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Diari dalla Bolivia

a cura di Libera* il . Internazionale

Giramondi quest’anno è alla quarta edizione, e, dopo Argentina, Messico e Colombia, visiteremo uno dei paesi latinoamericani più vivaci a livello sociale, dove appunto le organizzazioni e le associazioni oggi partecipano al processo politico a vari livelli. Partiamo in sedici volontari da Roma, di cui otto fanno parte del gruppo Giramondi e altri otto giovani al progetto Atrevete!Mundo che, oltre a voler conoscere le realtà sociali, farà diverse esperienze di volontariato.

A seguire i diari

Diario Giramondi – 28 e 29 aprile 2015

Per il gruppo Giramondi il 28 aprile è l’ultimo giorno a La Paz. Prima di lasciare questa città piena di colori, odori, storie di resistenza e tenacia dei singoli e dei movimenti associativi, incontriamo altre due associazioni che ci aiutano a comprendere ancor di più le peculiarità di questo paese, le aspettative della popolazione, le contraddizioni del governo Morales. Il primo incontro della giornata è presso la sede del CSCIOB – Confederacion Sindical de las comunidades interculturales bolivianas. Si tratta di una delle organizzazioni sindacali più forti del paese, seconda solo alla Confederaciòn Sindical Unica del los Trabajadores Campesinos de Bolivia che abbiamo visitato il giorno precedente. Anche il CSCIOB è stata una delle cinque organizzazioni che hanno dato vita al MAS – Movimiento al Socialismo, che ha portato al potere Evo Morales, ed è la seconda forza politico-sociale del paese e detiene la vicepresidenza dell’IPSP (“instrumento politico por las soberanìa de los pueblos”). Questo sindacato rappresenta i campesinos (contadini) che lavorano nelle cosiddette “tierras bajas”, quelle a est di Santa Cruz, denominati “interculturales” poiché ai tempi della riforma agraria boliviana degli anni Cinquanta sono emigrati nella zona orientale del paese dove sono state assegnate loro terre fertili e ancora vergini. Provenendo da differenti zone del paese, questi contadini-migranti erano portatori di tantissime culture (incluse quelle indigene) e proprio da questa caratteristica dipendeva la loro “inteculturalità”. Un ruolo fondamentale del sindacato è stato favorire l’integrazione e la costruzione di un’identità comune a questa gente che si stava ricostruendo una nuova vita in un’altra zona del paese. Se fino a qualche anno fa la CSCIOB faceva un po’ di fatica a ottenere riconoscimento e considerazione da parte della classe dirigente al governo, con Evo Morales è cambiato tutto: il suo programma elettorale e la sua strategia di governo basata sul protagonismo dei movimenti e sulla valorizzazione dell’intercultura sono stati un volano per il sindacato, che non a caso sostiene Morales sin dal 2005. Gli obiettivi nell’agenda del CSCIOB sono molteplici. Ovviamente la centralità è dedicata alla questione agraria: il sindacato sta proseguendo la sua battaglia per la distribuzione egualitaria delle terre. Ma l’attenzione è puntata anche sull’istruzione, sulla lotta alla povertà nonché sulla questione dell’accesso al mare della Bolivia. Altro capitolo controverso è quello delle colture transgeniche, ormai abbastanza diffuse in Boliva (soia, cotone, riso, grano). Il CSCIOB di principio è contrario all’agricoltura transgenica nell’ottica del rispetto per la Pachamama e dell’armonia con la natura, ma il sindacato sta scendendo a patti con questa situazione “utile a risollevare l’economia nazionale” e dunque l’accettano, cercando comunque di arginarla o perlomeno di regolamentarla. Nel pomeriggio del 28 aprile ci rechiamo nuovamente a El Alto, stavolta per incontrare l’associazione “Benemeritos de la guerra del Chaco” e i combattenti della “guerra del gas”. I primi sono i figli dei combattenti della guerra che si è svolta nella regione del Chaco, al confine con Paraguay dal 1932 al 1935 per la contesa delle risorse del sottosuolo di quell’area: gas e petrolio. Ci hanno raccontato con grande pathos le vicende di quegli anni vissuti attraverso i racconti dei loro genitori, rivelando un trauma non ancora risolto e un desiderio di mantenere viva la memoria di quei boliviani sacrificatisi per garantire l’autonomia energetica del proprio paese. Circa 80mila i morti rimasti sul campo per questa guerra, conclusasi con un trattato di pace che ha visto la divisione della regione fra i due paesi. La “guerra del gas”, che si è svolta nel 2003, è concettualmente legata a quella appena descritta poiché si incentra, ancora una volta, sulla gestione degli idrocarburi. Iniziata con gli scontri del gennaio 2003 in Plaza Murillo a La Paz, a seguito di una manifestazione studentesca, la protesta ha poi avuto il suo culmine con l’ “Agenda de Octubre” che ha raccolto le istanze di movimenti operai, studenteschi e singoli cittadini. Il principale motivo di questa sommossa era la decisione di governo di Sanchez de Losada, l’allora presidente della Bolivia, di vendere il gas al Cile che, attraverso un processo di industrializzazione avanzato, lo avrebbe a sua volta rivenduto ai mercati statunitensi e messicani. El Alto è stato uno dei principali palcoscenici della protesta, con barricate realizzate e difese da cittadini organizzati in gruppi di quartiere che hanno completamente paralizzato