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Il 21 marzo è finalmente legge

Lorenzo Frigerio il . L'analisi

vittime_mafiaCi sono volute ben sei legislature del Parlamento italiano, oltre due decenni di storia nazionale, ma finalmente è arrivata la notizia tanto attesa da Libera, ma soprattutto dai tantissimi familiari delle vittime innocenti delle mafie.
Grazie ad una legge dello Stato, approvata all’unanimità dalla Camera dei Deputati proprio in quest’ultima settimana, il 21 marzo è diventato ufficialmente la “Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie”.
Un risultato sperato e a lungo inseguito nel corso di tutti questi anni, una richiesta che è costantemente rilanciata da Libera da ogni palco, da ogni città che negli ultimi ventidue anni ha visto celebrarsi la giornata del 21 marzo con migliaia e migliaia di persone provenienti da ogni angolo del paese. Dalla prima edizione di Roma fino all’ultima di Messina, passando per le tre edizioni di Contromafie, gli stati generali dell’antimafia (2006, 2009, 2014), non è mai mancato l’invito alla politica perché riconoscesse con legge quello che era diventato un appuntamento fisso nel cuore di tanti italiani e, soprattutto, dei tanti familiari delle vittime, ben prima e a prescindere dalla sua istituzionalizzazione, oggi finalmente arrivata.
Rileggendo ora quello che è avvenuto negli anni passati, possono forse far sorridere le mille polemiche, le palesi resistenze, le silenziose chiusure che, dentro e fuori i palazzi della politica, accompagnarono l’iter legislativo di una proposta che era nata dal basso, che era stata pensata e voluta per dare dignità alle tante vittime delle mafie, che ha rappresentato e continua a rappresentare il nucleo fondamentale della proposta associativa di Libera.
Eppure, per quanti sorrisi, amari, si possano fare, tuttavia non si possono dimenticare i tentativi di strumentalizzazione, le pietre d’inciampo disseminate lungo il cammino di una proposta, nata come ipotesi condivisa dalla stragrande maggioranza dei familiari delle vittime di mafia, proprio perché aveva e continua ad avere un suo senso profondo.
Scegliere un giorno, che non fosse segnato da altri anniversari del calendario civile del nostro Paese, per ricordare tutte le vittime innocenti delle mafie, tanto quelle più famose – il cui sacrificio non a caso continua ad essere celebrato comunque e giustamente nella ricorrenza del loro assassinio -, quanto quelle meno note, pensando soprattutto alla stragrande maggioranza di loro che era e resta purtroppo sconosciuta, voleva dire scegliere un momento unico ed alto nella vita del Paese per richiamare all’attenzione della collettività il sacrificio dei tanti uomini e delle tante donne, cadute per mano della violenza mafiosa e, ancora oggi, senza verità e giustizia.
Basti pensare che il 75% (settanta cinque percento…) di loro non conosce le ragioni della morte dei loro cari e vive di supposizioni e spera di poter un giorno sapere il nome di mandanti ed esecutori dell’omicidio o della strage che ha cambiato la loro vita.

