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Elisa Claps, 25 anni fa

don Marcello Cozzi il . L'analisi

elisa clapsA venticinque anni dalla sua scomparsa Elisa l’abbiamo voluta ricordare nel Liceo che fu il suo Liceo. Fra quei banchi e in quei corridoi che l’hanno vista ragazzina e adolescente affacciarsi alla vita senza però mai aver avuto la possibilità di morderla come fanno tutti i giovani; e in quell’Aula Magna nella quale è ritornata chiusa in una bara bianca all’indomani del suo ritrovamento avvenuto nel marzo del 2010. Fu lì che la mamma volle la camera ardente e fu lì che nelle ore precedenti al funerale celebrato in piazza a Potenza ai primi di luglio del 2011 la città la salutò in silenzio, con file lunghissime di persone, molte delle quali non l’avevano mai conosciuta ma che negli anni avevano imparato a sentirla come compagna, figlia, sorella.

Ma a venticinque anni da quel 12 settembre 1993, Elisa l’abbiamo voluta ricordare anche semplicemente con un manifesto, come sempre abbiamo fatto dall’inizio, quando ancora la cercavamo, quando le sue tracce si erano perse nel nulla, quando ancora nessuno immaginava l’atroce verità: era lì, è sempre stata lì, in quel sottotetto, a due passi da tutti.

In tutti questi anni il suo volto sorridente con quel paio di grandi occhiali che la contraddistingueva non ci siamo mai stancati di affiggerlo sui muri della città: per dire che Elisa apparteneva a tutti, per dire che da qualche parte doveva pure essere, per dire che è impossibile sparire nel nulla nel mezzo di una città, per dire che sicuramente c’era gente che sapeva e non parlava, e per dire, infine, proprio a queste persone, che prima o poi ce l’avremmo fatta, ne saremmo arrivati a capo, avremmo conosciuto la verità.

Ed invece, una mezza verità. Ecco alla fine ci hanno restituito solo una mezza verità: Elisa ce l’hanno fatta ritrovare e con lei le tracce che portavano dritto dritto al suo assassino, ma non a tutte quelle mani che nel frattempo lo avevano protetto e nascosto, e che avevano depistato e insabbiato.

Ecco perché nel manifesto con il quale oggi l’abbiamo voluta ricordare venticinque anni dopo abbiamo voluto semplicemente scrivere: “UNA MEMORIA CHE NON CERCA LA VERITA’ CALPESTA LA DIGNITA’”. Perché se è vero che dopo anni di oblìo e silenzio, questa città si è comunque mossa, talvolta è scesa in piazza, ha condiviso la rabbia e il dolore di quella povera famiglia, oggi si ha la sensazione che in fondo ci si sia accontentati di quella mezza verità: Elisa ce l’hanno restituita e il suo assassino assicurato alla giustizia. Ora basta. Finisca qui. Si volti pagina.

E tutti quelli che hanno depistato dall’inizio? E coloro che hanno occultato il povero cadavere? E gli autori dei mille falsi avvistamenti? E quelli che nel frattempo l’avevano ritrovata ma si sono girati dall’altra parte? E quelli che alla fine l’hanno ritrovata inscenando però successivi ritrovamenti? Niente. Di tutto questo si è perso memoria, o meglio, di tutto questo meglio non parlarne. E non importa se molti di questi responsabili sono ritornati a ricoprire importanti cariche istituzionali, non importa se li vedi aggirarsi per le vie della città gonfi del loro potere e della loro impunità: “volevate Elisa? L’avete ritrovata. Ora si firmi l’armistizio”, queste parole scritte in un articolo su un quotidiano locale e rivolte a noi di Libera il giorno dopo il ritrovamento della ragazza mi sono rimaste impresse come marchio indelebile.

Sono passati venticinque anni da quel 12 settembre e noi vogliamo continuare a ricordare Elisa non solo per la sua dignità di giovane ragazza a cui è stato tolto il diritto di camminare nel futuro, non solo per il dolore incancellabile e inconsolabile della sua famiglia, ma anche e soprattutto per dire a noi stessi che una memoria senza verità, una memoria che diventa semplice commemorazione, una memoria che ricorda ma preferisce voltare pagina, una memoria che si commuove senza indignarsi, è una memoria complice, sterile e offensiva della dignità di chi non c’è più e di una comunità intera.

E quando la memoria non coincide né con verità né con la giustizia, è come una ferita che sanguina senza mai diventare cicatrice.

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