Pitelli. I rifiuti, la guerra e la marina
TOXICLEAKS A LA SPEZIA – Vista dall’alto la collina di Pitelli oggi sembra un bosco silenzioso, interrotto appena dalle strisce bianche delle ex discariche del gruppo Duvia. E anche quei veleni micidiali, ritrovati dal Corpo forestale dello Stato – su delega di un magistrato che coraggiosamente ha ripreso in mano le storie del passato – giacciono sotto il bosco, rendendo, apparentemente, innocui quei luoghi. “Sono venti le discariche in questa zona”, raccontano gli abitanti. All’appello ne mancano ancora quattro.
LA MAPPA DELLE DISCARICHE
La mappa degli sversamenti – che pubblichiamo in questa pagina – indica 15 siti; a questi si aggiunge quello scoperto la settimana scorsa. Potrebbe essere solo l’inizio. L’Arpal (l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Liguria) nei giorni scorsi ha pubblicato il rapporto sull’analisi di rischio sanitario per l’area di Pitelli-Ruffino. Il risultato è chiaro: in alcune zone vi è un pericolo concreto per la salute umana, derivato dalla contaminazione delle matrici ambientali (lo studio è consultabile qui). È il caso di sottolineare la particolare prudenza dell’Arpal nell’analisi del rischio: in un caso ha preferito cambiare software, perché giudicato troppo allarmista (leggere per credere) nel risultato.
La natura rigogliosa della zona è dunque solo apparente. Rispecchia in fondo quella sorta di rassegnazione della città, che aveva rapidamente dimenticato – salvo qualche eccezione – cosa si nasconde nel cuore della collina di levante, che sovrasta il porto commerciale e l’area di San Bartolomeo. Da lì, in fondo, tutto era iniziato.
UN GOLFO “MILITARE”
La storia del veleni di Pitelli parte dall’immediato dopoguerra. La Spezia era il punto nevralgico della difesa via mare dell’Italia. Qui c’era – e ancora c’è – l’arsenale della Marina militare; qui c’erano – e ancora ci sono – gli incursori, corpo d’élite delle nostre forze armate che affondava le navi nemiche; qui attraccava – e ancora lo fa oggi – la flotta navale. Per questo i tedeschi, prima di lasciare la zona, affondarono centinaia di navi nel porto, rendendolo inutilizzabile. Finita guerra iniziò la bonifica, con lo smantellamento dei relitti. L’area di levante divenne un grande cantiere in stile indiano,dove le carcasse delle navi ormai inutilizzabili venivano fatte a pezzi. Con un’enorme quantità di rifiuti. In buona parte finiva tutto in mare, davanti al golfo dei Poeti. Poi, negli anni ’70, arrivò Orazio Duvia, imprenditore conosciuto all’epoca come venditore di lambrette. Al suo fianco un manipolo di commerciali, di broker, gente piena di contatti giusti. Da quel momento i veleni prodotti dai cantieri e dalle industrie diventano il suo affare principale. Un affare d’oro, miliardario.
Cosa produce La Spezia? L’economia è nata e cresciuta attorno alla guerra. Ci sono colossi delle armi, come la Oto Melara. Qui erano stoccate le armi chimiche italiane, infilate nelle gallerie segrete scavate nella montagna. C’è l’arsenale, il deposito del munizionamento della Marina militare. C’è poi l’industria strategica dell’energia e degli idrocarburi, con le centrali elettriche a carbone, in grado di produrre ceneri di ogni genere. Ma soprattutto c’è il porto commerciale. E qui le cose diventano più complicate. La Spezia è un crocevia. Una piattaforma della logistica dei veleni. Non è un caso che l’affare della nave Rigel nasca proprio qui. La presenza militare garantisce prima di tutto discrezione. Lo sviluppo dell’industria bellica porta – in eredità – la logistica riservata delle rotte delle armi. Ed è un fondo una naturale conseguenza il traffico di rifiuti, in entrata e in uscita. Così ai veleni autoctoni si sono aggiunti quelli dell’intera industria, nazionale ed europea, trasformando Pitelli in una piattaforma gigantesca per le scorie.
LA RETE
Durante le indagini condotte dal pm di Asti Tarditi – che nel 1996 portarono all’arresto di Orazio Duvia – si scoprì quella rete di contatti tra Pitelli e i principali produttori di rifiuti industriali del paese. Un elenco che finì all’interno del processo, poi ucciso dalle prescrizioni e dall’assoluzione finale per i reati ambientali. Questa rete, questo pezzo di storia della città è in fondo il peggior veleno del Golfo dei poeti. Come le scorie, è rimasto sepolto sotto un’apparente normalità.
*Andrea Palladino e Andrea Tornago inviati a La Spezia per Toxicleaks.org
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