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‘Ndrangheta in Umbria,61 arresti. Roberti: Sgominata holding criminale

di no.fe.* il . Calabria, Umbria

Perugia – Contestato il reato di associazione mafiosa in Umbria ad un sodalizio criminale, collegato alla ‘ndrangheta. L’operazione “Quarto passo” nasce dalle indagini dei Ros, in provincia di Perugia e si estende ad altre località del territorio nazionale. A distanza di oltre 7 anni dall’ultima operazione antimafia, la “Naos”, che si risolse con un nulla di fatto, i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Perugia ci riprovano e le indagini hanno nuovamente al centro una cosca della ‘ndrangheta. Sono 61 le misure cautelari per reati che vanno dall’associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, danneggiamento, bancarotta fraudolenta, truffa, trasferimento fraudolento di valori, con l’aggravante delle finalità mafiose, nonchè per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e sfruttamento della prostituzione. Al centro delle indagini del Ros, spiega una nota dei carabinieri, un sodalizio ‘ndranghetista radicato in Umbria, con diffuse infiltrazioni nel tessuto economico locale e saldi collegamenti con le cosche calabresi di origine. Una holding criminale con ramificazioni nel centro Italia: dal Lazio, alle Marche, dall’Emilia – Romagna alla Toscana. Documentate le modalità tipicamente mafiose di acquisizione e condizionamento di attività imprenditoriali, in particolare nel settore edile, anche mediante incendi ed intimidazioni con finalità estorsive. Attraverso il racket e le intimidazioni si impadronivano delle aziende, le svuotavano e costruivano così il loro impero economico.  E’ in corso di esecuzione, dunque, un provvedimento di sequestro di beni mobili ed immobili, riconducibili agli indagati e ritenuti provento delle attività delittuose, del valore di oltre 30 milioni di euro.

La diretta streaming a cura di Umbria24.it

 

 

L’inchiesta.  Imprenditori taglieggiati, minacciati, subivano in silenzio. Sino alle indagini dei Ros. Poi il racconto del dramma che stavano attraversando, pressati dal sodalizio criminale che operava in provincia di Perugia, con le stesse modalità dei boss di Cirò Marina con cui erano in contatti e che avrebbe il suo centro operativo  vicino Perugia, a Ponte San Giovanni. Il sodalizio criminale nel mirino dei Ros poteva contare su una serie di basi logistiche in bar, pub, ristoranti  e capannoni industriali della zona, utilizzati dalla cosca per riunioni. Ma anche appartamenti privati utilizzati per lo  spaccio di cocaina e la prostituzione. La retata dei carabinieri del Ros, con 61 arresti in Umbria e in altre città, esito dell’inchiesta denominata “Quarto passo” della procura distrettuale antimafia di Perugia, scardina una presunta “filiale” del clan di Cirò e Cirò Marina, paesi di origine delle persone finite in manette. Il gruppo umbro ruota attorno a un paio di soggetti. Si vantavano di conoscere i capi delle ndrine di Cirò, facevano capire alle vittime che chi non si allineava alle loro richieste avrebbe fatto una brutta fine, “perché in Calabria è consuetudine murarli nelle gettate di cemento”. “La ‘ndrangheta, ha spiegato il generale dei Ros Mario Parente – si differenzia perché riesce ad infiltrarsi, riproducendo quei modelli criminali tipici della cosca attiva nei territori d’origine”. “Mi preme sottolineare – ha commentato il procuratore nazionale Franco Roberti, presente alla conferenza stampa – che l’intervento è stato estremamente tempestivo perché questo gruppo era in espansione in termini imprenditoriali. Mi ha colpito l’interesse, ad esempio, nel settore del fotovoltaico. Questo – ha sottolineato – è un aspetto molto delicato e noi come procura antimafia siamo molto impegnati per fermare le infiltrazioni delle organizzazioni della criminalità nei settori più avanzati”. Roberti ha dunque manifestato il suo «compiacimento sincero» verso il Ros, i carabinieri del comando locale e la direzione distrettuale antimafia. Grazie a interventi come questo – ha concluso – possiamo guardare al futuro con relativo ottimismo”. Fra i destinatari dei provvedimenti di oggi anche alcuni cittadini stranieri, che operavano insieme per le attività criminali contestate.

“Cosca autonoma e radicata”. Sono stati sequestrati beni per oltre 30 milioni di euro: 39 imprese, 108 immobili, 129 autovetture e poi contratti d’assicurazione, e centinaia di rapporti bancari. “Un’associazione  –  ragionano gli investigatori  –  autonoma, radicata”. Che manteneva sì i contatti con la casa madre, ma che aveva sviluppato anche un certo grado di indipendenza. Non solo quindi un’articolazione periferica del clan calabrese.  Nel mirino della cosca il settore delle costruzioni, con incendi e intimidazioni con finalità estorsive. Molti sono gli incontri documentati dai carabinieri a Perugia tra il gruppo umbro e i fratelli Vittorio e Vincenzo Farao, figli di Silvio Farao e cugini di Giuseppe Farao, considerati dagli inquirenti i reggenti della cosca.  “Siamo della ‘ndrangheta, siamo calabresi”: così si presentavano i sodali umbri del clan  ai tanti testimoni che hanno riferito di minacce, esplicite o implicite, che si concludevano tutte con l’offerta di “protezione” da loro stessi. A capo del sodalizio criminale, secondo gli investigatori, Natalino Paletta. ”Purtroppo in questo territorio che sempre definito isola felice non vengono colti tempestivamente quei segnali che attenzione massima fenomeni di infiltrazione – ha dichiarato il pm Antonella Duchini. Un sistema, quello mafioso, che si  infiltra, inizia con le  estorsioni, per poi impadronisce delle attività economiche, le svuota e costituisce così il proprio impero economico”.

