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Operazione Stige: la palude della ‘ndrangheta

Donatella D'Acapito il . Mafie

operazione stigeRifiuti che mettono in ginocchio le amministrazioni locali. E rifiuti che possono diventare la gallina dalle uova d’oro per la criminalità organizzata.

Questo avranno pensato, forse con cognizione di causa e convinti di farla franca, gli uomini della cosca Farao-Marincola di Cirò, nel crotonese, che nelle proprie strategie imprenditoriali avevano inserito anche quella del business della spazzatura. Affari fatti non solo con gli appalti per la raccolta dell’immondizia o la gestione degli impianti di depurazione attraverso società di copertura. No. I cirotani avevano puntato la pista più appetibile: quella dei rifiuti speciali, come nel caso degli scarti di lavorazione dell’Ilva di Taranto o i rifiuti ospedalieri, a volte interrati addirittura vicino a una scuola elementare.

Rifiuti e non solo. Perché stando alle carte sembrerebbe non esserci settore dell’economia e della politica locale che non abbia subìto il pervasivo interessamento della cosca crotonese almeno fino al 9 gennaio scorso, giorno in cui i carabinieri del Ros, su impulso della Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri, hanno eseguito 169 provvedimenti restrittivi fra varie regioni italiane e la Germania.

Insomma, la ‘ndrangheta calabrese è stata capace di infiltrarsi negli affari e nell’imprenditoria non solo in Italia ma anche all’estero: un meccanismo che le avrebbe consentito di strutturarsi come una vera e propria holding criminale capace di gestire un indotto di milioni di euro.

Ma per cercare di ricostruire i fatti conviene partire dalla fine.

L’operazione Stige

È l’alba di martedì 9 gennaio quando scatta l’Operazione Stige, figlia dell’inchiesta coordinata dal Procuratore della repubblica catanzarese Nicola Gratteri, dall’aggiunto Vincenzo Luberto e dai sostituti Domenico Guarascio, Alessandro Prontera e Fabiana Rapino. I carabinieri del Ros e del comando provinciale notificano 169 ordinanze di custodia cautelare a presunti appartenenti alla ‘ndrangheta (cosche Farao-Maricola di Cirò e Giglio di Strongoli) e ai loro favoreggiatori. Le indagini fanno emergere tanti e tali rapporti da estendere il campo d’azione delle forze dell’ordine non solo alla Calabria ma anche a Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, Lazio, Toscana, Campania e addirittura Germania, nei länder dell’Assia e del Baden-Württemberg. E per quest’ultima parte, gli inquirenti possono contare sulla collaborazione di Eurojust che ha permesso il coordinamento fra la Procura di Catanzaro e quelle di Kassel, Stoccarda, Monaco e Düsseldorf.

Passa un giorno e si costituisce anche Giuseppe Spagnolo, di 49 anni, ritenuto elemento di spicco della cosca Farao-Marincola. Gli arresti salgono così a 170.

I reati contestati vanno dall’associazione di stampo mafioso, al tentato omicidio, all’estorsione, all’autoriciclaggio, passando per il porto e la detenzione illegale di armi e munizioni, l’intestazione fittizia di beni, la turbativa d’asta e l’illecita concorrenza con minaccia aggravata del metodo mafioso, fino alla corruzione elettorale.

Oltre alla custodia cautelare, viene notificato anche un decreto di sequestro preventivo di beni per circa 50 milioni di euro.

Le mani delle cosche, dunque, arrivano dappertutto.

L’affare dei rifiuti

“Stanno facendo lo smaltimento dell’Ilva (…) a Taranto e abbiamo preso tutto il trasporto del limo, del materiale… con i camion e deve venire qua questo materiale, ci sono dieci, dodici viaggi al giorno”. A parlare, ignaro di essere intercettato dagli uomini dell’Arma, è Francesco Tallarico, componente del direttivo della cosca Farao-Mariconcola e responsabile della locale di Casabona. Tallarico commenta la disponibilità dell’imprenditore Giuseppe Clarà, titolare di una impresa che si era aggiudicata alcuni lavori di smaltimento di rifiuti tossici e scarti industriali provenienti dallo stabilimento siderurgico tarantino. Il nome dell’imprenditore salta fuori quando Tallarico parla con Giovanni Trapasso, boss di San Leonardo di Cutro; proprio in questa occasione viene inoltre fatta menzione sia della disponibilità che l’imprenditore ha manifestato nei confronti della cosca, sia le intimidazioni da lui subite.

