivi fissati, facendo riferimento alla cosiddetta legge Madia,  quello di “individuare soluzioni organizzative appropriate per innalzare i livelli di efficacia ed efficienza  delle articolazioni periferiche” (in particolare delle Questure), elaborando “le conseguenti proposte di revisione dell’assetto organizzativo e ordinamentale” e le “conseguenti proposte di revisione delle dotazioni organiche”. Tutto questo ha prodotto una classificazione delle Questure fatta, si legge nella “bozza” (riservata) del lavoro svolto, “attraverso un metodo scientifico con consulenza Istat” e “sulla base delle complessità e delle criticità del territorio di riferimento”.

Così, in base a “variabili di contesto provinciale” (superficie dei centri abitati, popolazione residente) e a “variabili specifiche delle attività di polizia”(polizia di prevenzione, immigrazione, ordine pubblico, polizia criminale, polizia amministrativa e di sicurezza, dispositivi di protezione), sono stati elaborati due “indici” che hanno portato alla suddivisione e classificazione delle Questure. Con alcune situazioni che hanno suscitato perplessità e qualche polemica per il “declassamento” subito da alcuni uffici.

Ora, a parte le tre sedi di Roma, Milano e Napoli inserite nella “prima fascia super”  (era necessario quell’aggettivo “super” ?) e le 19 province sedi di Questure di “prima fascia”, appare incomprensibile, per esempio, aver collocato Bolzano e Trento, questure rette da dirigenti generali di ps (con talune funzioni in tema di licenze e immigrazione esercitate, di norma, dai prefetti), le uniche due Province autonome nel panorama costituzionale del nostro Paese, nel “mucchio” delle 50 sedi di “terza fascia”, insieme a quelle, per esempio di Cuneo, Piacenza, L’Aquila, Benevento, Sassari, che non hanno mai presentato problemi particolari di ordine pubblico.

Si possono immaginare anche gli stati d’animo  di quei Questori (ma anche del personale dei vari ruoli) delle venti sedi relegate nella “quarta fascia” (tra cui Aosta dove pure, storicamente, il Questore è punto di riferimento importante nel contesto regionale), insieme alle “tranquille” sedi di Belluno, Rovigo, Gorizia, solo per citarne alcune. Questa classificazione appare inopportuna e trascura le storie di alcune Questure, i contesti ambientali vissuti,  operando, di fatto, una svalutazione degli uffici e di chi vi presta servizio. Non convincono affatto queste “applicazioni matematiche” con il metodo Istat “dei minimi quadrati ordinali” (citati nella bozza) di distribuzione delle risorse umane alle Questure che, ad eccezione di quelle “super”, dovrebbero perdere personale (44 sedi) ed altre (59) subire un incremento.

Le polemiche delle settimane passate con alcuni sindacati di polizia che hanno parlato di un bluff del Viminale sulla sicurezza, si sono riaccese di recente (7 novembre scorso) con le dichiarazioni del sottosegretario all’interno Stefano Candiani che rispondendo ad alcune obiezioni mosse dall’ex sottosegretario Bocci, sulla “declassata” Questura di Perugia, precisava di un”mutato scenario socio culturale e di servizio riscontrato..” aggiungendo che “..il procedimento attiene solo alla qualifica del Questore”. Il che, francamente, è incomprensibile.

Le risorse umane necessarie alle Questure, a tutte, debbono essere aumentate perché negli anni  sono aumentati i compiti attribuiti a questi uffici e sono aumenta le esigenze di sicurezza da parte dei cittadini  rispetto a trent’anni fa, con fenomeni di criminalità, anche organizzata, che hanno investito buona parte del territorio nazionale. E chi ancora si ostina a parlare di calo dei delitti e solo di insicurezza percepita, vive fuori dalla realtà e dice falsità.

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