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Quando si discute di mafia…

Gian Carlo Caselli il . Mafie

Quando si discute di mafia e dintorni è sempre bene partire dalla definizione di Peppino Impastato: “la mafia è una montagna di m…”. Il coraggio di gridare questa verità da una radio libera, in faccia a don Tano Badalamenti e a tutta la banda mafiosa di Cinisi, Impastato lo pagò con la vita.

Anche per questo le sue lapidarie parole sono imperiture. Esprimono una realtà che vale in ogni ambito. Anche per il dibattito sui film e sulle serie TV che offrono un’immagine stereotipata e romanzata delle mafie – al riguardo, come dissentire dall’opinione di Nicola Gratteri espressa  mercoledì su questo giornale?. Ma ancora di più vale nel campo dell’alimentazione.

Pensare di sfruttare la mafia (una montagna di m…) per vendere qualcosa di più, può andar bene per gli alienati che soffrono di coprofagia. Ma per le persone con un minimo di buon senso e di buon gusto dovrebbe suonare come un’intollerabile offesa. Eppure, il malvezzo di accostare la “montagna di m…” al cibo dilaga. Lo sfruttamento ignobile di un brand infame come la mafia va di moda.

In Europa e nel mondo è un tripudio di “caffè mafiozzo”‘ “fernet mafiosi”, “chilli mafia”, “mafia saus”, ” mafia store” e via seguitando con nauseabonde etichette o insegne. C’è anche un “Palermo mafia Shooting” con incorporato l’avvertimento “stile italiano”: come a suggerire (o imporre) la becera equazione  mafia = Italia. Ma  poiché non v’è limite al peggio, ecco un caso di demenziale inciviltà e barbarie, il massimo possibile di aberrazione. Verificatosi in Austria, dove si vende un “Panino Falcone, che purtroppo sarà grigliato come un salsicciotto” (La Repubblica del 12.11.17).

Il catalogo delle nefandezze comprendeva anche il marchio di una quarantina di ristoranti e pizzerie spagnoli. L’insegna della catena  era  “La mafia se  sienta a la mesa” (la mafia si siede a tavola). Con un sito internet  che  decantava locali arredati in perfetto stile mafioso; resi piacevoli da gigantografie alle pareti raffiguranti i protagonisti del “Padrino” di Francis Ford Coppola; allietati da piatti cucinati secondo tradizionali ricette italiane e con materie prime importate dall’Italia; con la possibilità ,per chi volesse farsi  un drink, di accedere a esclusivi “Club La Mafia  Lounge”.

Un messaggio tanto chiaro quanto osceno: volete provare il brivido di sentirvi mafiosi? Uccidere non potete, ma almeno mangiate come loro … Ma questa volta l’Europa (colpevolmente distratta sul “caso Contrada”) ha funzionato. E  l’Ufficio  della proprietà intellettuale ha annullato il marchio, motivando che non ci si può avvantaggiare nell’esercizio di un’attività economica servendosi di un nome che evoca la pratica sistematica del terrore e viola i principi fondamentali della convivenza civile e democratica.

Attenzione però che la decisione, del 2016, non è definitiva,  avendo il titolare del marchio fatto ricorso. Da ultimo, la vicenda, per vari profili anomala, del “Caffè zu’ Totò “, reclamizzato sul web con tanto di ritratto stilizzato del “capo dei capi”. L’iniziativa commerciale (che per altro sembra rientrata) è di alcuni parenti del defunto. Una parabola surreale: un boss che nella sua feroce organizzazione  criminale aveva ricoperto  un ruolo di assoluta supremazia, capace di piegare ai suoi disegni anche uomini delle istituzioni, ridotto a figurina per la réclame delle cialde di un nuovo caffè … .

Paradossale! Segno che in Cosa nostra un’era si è davvero chiusa ?  O anticipazione di quello che sarà il giudizio della Storia?

Articolo apparso su Il Fatto Quotidiano

La sfida alle mafie agroalimentari

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