Il “covo freddo” in azione. La presenza dei Farao – Marincola in Umbria non è recente. Attivi da oltre 15 anni nella regione si trasferirono sul territorio umbro negli anni in cui molte famiglie di ‘ndrangheta, nel pieno di faide e guerre interne, cercarono altri territori per sottrarsi alle vendette interne da un lato e alla pressione dello Stato, dall’altro. Per la ‘ndrangheta l’Umbria non è terra di passaggio, qui le ‘ndrine hanno deciso di posizionare le loro basi, di stanziare, penetrando dapprima il mercato dei traffici, appropriandosi poi della attività commerciali e di ristorazione (tramite prestanome). Una infiltrazione graduale: niente conflitti armati, pax mafiosa e suddivisione degli affari con i partecipanti, anche di altre organizzazioni criminali. Spesso con l’appoggio di professionisti al soldo delle ‘ndrine. Numerose le famiglie della ‘ndrangheta presenti sul territorio, in buona parte già citate nei dossier che dal 2008 ad oggi Libera Informazione ha curato insieme a Libera Umbria per denunciare la presenza delle mafie nella regione. Si va dai Facchineri ai De Stefano, dai Farao – Marincola, al centro dell’operazione di oggi, ai Palamara – Bruzzaniti.  Una graduale “mafizzazione” del territorio umbro, messa in atto principalmente dalla ‘ndrangheta in provincia di Perugia, viene oggi portata alla luce dall’operazione dei Ros, coordinata dalla Dda di Perugia. Proprio il magistrato Antonella Duchini, della distrettuale antimafia – alcuni anni fa,  aveva dichiarato “assistiamo ad una graduale mafizzazione dell’Umbria. Le mafie operano ormai in una dimensione globalizzata ed internazionale e sono presenti e ramificate ovunque con evidenti interessi nei settori della prostituzione, della droga e. Questo è vero anche per l’Umbria che non è più isola felice citata ancora da qualcuno”. In Umbria sono già attive da alcuni anni una Commissione regionale che indaga il fenomeno mafioso e del narcotraffico e un Osservatorio, animato dalle associazioni che operano nel sociale nella regione e che hanno da anni chiesto che si tenesse alta l’attenzione sulle infiltrazioni criminali nella regione

 Libera:”Conferma  a nostre denunce, mafie penetrano tessuto economico della regione”.  “Il primo sentimento che vogliamo esprimere è di gratitudine verso la Magistratura e le forze dell’ordine che, con un alto grado di coordinamento a livello nazionale hanno spezzato con l’inchiesta e i sequestri i tentacoli della piovra calabrese. L’operazione conferma quella penetrazione ampia e ramificata della criminalità organizzata nel tessuto economico regionale che avevamo posto in luce nei dossier il “Covo Freddo” e “La droga in Umbria” di Libera Informazione, e avevamo portato all’attenzione dei media attraverso le iniziative della nostra rete “.  Così in una nota di “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” ha commentato l’inchiesta denominata “Quarto passo” della procura distrettuale antimafia di Perugia e dei carabinieri del Ros che ha portato a una sessantina di arresti in Umbria e in altre regioni. “La presenza a Perugia del Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti dimostra l’assoluta rilevanza dell’operazione portata a termine – spiegano nella nota. Pertanto non è più lecito ricondurre la vicenda al semplice riciclaggio e si deve invece pensare a progetti di stabile insediamento. Quello che è accaduto a Ponte san Giovanni è sintomatico di un’aggressione invisibile e lenta, soprattutto da parte dei clan calabresi che nel nostro territorio pare che abbiano fatto un grande investimento. Si muovono sottotraccia, osservano il territorio e spostano come pedine i “colletti bianchi”, non esitano a ricorrere a manovalanza araba o albanese”.  “ll compito di Libera e della sua rete in casi come questo, non può limitarsi al sostegno alla Magistratura. “Siamo convinti – dichiara Walter Cardinali, Coordinatore regionale di Libera Umbria – che le mafie si fermano e si sconfiggono solo se c’è una diffusa consapevolezza e corresponsabilità , un “noi” che rafforza la legalità e il senso della comunità. Da anni, per questo in Umbria, facciamo al nostro meglio opera di informazione, di sollecitazione alle istituzioni democratiche locali, di educazione, di valorizzazione delle positive memorie di chi le mafie ha combattuto.  “Nell’inchiesta “Quarto passo”  – continua Cardinali – c’è un elemento positivo: la piena collaborazione con gli inquirenti di un gruppo di imprenditori, vittime di estorsioni e infiltrazioni. Hanno vinto la paura, quando hanno sentito sicura la presenza attorno a sé di carabinieri e magistrati. Bisogna aumentare la vigilanza, far sì che denunce di questo tipo arrivino fin dall’inizio dell’opera di infiltrazione, prima che si producano danni gravi all’economia e alla società. Le vittime saranno più pronte alla denuncia e alla collaborazione, se sentono intorno a sé la vicinanza e il sostegno non solo degli inquirenti, ma anche delle istituzioni locali e di tutta la società regionale”. “Le mafie avanzano – ha concluso Cardinali  – quando è basso il livello di allerta della società civile responsabile, delle associazioni di categoria e dei sindacati per esempio. Noi continueremo nel nostro impegno di denuncia proseguendo con ancora più forza nel compito di tenere ben accesi i riflettori sul sistema delle mafie e sulle complicità, perché la resistenza della società umbra sia vasta ed efficace, perché vinca l’economia degli onesti contro il subdolo tentativo di contaminare e inquinare attività legali, fonte positiva di lavoro e di reddito”

 

* Ha collaborato Antioco Fois

Per approfondimenti:

Il Covo Freddo 

La droga in Umbria

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