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A Bologna l’inchiesta drammaturgica sulla storia di Giovanni Spampinato

Di Ilaria Giupponi il . Emilia-Romagna

Ragusa. Sei colpi di pistola nella sua Fiat Cinquecento: così è stato ucciso Giovanni Spampinato, giornalista appena 25enne del quotidiano L’Ora, la notte del 27 ottobre 1972. Sulle tracce dei malaffari tra la criminalità organizzata e gli esponenti di primo piano del fascismo eversivo nazionale e internazionale, di cui seguiva le tracce fin dalla strage di Piazza Fontana, le sue inchieste erano arrivate fin dentro al Palazzo di Giustizia. A sparargli infatti, Roberto Campria, figlio del presidente del Tribunale di Ragusa. Sullo sfondo, l’orchestrazione della strategia della tensione e il golpe Borghese. Sono passati quarant’anni, e ancora l’unico condannato per l’omicidio del giornalista siciliano, resta Campria e la sua reclusione in un manicomio criminale verosimilmente “incoraggiata” per coprire chi veramente aveva temuto il lavoro di Giovanni.   

A ricostruirne, i passaggi e i retroscena “il Caso Spampinato”, l’inchiesta drammaturgica di Roberto Rossi (giornalista e insegnante catanese)e Danilo Schininà (attore ragusano), che dopo essere stato rappresentato proprio nella città del cronista assassinato, è stata presentata Dipartimento di Comunicazione dell’Università di Bologna, per poi proseguire verso una tournée in Belgio. Realizzato 6 anni fa, carte alla mano, e andato in scena in prima nazionale a Riccione nel 2008 (ospite del Premio Ilaria Alpi), il lavoro di teatro sociale è un impegno dichiarato a non dimenticare, per “sollevare la polvere da questo caso –spiegano gli autori – con lo scopo di riuscire a restituire una verità, riconsegnando al pubblico una corretta e consapevole memoria storica”. “Dobbiamo essere noi a capire, e impegnarci affinché emergano certe verità”, racconta Roberto Rossi.  

La pièce – che di fatto è un dialogo composto di spezzoni e ritagli, fra i due attori, Schininà e Giovanni Arezzo – ha unito la ricostruzione giudiziaria alla narrazione drammaturgica. Una scelta particolare, quella dei giovani autori, che nel 2006 quando si immersero negli incartamenti, avevano la stessa età di Spampinato: a parlare sarebbero state le carte, racconta Rossi: “ci siamo resi conto che tutto il materiale drammaturgico era già lì, sulle nostre scrivanie. Bastava far parlare quelli, perché ci sembrava il modo più corretto per raccontare – continua il giornalista – “i protagonisti parlano attraverso racconti autobiografici, perizie psichiatriche; attraverso gli articoli di Giovanni o le requisitorie dei pm”.    E’ un lavoro importante, perché può riaccendere i riflettori su un’inchiesta insabbiata che riguarda uno dei tanti, troppi, omicidi eseguiti dalla mafia o dal terrorismo eversivo, ma probabilmente pilotati da più in alto.  “Non voglio continuare a usare i condizionali – spiga l’autore ragusano – non voglio dire il “presunto” omicidio.

Questo vale per il caso Spampinato, per il caso De Mauro (giornalista dell’Ora “sparito” due anni prima mentre indagava sull’omicidio di Enrico Mattei, ndr), come per quello della trattativa Stato-mafia”. In giorni di indagini su connivenze e collaborazione tra i poteri dello Stato e Cosa Nostra, di sentenze annullate e false testimonianze che hanno depistato la ricostruzione di responsabilità e la loro attribuzione, è di estrema attualità l’intenzione di non delegare alla magistratura la condanna di verità e relazioni più che accertate – se non dall’attività giudiziaria, sicuramente da una parte della società civile.   “Il caso Spampinato appartiene a una serie di alte vicende sulle quali in Italia si è steso un velo di omertà e silenzio istituzionale. Non è un mistero per nessuno che la democrazia in Italia non abbia avuto vita facile. E Spampinato indagava in quella direzione e prima di molti altri era riuscito a capire che c’era un pericolo reale per la democrazia del nostro paese. E si, è stato insabbiato come molti altri”.     La scelta di rappresentarlo oggi, è dovuta alla data: il 20 marzo 1994 la giornalista Ilaria Alpi viene assassinata a Mogadiscio assieme all’operatore Miran Hrovatin.  

Giovanni, Ilaria e Miran sono alcuni dei casi di un Paese che non protegge chi dovrebbe. Come loro, molti altri giornalisti, più o meno noti, tutt’oggi continuano a fare il proprio mestiere, nonostante il peso della minaccia che ha invece fermato in passato molti vertici istituzionali, portandoli a trattare con la mafia.  A questo proposito, alla rappresentazione parteciperà anche Alberto Spampinato, fratello di Giovanni e non a caso giornalista anch’egli, nonché presidente di un’importante osservatorio: “Ossigeno per l’Informazione”, che monitora proprio i cronisti presi di mira da coloro che sono stati “disturbati” dalle loro indagini, e a cui ci si permette ancora impunemente di intimare di guardare altrove. Ma Giovanni, non era tipo.

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