Frasi che aspettano di essere confermate dagli inquirenti, è vero, ma che intanto sono considerate dagli investigatori come parole riferite a una “concreta esistenza di lavori di smaltimento”, vista anche l’assonanza con una vicenda capitata in Sicilia. Nel marzo dello scorso anno, infatti, la Direzione distrettuale antimafia di Catania sequestra la Cisma Ambiente Srl, in cui sono state trasferite dall’Ilva di Taranto circa 40 mila tonnellate di polverino d’altoforno. Che dall’Ilva le polveri finiscano sotto i terreni di altre regioni, allora, non sarebbe così impensabile.

Ma i rifiuti ai cirotani vanno bene sempre, anche quando vengono dagli ospedali. L’ordinanza di custodia cautelare di “Stige” contiene il riferimento alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Vincenzo Marino, che fino al 2007 era organico della cosca Vrenna-Corigliano-Bonaventura, padrona incontrastata di Crotone. Che sia attendibile – scrive il Gip – viene attestato “da diversi giudici e tra questi quelli del Tribunale di Catanzaro nell’ambito del processo Scacco Matto.”

L’operazione Scacco Matto è quella con cui nel 2000 la Dda di Catanzaro aveva ricostruito un contesto mafioso che aveva già profonde radici dal Crotonese – in particolare Cutro – sino a Reggio Emilia.

Durante un colloquio con i magistrati del 2015, Marino racconta del legame che c’è fra la sua cosca e quella dei cirotani. Fra gli affari che le due ‘ndrine fanno insieme, c’è dunque quello dello smaltimento dei rifiuti ospedalieri che partivano da Cosenza. Ed è a questo punto che il collaboratore fa il nome di Raffaele Vrenna, storico presidente del Crotone Calcio, già assolto in Cassazione per associazione mafiosa, estorsione, corruzione e voto di scambio e, non molto tempo fa, assolto in primo grado dall’accusa di intestazione fittizia di beni. E per dimostrare la veridicità di quanto da lui sostenuto, Marino si è anche dichiarato disponibile a effettuare un sopralluogo per mostrare agli inquirenti dove erano stati interrati i rifiuti.

Le implicazioni con la politica

Fra i nomi dei 170 soggetti colpiti da Stige compaiono una decina amministratori locali tra sindaci, vicesindaci, assessori e presidenti dei consigli comunali di Cirò Marina, Strongoli, Mandatoriccio, Casabona e San Giovanni in Fiore. Spiccano i nomi di Michele Laurenzano, primo cittadino di Strongoli, e quello di Angelo Donnici, suo omologo a Mandatoriccio. Soprattutto, salta agli occhi il nome di Nicodemo Parrilla, sindaco in carica di Cirò e presidente della provincia di Crotone: l’uomo, accusato di associazione mafiosa, secondo l’inchiesta avrebbe ottenuto la carica grazie al decisivo intervento dei clan, di cui sarebbe il rappresentante all’interno delle istituzioni locali.

Provvedimenti restrittivi eccellenti che hanno innescato dimissioni a catena negli enti locali. Armando Foresta, vicepresidente della Provincia di Crotone, ha dichiarato di essersi dimesso dalla carica “in maniera irrevocabile (…) per effetto della vicenda giudiziaria che ha coinvolto, tra gli altri, il presidente della Provincia, Nicodemo Parrilla, pure sindaco di Cirò Marina”. Altri nove consiglieri provinciali hanno annunciato le proprie dimissioni e con loro anche undici consiglieri comunali di Cirò Marina.

