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La mafia Garganica e l’omicidio del boss Notarangelo

di Piero Innocenti il . Puglia

L’agguato mortale teso due giorni fa da un commando ad Angelo Notarangelo ( soprannominato “cintarrid”) nei pressi di Vieste (Foggia) mentre a bordo del suo fuoristrada rientrava a casa, fa riaccendere i riflettori sulla mafia del Gargano e sulla possibile ripresa di scontri con altri gruppi criminali locali. Notarangelo, leader dell’omonimo clan, tornato in libertà a luglio del 2014, dopo aver scontato alcuni anni in carcere, si occupava di traffico di droghe e sovrintendeva al racket della guardania per “evitare” furti e incendi ad aziende turistiche e agricole. Brutti segnali erano già arrivati pochi mesi fa (novembre 2014) con alcuni attentati dinamitardi in negozi del centro a Foggia, le intimidazioni in alberghi e strutture turistiche a Vieste, il pizzo pagato dai commercianti.

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Che l’Italia sia la patria delle mafie non è una novità ma bisogna leggere i due libri del magistrato Domenico Seccia, per capire che anche nel Gargano esiste, da tempo, una mafia che ormai “..impone il suo comando, la sua forza, la sua violenza”. I media nazionali non hanno dato mai particolare risalto a quella “mafia innominabile” (o “mafia sociale”) da lui descritta nei due libri, pubblicati nel 2011 e 2013 (Editori La Meridiana), frutto della sua esperienza di Procuratore della Repubblica a Lucera ( ufficio che ha lasciato lo scorso anno per la Procura di Fermo, nelle Marche) con un linguaggio asciutto, non sociologico, ma basato sui fatti e gli atti giudiziari. Una mafia quella del Gargano, arrogante e, per lungo tempo, negata, come ha denunciato Seccia. Soltanto nel marzo 2009 la Cassazione, confermando una sentenza della Corte di Assise di Foggia, aveva riconosciuto la mafiosità di una famiglia garganica detta dei “montanari” (i Libergolis). Fu l’anno in cui la violenza registrò diversi omicidi tra cui quello di Francesco Li Bergolis detto “O’ Carcaiuolo”, l’”uomo delle cave”, assassinato perché in contrasto con i “ Romito” di Manfredonia. Nell’ottobre 2011, sempre la Suprema Corte aveva ancora confermato una sentenza, questa volta della Corte d’appello di Bari, riconoscendo la mafia dello “Sperone” italiano, come “..la più efferata e pericolosa in Puglia, ma anche tra le più efferate in Italia (stando alle valutazioni espresse dalle forze di polizia ancora verso la fine del 2010). A Foggia e nell’area garganica, la criminalità organizzata, caratterizzata da un’accesa conflittualità interna e da un’iniziale diffusione di delitti legati alla proprietà terriera, al controllo dei pascoli e dei boschi, si è venuta evolvendo negli anni assumendo i connotati strutturali mafiosi moderni (“Nuova Società”) e stabilendo accordi con le più quotate mafie della camorra e della ‘ndrangheta,  ma anche con gruppi albanesi. Costituita da singole “batterie” (nuclei di pochi elementi) ma nel contesto di una struttura piramidale, la mafia garganica agisce con modalità spiccatamente aggressive, privilegiando le estorsioni ( in danno di aziende agricole, commercianti, imprenditori turistici), il traffico e lo spaccio di droghe, il  riciclaggio. Nella zona del Gargano è forte la contrapposizione tra le famiglie Ciavarella e Tarantino di Sannicandro Garganico e quella tra i Li Bergolis ed i Primosa  Alfieri di Monte Sant Angelo, Manfredonia e Mattinata. Attenuata, invece, la disputa territoriale tra i Li Bergolis e Rossito dopo gli arresti di Franco Li Bergolis (settembre 2010) latitante a Foggia e ospite delle famiglie Francavilla e Sinesi e di Giuseppe Pacilli (maggio 2011), subentrato nella leadership del clan mafioso. Aggregati alle due principali famiglie dei Li Bergolis e dei Rossito, le altre congreghe territoriali-feudali dei fratelli Ricucci, che compongono la c.d “batteria di Macchia” (dall’omonima località di Macchia, agro di Monte Sant Angelo), i Gentile e Notarangelo Francesco (a Mattinata), i Martino (a San Marco in Lamis), i Prencipe (a San Giovanni Rotondo), i Ciavarella (a Sannicandro Garganico). Naturalmente (alcuni) magistrati e (alcuni) appartenenti alle forze di polizia territoriali, non sono stati a guardare e, negli ultimi due anni, nell’ambito di alcune operazioni di polizia sono state arrestati diversi affiliati alle cosche per estorsione, detenzione illegale di armi, omicidio, spaccio di stupefacenti. Si tratta, naturalmente, di piccole ma significative vittorie dello Stato, in un territorio dove, per molti anni, come ha sottolineato Seccia nei suoi libri, si era negata l’esistenza di quei grumi mafiosi che andavano penetrando e inquinando sempre più il tessuto economico e sociale attraverso la violenza.

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