la città per circa un mese. La giornata del 29 aprile è dedicata alla visita di Oruro e del lago di Poopò, una delle aree più contaminate del paese a cause dell’attività mineraria. Incontriamo le donne che fanno parte del Colectivo Casa, che riunisce le associazioni e i movimenti che si oppongono allo sfruttamento del territorio da parte delle multinazionali del settore estrattivo e denunciano la contaminazione delle acque e del suolo dovuto all’attività estrattiva. Angela Cuenca, giovane attivista del Colectivo, ci accoglie nella sede dell’associazione e ci racconta in cosa consiste la loro lotta. L’incontro ha inizio con l’ “Acto ritual del permiso alla Pachamama”, una cerimonia suggestiva che crea immediatamente una atmosfera di fiducia reciproca. Questo atto di accoglienza, a cui abbiamo partecipato tutti noi, ci ha fatto sentire subito parte di questa realtà e ha creato empatia con quanto provano queste donne straordinarie, in prima linea per difendere la propria terra e per garantire il rispetto della Pachamama. Abbiamo trascorso tutta la giornata con hermana Noemì, hermana Marìa, hermana Sabina, mama Margarita e mama Catà, le animatrici del Colectivo Casa e della “Red Nacional de Mujeres por la defensa de la Madre Tierra”, a cui aderiscono circa 70 donne. Obiettivo del Colectivo Casa, che nasce nel 2008, è sostenere a livello tecnico, legislativo ed economico le organizzazioni che si oppongono alle imprese del settore minerario. Grande attenzione è data alle attività di ricerca (uno dei pamphlet più recenti è “Minera como M de machismo, Pachamama come M de mujer”) e di formazione (la “Escuela de conflicto socio-ambientales” offre alle donne una formazione specifica sul tema dell’attivismo, i loro diritti e la legislazione sul tema minerario). Il Colectivo sta inoltre lavorando sul tema della leadership femminile e sul coinvolgimento delle donne. Non è causale che questo movimento sia tutto al femminile: “La Pachamama è fertile e dona la vita, esattamente come le donne. E quando le industrie minerarie aggrediscono e feriscono la Pachamama, è come se aggredissero e ferissero le donne” ci spiega Margarita Aquino, coordinatrice della “Red Nacional de Mujeres por la defensa de la MadreTierra”. Inoltre le conseguenza nefaste dell’industria mineraria (contaminazione delle acque e della terra, malattie degli animali e degli uomini, inquinamento dell’aria) hanno effetti diretti sul ruolo della donna nella comunità. Altro elemento determinante è che la maggior parte delle miniere boliviane si trova nei pressi di corsi d’acqua, che sono inevitabilmente contaminati da ogni genere di sostanza (dal cianuro al rame, dal ferro allo zinco). Si dice che uno dei talloni d’Achille del governo Morales sia proprio la strategia di crescita dell’industria mineraria, culminata nella “Ley minera” del 2014 (la legge che regolamenta la materia) concepita nell’assoluta segretezza e sulla base di accordi e compromessi fra parlamento e rappresentanti del settore, senza alcun coinvolgimento della popolazione interessata. E’ stato un duro colpo per i movimenti e le associazioni che difendono la Pachamama, e soprattutto è una linea quantomeno contraddittoria per un governo che si è fatto paladino a livello internazionale della tutela dell’ambiente e del rispetto della terra, fino al punto di promulgare perfino una “Ley por la Madre Tierra”.
In questo atteggiamento del governo Morales si intravede una linea di continuità con l’approccio dei governi precedenti su questo tema: le miniere vanno sfruttate quanto più possibile per produrre ricchezza. L’industria estrattiva, nelle mani di multinazionali svizzere, statunitensi, canadesi e coreane, di fatto opera con la benedizione del governo che, in virtù della “ley minera”, tutela le imprese dalle proteste e mobilitazioni messe in atto dalle popolazioni toccate da questa piaga. Nel frattempo le popolazioni del dipartimento di Oruro continuano a patire le conseguenze di questa situazione e spesso hanno difficoltà ad argomentare le loro denunce con dati scientifici: le agenzie deputate ai controlli delle acque e del suolo spesso cadono nelle maglie della corruzione e si fanno “comprare” dalle multinazionali in cambio del silenzio. Ma le parole non bastano: le donne del Colectivo Casa desiderano farci toccare con mano la gravità della situazione. Inizia così il nostro viaggio verso l’interno dell’Altipiano, attraversando un territorio violato e non più in grado di generare valore per la sua popolazione. Laddove c’era pascolo e colture di patate e quinoa, ora c’è una terra “morta” per almeno i prossimi cinquanta anni. Argento, zinco e piombo contaminano i corsi d’acqua di questa zona. Dalla sera alla mattina vengono installati nuovi tubi di scarico che traghettano acque contaminate provenienti direttamente dalle miniere. Acque gialle, acque sormontate da una schiuma sinistra, acque che non potranno mai più dissetare la popolazione che vive in quei pressi. Gli abitanti della comunità di Poopò sono stati deprivati dei beni più preziosi: acqua, terra, aria pura, un futuro per i loro figli. Le coraggiose donne della Red e del Colectivo Casa lottano per restituire alle loro comunità ciò che il governo e le multinazionali hanno sottratto loro. Noi siamo accanto a loro in questa lotta.

