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Palermo, la frontiera si sposta in provincia

Di Giusto Ricupati il . Dai territori, Sicilia

A Bagheria tutto sommato si vive bene. Qualche problema economico, servizi sufficienti, un sindaco buono. “Solo un po’ di traffico”, direbbe Johnny Stecchino.
La mafia? C’è, eppure non si vede né si sente, dunque è come se non ci fosse, almeno secondo molti. Del resto qui nulla esiste fino a quando non arriva davanti la porta della propria casa: questa è la città del nonvedononsentononparlo, una cosa diversa dall’omertà, più simile a una filosofia di vita.

Emblematico è il caso di una piazza in pieno centro storico. Porta due nomi: il primo è quello di un mafioso (Michelangelo Alfano), l’altro è quello di un poliziotto ucciso dalla mafia (Beppe Montana). Una differenza che pochi fanno e così, per ingenuità e non curanza, quasi tutti continuano a chiamarla “piazza Alfano”.

Di Cosa Nostra nella città di Guttuso e Tornatore parlano soltanto i giornali, la strada e di tanto in tanto la politica. I primi raccontano del recente arresto dell’infermiere di Bernardo Provenzano, dipendente dell’ASL di Bagheria; ma soprattutto descrivono gli sviluppi dei processi in corso, delle dichiarazioni del ‘pentito’ Campanella che tira in ballo l’ex sindaco Pino Fricano accusandolo di avere cercato i voti della mafia; oppure del re Mida della sanità Michele Aiello e dei suoi guai con la giustizia, iniziati quando viene indicato come il presunto prestanome dello Zu Binnu. Lo dice la stampa regionale e nazionale, ma per chi legge o ascolta dalla città delle ville sembrano storie di un’altra città.

A Bagheria la primavera dell’antiracket non è ancora iniziata. Ecco perché Palermo, che pure non è un paradiso, dista 18 chilometri che sembrano un abisso. Una sola impresa, la cooperativa edile La Sicilia, ha denunciato negli ultimi anni di avere ricevuto richieste di pizzo, eppure il racket in provincia esiste: lo dicono gli incendi nelle attività commerciali (tre in poche settimane la scorsa estate), lo dice il libro mastro trovato in casa del boss Giuseppe Di Fiore in cui venivano rendicontate le entrate di Cosa Nostra frutto delle ‘donazioni’ di commercianti e imprenditori di Bagheria.

Intanto la maggior parte dei giornali locali latita: parlare di mafia può portare problemi, dunque meglio evitare e lasciare un tema così scottante a chi fa informazione nel capoluogo, o addirittura a Roma. Ma il silenzio è comunque un messaggio: l’avanguardia è molto arretrata, al punto che a Bagheria non si parla dei fatti di Bagheria, e quando lo si fa ci si limita ai bisticci della politica, la propaganda dei partiti, le presentazioni dei libri o i tanti convegni. Chi non sta dentro questi confini è automaticamente esposto, nel giornalismo come in qualsiasi altro campo.

E’ in questo contesto che lavorano da oltre un anno sei giovani giornalisti con tanta buona volontà e una sola ambizione: quella di fare Informazione in una città che sembra non sapersi guardare allo specchio. Senza conoscere ciò che accade è impossibile che una città come Bagheria si risollevi – si sono detti – dunque mettiamo la gente davanti ai fatti e lasciamo loro la possibilità di giudicare. Ne è nato un quotidiano online HYPERLINK “http://www.90011.it/”www.90011.it (dal codice di avviamento postale di Bagheria) che, tra tante difficoltà, prova a raccontare le mille facce di questa città attraverso i fatti. Parla ad esempio dei circa venti beni confiscati alla mafia presenti nel territorio e che, in attesa del regolamento che ne consenta l’affidamento ad enti e associazioni, stanno andando in rovina. Ma va anche fiero di essere riuscito, una volta, a fare in modo che venissero ripulite le villette cittadine vittime dell’incuria. Piccole e grandi cose, insomma, legate dalla volontà di rendere protagonisti i cittadini sfruttando il web come mezzo di libertà, partecipazione, indignazione. Così – mentre altri cercano contributi economici bussando alla porta dei piccoli poteri locali, creando alle Amministrazioni spazi editoriali e trasmissioni televisive a pagamento – 90011.it prova a raccontare i fatti, anche quelli di mafia, lasciando alla gente la possibilità di commentare tutto, a partire dal proprio lavoro giornalistico. Sarà per questo che l’idea di un gruppo di ragazzi sui quali in pochi avrebbero scommesso sembra invece funzionare e ogni mese 25.000 utenti unici leggono questo sito di provincia. Vero è pure che, come spesso accade per i giornali di frontiera, 90011.it deve fare i conti con le difficoltà economiche, viste le poche risorse raccolte con la sola vendita di spazi pubblicitari. Poco importa, si andrà avanti fino a quando ci sarà una speranza per quanti credono ancora nel giornalismo come missione. Perché, come scrisse George Orwell: “La vera libertà di stampa è dire alla gente ciò che la gente non vorrebbe sentirsi dire”. Anche a Bagheria.

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