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Strage di Bologna: la Procura avoca a sé l’inchiesta

Fedora Raugei il . Emilia-Romagna

strage di bolognaPer la Procura ordinaria l’inchiesta sui mandanti della strage di Bologna, aperta nel 2011 su impulso dell’Associazione 2 agosto 1980, doveva essere archiviata. Una richiesta che i pubblici ministeri avevano formulato l’8 marzo scorso e contro la quale il presidente dell’Associazione, Paolo Bolognesi si era opposto. Pochi giorni fa, una decisione a sorpresa ha segnato un punto a favore dei familiari delle vittime dell’eccidio, ma soprattutto della verità.

All’udienza del 26 ottobre, davanti al gip Francesca Zavaglia che doveva pronunciarsi in merito alle due istanze, la Procura generale di Bologna ha avocato a sé l’inchiesta perché convinta che sui mandanti della strage si deve continuare ad indagare. Per altri due anni, come stabilito dal gip. “Uno straordinario risultato”, ha commentato Bolognesi “in cui speravamo molto. Ciò conferma la validità delle motivazioni che abbiamo esposto contro l’archiviazione”.

Un traguardo importante a cui l’Associazione, insieme ai suoi legali,  è arrivata dopo una travagliata vicenda giudiziaria durata sei anni. L’ inchiesta sui mandanti, infatti, al momento contro ignoti, nasce nel luglio 2011, in seguito ad un esposto dell’Associazione, poi integrato da dettagliati dossier – contenenti nomi, date, circostanze – redatti sulla base di una approfondita analisi e lettura incrociata di migliaia di atti giudiziari digitalizzati di processi per fatti di strage e terrorismo. Un corposo lavoro da cui emergono nuovi elementi sulle responsabilità penali dei presunti mandanti.

Nonostante gli indizi consegnati alla magistratura, però, la Procura di Bologna, nel marzo 2017, chiede l’archiviazione dell’indagine. Un provvedimento che Bolognesi definisce “privo di fondamento”, spiegando le ragioni: “Sono stati lasciati morire per cause naturali alcuni di coloro che avrebbero dovuto essere degli inquisiti senza compiere, nei loro confronti, significativi atti di accertamento delle prove. Non hanno preso in esame il depistaggio preventivo costruito dai Servizi segreti, nel marzo 1980, su Marco Affatigato. Non hanno interrogato personaggi come Mario Ortolani, figlio di Umberto, dal cui conto provenivano una parte dei soldi rendicontati nel ‘documento Bologna’ sequestrato a Gelli al momento del suo arresto, e che si sono limitati a rileggere sulla base di una vecchia relazione della Guardia di Finanza del 1987, senza indagare sui nuovi elementi che, dal 1987 ad oggi, abbiamo trovato e depositato”. E conclude: “o le nostre memorie non le hanno lette o non le hanno comprese”. Una contestazione che si acuisce durante l’anniversario della strage, il 2 agosto di quest’anno, e che nel suo manifesto l’Associazione sintetizza in “la storia non si archivia”, seguita da un duro intervento di Bolognesi in piazza Medaglie d’Oro.

Un attacco alla richiesta di archiviazione a cui il capo della Procura di Bologna, Giuseppe Amato – incerto nel presenziare alla cerimonia per il timore di non essere gradito – risponde difendendo l’attività dei pm : “è il giudice che deve decidere: noi siamo sereni e consapevoli di aver fatto il lavoro che si doveva fare, un lavoro aderente e fedele alle carte processuali”. Pochi giorni fa, davanti al giudice, la Procura generale ha dimostrato di avere tutt’altra opinione in merito alla necessità di continuare l’inchiesta sui mandanti della più grave strage del Dopoguerra, tanto da toglierla alla Procura ordinaria e, forse, iniziare ad indagare.

Per approfondimenti: https://www.stragi.it

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