Atrevete!Mundo

Domenica 26 Aprile
Il primo risveglio del gruppo Atrevete nella comunità Afro-Boliviana di Yabalo, dove i ragazzi si fermeranno per alcuni giorni di condivisione, e’ inaugurato da una lunga giornata all’insegna della raccolta della “hoja de coca” ed un’escursione verso il fiume sull’altro lato della montagna. La comunità di Yabalo vive della produzione di coca come unico prodotto di esportazione nei mercati legali. Non appena si arriva nelle piantagioni, Janet,nostra guida e referente per la fondazione Yabatac della comunita’, e la zia raccontano al gruppo le tre fasi principali della produzione di coca: la prima consiste nel piantare la coca sotto un letto di paglia finché non cresca abbastanza da poterla poi piantare nel “Cocal”, ovvero una piantagione organizzata in terrazze sui pendii scoscesi delle Ande. La seconda fase consiste nella raccolta delle foglie di coca, seguita dalla terza ed ultima fase in cui le foglie vengono lasciate seccare al sole su un telo disteso su una superficie piana, per un intervallo di tempo di due o tre ore, finché non diventino secche e pronte ad essere vendute nel mercato legale di La Paz, ad un prezzo medio di 30 Bolivianos / libra (circa 4 euro). Nel pomeriggio, l’autista della comunità è venuto a prendere il gruppo Atrevete per cominciare un lungo percorso verso il fiume, attraversando una strada impervia, accompagnato da Cumbia (musica locale) e paesaggi mozzafiato. All’arrivo al rio, Janet ci ha mostrato le particolarità della zona, come alberi da frutto che nascono spontaneamente ed il fiore simbolo nazionale. Dopo aver rinfrescato i piedi nelle acque fredde del rio, siamo andati a raccogliere dei frutti nell’area circostante. Subito dopo ci si è messi in viaggio per ritornare al villaggio, pronti per una cena a base di pollo, riso e verdure cresciute nei campi della comunità. La giornata si conclude sempre molto presto per tutti qui, per ricaricare le energie in vista di una nuova giornata di lavoro. La sveglia è alle 5, e al gruppo non dispiace troppo: d’altronde, far parte di una comunita’ ha diritti e doveri,e noi siamo qui per condividerli tutti.