Dopo questi fatti, il prefetto di Crotone Cosima Di Stani ha disposto la sospensione degli amministratori colpiti dal provvedimento cautelare appartenenti alla Provincia di Crotone ed ai Comuni di Cirò Marina, Strongoli, Casabona e Crucoli. Scrive la Prefettura in una nota: “vista la complessa situazione del Comune di Cirò Marina, dove risultano attinti da provvedimenti restrittivi cautelari sia il Sindaco che il Vice sindaco, si nomina (…) un Commissario presso lo stesso Comune, nella persona del dott. Eugenio Pitaro, vice prefetto, dirigente dell’Area ordine e sicurezza pubblica presso la stessa Prefettura, con i poteri di Sindaco e di Giunta Municipale”.

Imprenditoria al Nord

Che la ‘ndrangheta (e non solo) sia presente al nord è una notizia che non fa notizia, ormai. Ma fa impressione vedere quanto la cosca Farao-Marincola fosse radicata in modo pervasivo nel territorio emiliano.

Uomo di riferimento a Parma risulterebbe essere l’imprenditore Franco Gigliotti, nato 49 anni fa a Crucoli – in provincia di Crotone – ma residente da molto nella città emiliana, titolare di aziende anche assai avanzate dal punto di vista tecnologico. Per gli inquirenti l’uomo sarebbe un “elemento intraneo”, ovvero un soggetto organico all’organizzazione criminale, e “inserito nella gestione di plurimi affari della cosca per un lungo periodo e finanzia la cosca assumendo persone”. E per sottolineare l’importanza del ruolo di Gigliotti, gli inquirenti citano una conversazione fra i sodali del gruppo in cui si dice che l’uomo si impegnerebbe per accrescere “il fatturato delle imprese di ‘ndrangheta e a versare annualmente una parte dei proventi in bacinella”.

Particolare, questo, che si evince anche da alcune intercettazioni: “A Parma vanno una volta al mese a prendere la mazzetta. Siccome là a Parma c’è uno di Torretta di Crucoli che fa dei lavori di saldatura speciale (riferimento a Gigliotti, ndr) e poi, insomma, agli operai, per ricompensarli, per avere, insomma, più amicizia…gli dava i biglietti per la mensa. Cosicché i cirotani gli hanno detto: ‘Togli la mensa a loro e di due euro della mensa li dai a noi’. E lui ogni mese parte, va a Parma e va a prendere la mazzetta che hanno stabilito”.

Accuse pesanti rivolte a un imprenditore che forse Parma non immaginava così poliedrico. Gigliotti era conosciuto per il suo impegno negli ambienti calcistici e rugbistici (è stato fra i primi ad aderire alla campagna per il rilancio del Parma Calcio) e non disdegnava il mondo delle spettacolo, visto che sembra aver messo a disposizione di persone molto vicine alla ‘ndrangheta le proprie entrature per organizzare eventi.

Per gli investigatori Gigliotti è sempre stato molto attento a non “uscire allo scoperto”, soprattutto quando si tratta di partecipare “a incontri nei quali si parla di mafia”. Ma la sua attenzione, evidentemente, non è stata sufficiente: i contatti con la criminalità organizzata, per la Procura, ci sarebbero stati, così come la stretta collaborazione tipica di chi manifesta la piena appartenenza all’associazione a delinquere.

Il riferimento è all’assunzione di molti soggetti, come già ricordato, e specialmente di Vittorio Farao e di Aldo Marincola, arrestati anche loro, che si sarebbero dedicati “all’acquisto, per finalità di spaccio, di quantitativi non modici di sostanza stupefacente”. Aldo, in particolare, è il nipote del boss Cataldo Marincola, legame questo che rivela la presenza ai massimi livelli nella città emiliana della cosca.

