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Allarme usura in Toscana

di Gaetano Liardo il . Senza categoria, Toscana

Sono 8.000 i commercianti e gli imprenditori toscani schiacciati dall’usura. Un numero pari al 10,6% del totale regionale. Il rischio è molto alto nelle province di Pistoia e Livorno, medio – ma sempre oltre il livello nazionale – a Firenze, Pisa e Prato, e basso a Grosseto e Siena. Numeri allarmanti quelli forniti da Sos Impresa, che ha presentato ieri un  rapporto sull’usura in Toscana, nella settimana che  precede la Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie. Una situazione, quella dell’usura,  da non sottovalutare soprattutto in un periodo di crisi economica che esclude commercianti e imprenditori dall’accesso al credito.

«In Toscana – si legge nel rapporto – l’usura ha radici forti. Tre le aree particolarmente a rischio vi sono: la Versilia, il circondario di Montecatini e la provincia di Prato. A tale riguardo si è parlato della Toscana come lavanderia dei clan campani. Nella loro attività usuraia, che s’intreccia con affari nel mondo del gioco d’azzardo e della gestione di locali notturni, si segnala soprattutto il clan camorristico dei Terracciano».

Degli affari dei Terracciano parla anche l’associazione Libera, nel dossier”Usura, il Bot delle mafie”: «Un clan della camorra che ha operato per anni in Toscana, ha spadroneggiato nel settore dei locali notturni acquisendoli con metodi mafiosi, ha gestito bische clandestine, ma soprattutto ha prestato denaro a usura praticando tassi fino al 1000% e terrorizzando gli imprenditori finiti nella spirale dei debiti, realizzando colossali profitti».

Ascoltato lo scorso giugno in Commissione antimafia, della situazione toscana ha parlato Giusto Sciacchitano, attuale Procuratore nazionale antimafia facente funzioni, all’epoca responsabile del coordinamento con la Dda fiorentina. «Le famiglie camorriste Terracciano, Mazzarella, Pellecchia, Birra, Setola sono ormai da molto tempo oggetto di indagine e sono individuate come presenze ormai costanti che hanno la possibilità di incrementare il proprio potere in quanto si inseriscono nel tessuto sociale ed in quello economico, comprando le aziende con mezzi ovviamente illeciti ed inquinando con ciò l’economia legale».

Un modo semplice che hanno i boss per prendere il controllo di un’azienda è quello del prestito usuraio. Le cosche, infatti, dispongono di una disponibilità  di denaro praticamente illimitata. Si offrono, quindi, in “aiuto”  degli imprenditori in difficoltà con lo scopo di allungare le mani sull’azienda in crisi. Nella relazione del 2011 la Direzione nazionale antimafia, riferendosi ai clan camorristi presenti in Toscana, individua tra i settori dove “investono”  con maggiore attenzione proprio l’usura. Nella relazione si legge che: «Abbiano individuato alcuni settori d’investimento particolarmente redditizi (edilizia, ristoranti – alberghi e bar, scommesse clandestine, settore tessile ed usura) con finanziamenti continuativi e cospicui ad imprenditori toscani in parte vittime ed in parte complici ed in parte aventi tutte e due le qualità».

Un esempio dell’attività  in campo usuraio è dato dalla ricostruzione di due procedimenti penali avviato dalla Dda di Firenze. La prima, come riporta la Dna nella relazione del 2012, riguarda l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Angelo Russo e Pasquale Tavoletta. L’inchiesta coordinata in collaborazione con le Dda di Perugia e di Napoli si è  concentrata sulle attività di usura e riciclaggio in Toscana, Umbria e nelle Marche. Russo e Tavoletta, scrive la Dna che: «Nella loro ampia e proficua attività criminale hanno coinvolto numerosi soggetti c.d. “toscani” (quest’ultimi rendendo, dopo l’esecuzione delle ordinanze cautelari, sostanzialmente ed in linea di massima veritiere dichiarazioni auto ed etero accusatorie anche verso il vertice campano)».

La seconda operazione descritta dalla Dna riguarda il clan camorrista D’Innocenzo, da tempo presente in Toscana, ma che vanta solidi legami in Campania con i Russo e i Nuvoletta. Nel corso dell’operazione sono state sequestrate preventivamente numerose aziende riconducibili al clan. Agli indagati, scrive la Dna, è stato contestato: «Il 416 bis, associazione finalizzata all’acquisto in modo diretto e indiretto della gestione e controllo di molteplici società, legati a clan camorristici campani (Ligato, Russo e Bardellino); plurime imputazioni di estorsioni (629 aggravato art.7 L.203/91) e minacce aggravate; riciclaggio di denaro di provenienza illecita (648 bis)». Il Gip, tuttavia, non ha riconosciuto il reato associativo di stampo mafioso (416 bis), ma soltanto il reato di associazione per delinquere semplice.

Uno spaccato che conferma l’ingordigia dei clan, pronti ad allungare le mani nell’economia legale della Toscana, approfittando della crisi e del forte potenziale economico a disposizione.

 

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