27 aprile
Partiti a notte fonda dalle distese andine di Yabalo sotto una pioggia battente, il gruppo Atrevete!Mundo arriva a La Paz di primo mattino. Oggi è giornata di traslados (trasferimenti) e, dopo qualche ora di nuovo nella città che ci ha accolto all’inizio di questo viaggio, ci sposteremo a Cochabamba per conoscere altre nuove realtà di base e associazioni boliviane. Cochabamba, a differenza di La Paz, si trova ad un’altitudine minore, ed è chiamata “la città della Madre Terra” ovvero la Pachamama. Questo concetto ancestrale, che risale appunto alle culture indigene Aymara e Quechua, è il fulcro delle lotte dei campesinos di questa terra, che hanno lottato per proteggere e preservare le loro coltivazioni autoctone e la dignità di questi luoghi. Con l’avvento del neoliberalismo infatti, dopo la fine delle dittature all’inizio degli anni Ottanta, in Bolivia si è cercato (ed in molti casi ottenuto) l’esclusione dei campesinos e dei cocaleros dalle battaglie politiche e dagli obiettivi economici primari, segregandoli nelle loro terre fuori dalle città, senza preservare il rispetto dei diritti fondamentali e senza la garanzia dei servizi minimi di acqua potabile, elettricità e abitazioni sicure. Ora le cose stanno pian piano migliorando, grazie soprattutto alla protezione delle minoranze e l’importanza culturale delle molteplici etnie descritte nella nuova Costituzione, che han dato anche il via ad alcune operazioni concrete nelle terre originarie di questi contadini. Ancora molto c’è qui da fare. Ma chi ben comincia…In serata il gruppo Atrevete!Mundo con “sogni e bagagli” prende quindi il bus per Cochabamba, dove arriverà l’indomani mattina prestissimo. Nel 2000 gli occhi del mondo si puntarono su Cochabamba quando i suoi cittadini sollevarono una protesta generale per l’aumento delle tariffe dell’acqua. La Banca Mondiale aveva obbligato il governo boliviano a svendere l’azienda dell’acqua al colosso statunitense Bechtel allo scopo di finanziare la realizzazione di un tunnel che avrebbe dovuto portare l’oro blu al di là delle montagne. L’aumento delle tariffe che ne conseguì spinse centinaia di migliaia di cittadini a manifestare nelle strade, finendo per mettere fuori gioco l’industria “gringa”. Anche questa storia, come tutte le altre che stiamo ascoltando in questi giorni, ci mostrano un Paese in lotta, che non ha aspettato una “soluzione dall’alto” ma ha portato tra le sue genti la forza della giustizia sociale, costruendo giorno dopo giorno coscienza popolare. La Bolivia, dopo secoli di sottomissione al colonialismo straniero di tutti i livelli, sta cambiando e grazie ai movimenti sociali conquista ogni giorno di più una dignità propria, che per guardare al futuro rispetta il suo passato ancestrale.

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