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“Colpire il patrimonio mafioso per liberare tutti”

Fabio Dell Olio il . Dai territori, Puglia

Loro, i boss dei clan che dalla Sicilia alla Puglia, passando per Calabria e Campania, si contendono il controllo del territorio, sicuramente non hanno gradito. E lo hanno fatto capire apertamente rinnovando attentati e lanciando segnali intimidatori con una certa premeditata frequenza. Obiettivi sono stati i campi e i vigneti sottratti alle loro potenti famiglie per divenire luoghi di comunione dove “spezzare il pane dell’antimafia” e ristabilire un patto sociale fondato sulla giustizia e la solidarietà con quelle comunità depredate dal dominio mafioso.

Noi, invece, abbiamo compreso il senso di un riscatto profondo, non solo sociale ma anche politico ed economico,  che è incarnato nelle braccia e nella gambe delle decine di volontari, molti giovanissimi, che in questi mesi estivi hanno scelto di dedicarsi al lavoro sui campi confiscati alle mafie e gestiti da cooperative che portano i nomi di chi ha impresso il sigillo del cambiamento (Placido Rizzotto, Pio La Torre, ecc..) o delle località sulle quali sorgono (Valle Del Marro, Terre di Puglia).

I terreni dei mafiosi non sono come tutti gli altri. Sono speciali. Perché vengono acquistati con una moneta particolare: quella dei soprusi,  del ricatto e della vendetta; mantenuti con l’abuso e lo sfruttamento di manodopera, e per questo rappresentano una lacerante contraddizione col ruolo di “tutori sociali” e dispensatori di favori che i mafiosi millantano nel bel mezzo di quel deserto di diritti e regole che sono diventate le nostre città. Indifese dal dilagare delle nuove calamità sociali che si chiamano “disoccupazione e analfabetismo”; incapaci di pensare a nuove forme di sviluppo  che ripudino le logiche clientelari e i sordidi compromessi; spaventate più dall’arrivo di popoli dell’est, che dalla perdita generale del senso di “bene comune” e dei valori di giustizia sociale e di mutuo soccorso.  Di quelle periferie mai così lontane dalla vita cittadina, dai luoghi di aggregazione e formazione, sempre più riserve indiane nelle mani di bande criminali organizzate. E’ in questo brodo di cultura che proliferano come batteri l’individualismo esasperato e il disprezzo dei valori democratici, che spesso si traducono in ricerca del profitto ad ogni costo. Una vera religione – parafrasando la narrativa verghiana –  quella della “roba”. Ecco perché ci appaiono particolarmente odiosi i delitti predatori rispetto ai reati commessi contro la persona. Attaccare i patrimoni mafiosi, secondo l’ispirazione della legge 109/96, significa indebolire la permeabilità e l’efficacia delle cosche nel territorio, privandole dei rispettivi patrimoni.

E le cooperative di “Libera Terra” rappresentano la migliore risposta alle attese di una società più giusta e responsabile, capace di mettersi in rete col mondo del terzo settore e le istituzioni locali, favorendo la più ampia partecipazione della comunità. Come è avvenuto ad esempio in Puglia, per la giovane cooperativa “Terre di Puglia – Libera Terra”, che sorge nell’agro brindisino tra Mesagne e San Pietro Vernotico, che ha allacciato una fittissima rete di rapporti che va dall’agenzia Cooperare con Libera Terra alla Prefettura e alla Provincia di Brindisi, da Slow Food alla Cooperativa sociale “Campo dei Miracoli”. Quest’ultima in particolare, opera a Trani all’interno del super carcere dove alcuni detenuti sono regolarmente impiegati nella realizzazione di taralli ed altri prodotti da forno, utilizzando la farina ricavata dai campi di Libera Terra. Si tratta quindi di un percorso articolato che offre opportunità di lavoro per gli addetti delle cooperative e un’opportunità di riscatto anche per quei detenuti che col lavoro riacquistano la dignità e libertà perdute.

La principale peculiarità di queste cooperative è quella di instaurare un rapporto privilegiato col territorio, rispettandone la cultura e la tipicità dei suoi prodotti. Così nasce in  Puglia il Salento Rosso, ottenuto in prevalenza da uve autoctone di Negramaro, e in Sicilia il “Centopassi Placido Rizzotto”, frutto dell’unione di Nero d’Avola e Syrah, provenienti dai terreni situati nell’entroterra siciliano.

Ultimo stadio di questa filiera produttiva “virtuosa” è la vendita dei prodotti di Libera Terra all’interno delle grandi catene di distribuzione come la Coop, o nelle botteghe “I sapori della legalità” che stanno prendendo piede nei territori dove sorgono le cooperative impegnate sui terreni confiscati.

La mafia impedisce all’economia del Mezzogiorno di decollare, svilupparsi, crescere. Per dirla col Censis, la sua presenza è causa di quello “zavorramento dell’economia” che spesso inquina anche l’economia pulita. Queste cooperative che liberano ettari di terreni appartenuti ai feudi mafiosi, per restituirli all’economia sana del territorio, rappresentano qualcosa di più di una mera provocazione.

Sono la testimonianza vivente della convenienza della legalità, della possibilità concreta di sconfiggere le mafie recependo le domande provenienti dal territorio, assicurando col lavoro pulito un maggiore benessere sociale e offrendo risposte certe, non più promesse.

Adesso immaginiamo cosa ne sarebbe se in ogni provincia del Belpaese, sotto l’impulso dell’esperienza di Libera Terra, nascessero cooperative sociali e dalla ricchezza smisurata (e spesso illegale!) di pochi partisse un processo redistributivo, un opportuno “travaso sociale” che abolisca ingiustizie economiche e sociali, le principali alleate del nemico mafioso.

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