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Palermo, una nuova primavera antimafia

Di Umberto Di Maggio il . Dai territori, Sicilia

Perché una città come Palermo deve portare il peso dell’ignominia mafiosa? E’ una domanda che mi pongo quotidianamente da referente locale dell’associazione Libera. E’ un dubbio che mi tormenta quando parlo ai ragazzi delle scuole, agli operatori delle associazioni, alle forze sociali e politiche della mia città.

Ogni giorno vedo tante facce, soprattutto di ragazzi, di giovani palermitani che sognano una città libera da Cosa Nostra. Sono volti che chiedono risposte immediate e che non vogliono perdere altro tempo appresso a promesse inutili e farneticanti.

Vedo tante facce come la mia, e scorgo occhi carichi di rabbia. Sento le grida di persone stanche di ottenere per “gentile concessione” ciò che gli spetta per diritto, e avrei voglia, almeno per un po’, di dirgli di non guardare al marcio che c’è in giro e di valorizzare quanto sta accadendo d’innovativo e stravolgente nella nostra Sicilia: gli imprenditori che si ribellano al pizzo, le cooperative di lavoratori che gestiscono beni confiscati, i criminali che collaborano con la giustizia, i numerosi successi delle forze dell’ordine, il moltiplicarsi delle indagini della magistratura. Ma tutto ciò, evidentemente, non basta. Purtroppo.

Ricordo ancora quel maledetto 23 Maggio del 1992, lo ricordo perfettamente quel sabato uggioso che non riesco a cancellare dalla mia memoria. Ero un ragazzino che tornava a casa dopo una partita di calcio e le immagini cruente dei telegiornali, quel giorno, mi colpirono. Certo, nella Palermo degli anni ’90 eravamo abituati ai bollettini di guerra, a vedere le strade insanguinate e a sentire le sirene della polizia. Ma perché tutta quella commozione? Per la prima volta capivo cosa poteva significare piangere di disperazione, capivo cosa significava essere sconfitti. Avevano ucciso il giudice Falcone, e noi avevamo perso.

Pochi anni prima avevamo esultato per quei 2600 anni di carcere e quei 20 ergastoli inflitti con il Maxi Processo, e forse avevamo pensato di aver sconfitto la mafia una volta per tutte. Ma con le stragi di Capaci e di Via D’Amelio si ripiombava nel baratro. Cominciai ad odiare profondamente la mia città e miei concittadini. Disprezzavo il loro sconforto, ed insieme il mio. Detestavo quell’angoscia e mi chiedevo che senso avesse piangere per qualcosa di cui non si poteva essere colpevoli. Soltanto adesso capisco cosa significa quella pena. Non c’è disperazione più grande di sentirsi soli, noi e la nostra mafia. Avevamo perso la battaglia, avevano vinto loro, quei maledetti criminali. Palermo, dopo quegli efferati delitti, dimostrava di essere ancor di più il regno di Cosa Nostra. Dopo un breve ed intenso periodo di rivoluzione culturale e di lenzuoli bianchi stesi ai balconi, la cosiddetta “Primavera Palermitana”, di mafia non se ne parlò più. Non era un nostro problema.

Oggi assistiamo tutti ad un ritorno a quei momenti di ribellione e di rivoluzione. A Palermo, dentro Libera, in questa grande famiglia ho ritrovato quel ragazzino che sognava una città diversa. Insieme a quest’associazione ho imparato, di nuovo, a sperare. Adesso, ogni giorno, incontro giovani che s’impegnano a liberare la nostra terra dalla vergogna dei boss. Vedo le mani dei ragazzi delle Cooperative di Libera Terra consumate dalla fatica ed insieme a loro vedo le facce dei giovani palermitani che vogliono cambiare tramite una rinnovata rappresentanza politica. Guardo i ragazzi di Addio Pizzo con la loro tenacia, vedo gli insegnanti che si sforzano di parlare di legalità e solidarietà, sento i tanti familiari di vittime di mafia che chiedono giustizia. Forse c’è un vento nuovo che fischia su questa terra e i risultati delle forze dell’ordine, l’arresto dei boss latitanti, le innumerevoli confische dei patrimoni mafiosi, ci dicono che non siamo soli in questa battaglia.

Un tempo a Palermo la mafia padroneggiava laddove lo Stato era carente e dimentico dei problemi della gente. Adesso lo Stato c’è e si sente la sua presenza, quello con la “s” maiuscola che ha voglia di dimostrare la sua forza. E di questo rinnovamento Cosa Nostra ne sta subendo i contraccolpi.
Oggi più che mai è necessario cambiare, è obbligatorio cambiare! Ma fuori da ogni retorica e senza proclami adesso ci vuole l’impegno di tutti, senza sconti e deleghe. Perché questa mafia ha cambiato i suoi connotati e assomiglia probabilmente sempre più ad una tela senza ragno, ad un sistema senza struttura. Stiamo assistendo, come ha recentemente evidenziato Antonio Ingroia, “ad una sorta di mafia più civile e di una società più mafiosa. Una mafia sempre più in giacca e cravatta. Insomma, abbiamo interi pezzi di società che hanno ormai introiettato i modelli comportamentali dei mafiosi”. E c’è da preoccuparsi.

Oggi, ad un liceo ho parlato dell’importanza della denuncia degli imprenditori che si oppongono al pizzo. Ho sottolineato l’importanza straordinaria di questa ribellione che ci sta liberando dal peso del racket e delle estorsioni. E nelle parole degli studenti ho letto la voglia reale di cambiare. Uscendo da quella scuola, però, ho portato con me la responsabilità di non deluderli; loro non sono il nostro futuro, sono il nostro presente. Bisogna, allora, continuare a coltivare, insieme, i valori dell’uguaglianza e della libertà che, come diceva Enzo Biagi, “è come la poesia: non deve avere aggettivi, è libertà”. Ecco perché è possibile una nuova primavera a Palermo, ancora un volta!

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