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Confisca Ciancio, Cassazione: “Ricorso inammissibile”

Laura Distefano * il . Giustizia, Informazione, Sicilia

Confermato, dunque, il decreto di revoca della Corte d’Appello etnea che ha disposto la restituzione delle società

“La Cassazione, quinta sezione penale, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla Procura generale di Catania”.

Con questa decisione la Suprema Corte ha confermato il decreto della Corte d’Appello di Catania che lo scorso anno, in pieno lockdown, ha revocato il sequestro e la confisca del patrimonio societario ed editoriale di Mario Ciancio Sanfilippo deciso dal Tribunale etneo. La sentenza è arrivata dopo una lunga camera di consiglio iniziata dopo l’udienza di ieri che si è tenuta in modalità cartolare: i giudici ermellini hanno analizzato il motivi del ricorso della Pg e la memoria della difesa.

Chiuso il capitolo misure di prevenzione

Quanto si legge nel dispositivo della Suprema Corte chiude in maniera definitiva il capitolo processuale relativo al procedimento delle Misure di Prevenzione. Resta ancora aperto, invece, il processo penale che vede Mario Ciancio accusato dalla Procura di Catania di concorso esterno in associazione mafiosa.

Il commento della difesa

“Giustizia è stata fatta”, è il commento a caldo dell’avvocato di fiducia dell’editore catanese, l’avvocato Carmelo Peluso. “Abbiamo concluso un procedimento giudiziario a dir poco incredibile che dimostra senza alcun dubbio che il gruppo societario e editoriale creato da Mario Ciancio è frutto di lavoro e sacrificio senza alcuna ombra. La decisione della Cassazione di oggi inoltre restituisce serenità a chiunque abbia lavorato e lavorato con Mario Ciancio in tutti questi anni”.

Il lungo processo: dal sequestro all’epilogo in Cassazione

Il sequestro e la confisca del “tesoro” di Mario Ciancio Sanfilippo è arrivato nell’autunno del 2018. È questo l’inizio di tutto: le società vanno nelle mani di due amministratori giudiziari e la direzione del quotidiano La Sicilia è affidata – dopo le dimissioni di Ciancio – ad Antonello Piraneo. La sentenza del Tribunale, sezione Misure di Prevenzione, è pesantissima. Oltre mille pagine in cui è analizzata la consulenza contabile sui redditi, le rivelazioni dei collaboratori di giustizia e le articolate e delicate indagini del Ros inerenti i centri commerciali.

Un tesoro che per i giudici di primo grado sarebbe stato frutto di un primo arricchimento illecito. Valutazione non accolta dalla Corte D’Appello che ha ribaltato il decreto disponendo il dissequestro di tutti i beni. I giudici di secondo grado hanno ritenuto che, nonostante l’amicizia, vicinanza e contiguità di Mario Ciancio Sanfilippo a Cosa Nostra, non vi era però la prova di un contributo attivo all’associazione mafiosa.

La Procura Generale ha impugnato il decreto di dissequestro della Corte d’Appello di Catania. Nel ricorso i magistrati hanno anche fatto un parallelismo tra la sentenza dei giudici di prevenzione, del processo di secondo grado, e quella dei “Cavalieri del lavoro”. Uno degli anni più bui della giustizia catanese.

La difesa di Ciancio ha risposto con una memoria che ha definito “infondato” il ricorso della Procura Generale. La decisione della Suprema Corte sarebbe dovuta arrivare lo scorso autunno, ma un impedimento ha fatto slittare l’udienza. Oggi arriva l’epilogo: il patrimonio e le società restano in mano di Mario Ciancio.

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