La memoria affidata ai giovani
Data per fondante questa finalità iniziale, il 21 marzo si connotò anche fin dalle sue prime edizioni per il naturale coinvolgimento delle scuole e dei giovani, depositari della speranza in un futuro in cui possa essere cancellata l’ipoteca mafiosa sulla vita quotidiana di paesi e territori, insanguinati e violentati per la voglia di denaro e potere che anima le cosche.
La giornata del 21 marzo fu vissuta fin da subito con la consapevolezza prima, la pratica poi, del necessario e costante passaggio del testimone della memoria della lotta alle mafie, che andava previsto e praticato nell’educazione delle giovani generazioni.
Solo lavorando in questa direzione, si sarebbe fatto tesoro di quello che era stato il lascito morale di Paolo Borsellino, uno dei primi a capire l’importanza della formazione dei giovani nella crescita di una cultura antimafiosa, patrimonio dell’intera nazione. «La lotta alla mafia – aveva ammonito profeticamente il giudice ucciso da Cosa Nostra – il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità».
Con il passare degli anni, il 21 marzo divenne così il punto di partenza e di arrivo, una vera e propria boa attorno alla quale far ruotare i percorsi di educazione alla legalità democratica; di conoscenza storica delle mafie; le pratiche dell’antimafia sociale – esemplificati dai campi di lavoro e studio sui terreni confiscati alle mafie – e le tante iniziative realizzate prima nelle scuole e nelle associazioni studentesche e poi, da ultimo, anche nelle università italiane.
Cuore di molti – per non dire di tutti – questi percorsi è sempre stato il racconto delle storie delle vittime innocenti delle mafie, supportato dall’incontro con i loro familiari.
Una pedagogia che nata dal dolore personale è diventata testimonianza di vita vissuta capace di smuovere coscienze e di muovere la gente. La lacerazione privata, privatissima che scuote le vite delle persone che hanno perso i loro cari per colpa della violenza criminale, grazie a questo crogiolo di lacrime e sangue, cambia, si trasforma in qualcosa di diverso: speranza di cambiamento, incontro personale e condivisione autentica, richiamo ai valori più alti della convivenza pubblica, quelli sanciti dalla nostra Carta costituzionale.
Grazie a chi non c’è più
Ecco, ora che il sogno di avere il giusto riconoscimento dello Stato a questo percorso si è finalmente compiuto, accanto alla felicità per il risultato raggiunto, c’è spazio anche per la nostalgia e il rammarico di non avere con noi a festeggiare alcune persone che tanto si sono battute perché il 21 marzo diventasse legge dello Stato.
Non stiamo parlando delle vittime, ovviamente, ma piuttosto dei molti familiari che nel corso di questi ventidue anni hanno marciato nelle diverse città d’Italia, portando prima nel loro cuore e, poi, gridandolo dal palco il nome dei propri cari. L’elenco di chi non c’è più è lunghissimo purtroppo e si sovrappone, per il gioco della vita che scorre, all’elenco delle vittime che viene letto ogni anno.
Non ci restino male quindi i tanti familiari rimasti se, a nome di questi uomini e donne che oggi accomuniamo nel ricordo ai loro cari uccisi dalle mafie, vogliamo ricordare un nome, quello di una donna coraggiosa e tenace che si è battuta, fin dalla nascita di Libera e fino al suo ultimo giorno, perché ci fosse un giorno in cui ricordare tutte le vittime delle mafie, compreso quello del figlio che le era stato strappato in un agguato mafioso.
Saveria Antiochia è la familiare che vogliamo prendere a simbolo di tutti gli altri che nel frattempo se ne sono andati e non hanno potuto vedere l’alba del prossimo 21 marzo, quello che celebreremo a Locri, in terra di Calabria.
Ne siamo certi, con la sua proverbiale franchezza, capace di non fare mai sconti alla politica, Saveria avrebbe avuto le parole giuste per raccontare la fatica di questi anni, nel tentativo di far passare una legge che in molti hanno cercato di ostacolare, perché avrebbe significato dare ragione a Libera.
Ecco perché nella soddisfazione che don Luigi Ciotti ha espresso a nome dell’associazione, c’è anche lo spazio per tutta questa fatica, dovuta alle insensibilità e alle ritorsioni che hanno cercato di ostacolare l’iter legislativo della giornata del 21 marzo, comprese le polemiche e gli attacchi che negli ultimi anni sono arrivati anche da chi non ci si sarebbe mai aspettato e che ora vengono spiegati diversamente.
Firme ben più illustri del giornalismo italiano sulle colonne di quotidiani nazionali hanno avuto modo di rappresentare lo sconcerto, il rammarico e il danno subito da Libera in quest’ultimo periodo e le nostre parole non aggiungerebbero nulla di rilevante.
Lasciateci, quindi, in questo momento di gioia, ricordare anche altre due persone che, pur non essendo familiari di vittime delle mafie, ma giornalisti del servizio pubblico, hanno portato il loro fondamentale contributo alla loro causa.
Stiamo parlando di Roberto Morrione e di Santo Della Volpe che, dalle colonne di Libera Informazione negli anni alla direzione della nostra testata, accompagnarono lo svolgersi delle diverse edizioni della manifestazione promossa da Libera.
Di entrambi di loro conserviamo le immagini di quelli che furono i loro ultimi 21 marzo.
Roberto ce lo ricordiamo sul palco di Potenza, visibilmente provato dal freddo e dalla pioggia, ma ancora di più dalle difficoltà vissute in quel momento da Libera Informazione, a causa del “fuoco amico” che spesso ha lacerato incomprensibilmente il vissuto di Libera. Da lì a due mesi ci avrebbe lasciati, stroncato dal male incurabile che lo aveva inesorabilmente piegato nel fisico, ma non nell’animo.
Per Santo invece l’ultimo 21 marzo fu quello di Bologna, dove si divise tra i servizi realizzati per il Tg3 e il seminario pomeridiano dedicato all’informazione. Quel giorno fu vissuto con la consapevolezza che il direttore sembrava stesse vincendo la sua battaglia contro l’insidioso male che, nei mesi precedenti, lo aveva messo a dura prova. Sembrava davvero rinato Santo e lo raccontava con meraviglia e gioia a chi gli chiedeva come si sentisse. Purtroppo solo dopo qualche mese la speranza dovette fare i conti con la realtà.
Ecco perché, comunque la pensiate al riguardo, ci piace pensare che Saveria, Roberto e Santo, insieme ai tanti altri familiari delle vittime che ci hanno lasciato in questi anni, ci accompagneranno a Locri e nelle tante piazze d’Italia dove sarà celebrato il 21 marzo, da oggi ancora di più “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie”.

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