“A Parma sti ragazzi lavorano tutti !…Lavorano !…” si legge nell’ordinanza, ma basta intenderci sul tipo di lavoro che viene svolto. Farao e Marincola, infatti, sarebbero stati utilizzati da Gigliotti anche per tenere a bada le pretese estorsive di altri ‘ndranghetisti. A dirlo è lo stesso Farao, nel 2013, mentre parla con il padre a cui racconta di come ha bloccato le richieste fatte a Gigliotti dai cutresi in nome e per conto di Nicolino Grande Aracri.

Insomma, intorno a Gigliotti si era estesa una rete in grado di sostenere gli uomini sul territorio e quelli della terra d’origine.

La curiosità: l’arresto del boss delle cerimonie calabrese

A finire in manette è stato anche Nicola Flotta, il boss calabrese delle cerimonie che si ispirava al più noto don Antonio Polese, l’ex macellaio storico proprietario de La Sonrisa morto lo scorso anno e divenuto famoso per la trasmissione televisiva delle nozze opulente “alla napoletana”. E chissà se Flotta, che di don Antonio voleva rubare i segreti del successo, ricordava i guai avuti con la giustizia in passato dai Polese…

Nelle carte di Stige per Flotta, proprietario del castello omonimo di Marina di Mandatoriccio, c’è una accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso perché nel suo castello si sarebbero tenute decine di cerimonie di famiglie mafiose, molte delle quali offerte dall’imprenditore alla cosca Farao-Marincola.

Per l’accusa Flotta avrebbe stretto un patto con i cirotani in virtù del quale si sarebbe impegnato a finanziare stabilmente la cosca – sia versando una quota degli introiti che elargendo servizi di ristorazione ai familiari del clan – in cambio di una “sponsorizzazione” per implementare il proprio portafoglio clienti.

Tra le altre contestazioni, c’è poi anche quella di illecita concorrenza con minacce e violenza, perché avrebbe costretto, insieme a Francesco Tallarico, l’amministratore di un noto albergo a restituire i soldi anticipati per due matrimoni, portando così le cerimonie nella propria struttura.

Le dichiarazioni dei magistrati

Stige è “una delle operazione più importanti degli ultimi 23 anni per numero di arrestati. È una indagine da portare nelle scuole di magistratura per spiegare come si fa una indagine per 416bis”. Nicola Gratteri lo afferma senza giri di parole e ci tiene a sottolineare da dove è partito il lavoro della Procura: “Questa è una indagine che nasce da un progetto, da un sogno” ha spiegato Gratteri. “Prima di insediarmi sono andato dal generale Del Sette a spiegare l’idea, il sogno di creare una squadra non solo in questa Procura, ma anche fuori. Del Sette è stato il primo a capire questa idea, prova ne è che ha cominciato a mandare i primi della classe nel distretto di Catanzaro, al fronte: mandare gente in periferia non è stato semplice”.

Poi, tornando ai particolari dell’inchiesta aggiunge: “Tutte le attività imprenditoriali e gli imprenditori sono organici all’associazione. Imprenditori mafiosi che hanno gestito attività imprenditoriali nei paesi. Interessata tutta la gamma. Non poteva mancare il controllo politico. La ndrangheta ha messo suoi uomini alla gestione del potere funzionali alla organizzazione criminali”.

E ancora: “Il rapporto mafia-politica è cambiato. La ‘ndrangheta ha messo i suoi uomini, funzionali all’organizzazione criminale. Più volte abbiamo documentato come i politici che cercano i capimafia per avere i pacchetti di voti. Oggi siamo ancora a un passo ulteriore: uomini interni all’organizzazione gestiscono in modo diretto la cosa pubblica. La prossima volta cerchiamo di capire se il voto è libero dopo quest’indagine”.

“Quando un’amministrazione comunale viene presieduta da un uomo di ‘ndrangheta, il baratro è vicino. Parlando con i giornalisti, Vincenzo Luberto, procuratore aggiunto di Catanzaro lancia il suo allarme: “Da calabrese dico: facciamo attenzione perché stiamo rischiando una fortissima compressione di quella che è la nostra libertà di voto. Cerchiamo di reagire”.

‘Ndrangheta stragista: il patto fra calabresi e Cosa nostra

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