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Camorra, sequestrati beni per 41 milioni di euro al clan Terracciano

Di Ilaria Giupponi il . Emilia-Romagna, Toscana, Umbria

L’espansione del clan camorristico dei Terracciano subisce un duro colpo: la maxi operzione della Guardia di Finanza di Firenze il 29 febbraio scorso ha sequestrato beni per un valore complessivo di ben 41 milioni di euro. Tra gli immobili sequestrati dall’operazione “Ronzinante”, la catena di pizzerie “Don Chisciotte”. Sottratte al patrimonio della cosca campana originaria di Pollena Trocchia: 44 società, 31 immobili sparsi sul territorio nazionale, 31 autoveicoli, uno yacht di lusso, 67 rapporti finanziari, due cassette di sicurezza e anche due scuderie con 17 cavalli. Abbigliamento, concessionarie di auto, una società di servizi alle aziende e perfino la Polisportiva Prato Nord. Sparse per le province, non mancano nemmeno un parrucchiere e una ditta di autotrasporti. 

Duecento gli uomini delle Fiamme Gialle che hanno messo in atto la misura di prevenzione patrimoniale ordinata dal procuratore distrettuale antimafia Giuseppe Quattrocchi: “E’ la prima volta che si applica in Toscana una misura di prevenzione patrimoniale che è regolata dalla legge antimafia”, commenta il procuratore.  71 invece, le persone coinvolte nella fitta rete di prestanome sbaragliata dalle minuziose indagini economico-patrimoniale svolte dal Gico del nucleo di Polizia tributaria di Firenze, “attraverso la quale i componenti del clan camorristico Terracciano hanno tentato di impedire la riconducibilità a se stessi dei beni sottoposti alla odierna misura di prevenzione patrimoniale”, comunicano dall’Arma.  A destare attenzione, proprio le modeste dichiarazioni dei redditi (poche migliaia di euro l’anno), che non avrebbero coinciso con il tenore di vita di alcuni dei principali esponenti del clan napoletano: i militari delle Fiamme Gialle fiorentine messo sotto la lente di ingrandimento le operazioni bancarie degli ultimi 10 anni effettuate da questi ultimi, scoprendo come grazie alla collaborazione dei loro prestanome, riuscissero a riciclare i proventi delle proprie illecite attività reinvestendole in normali attività commerciali senza nessun vincolo apparente con i gestori ombra. 

Tra queste, la catena di dieci pizzerie nelle province di Firenze, Prato e Pistoia, il cui titolare è risultato affiliato al clan. Secondo quanto spiegato dal procuratore Quattrocchi, il sequestro dei locali, pizzerie incluse, è stato disposto in via preventiva proprio per sottrarre disponibilità economica e patrimoniale a soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso. Senza contare, ha aggiunto in conclusione il procuratore, che “andando a mangiare in pizzeria o al ristorante abbiamo la possibilità inconsapevole di alimentare patrimoni criminali”. Prato quindi la capitale del riciclaggio, dove grazie ai capitali messi a disposizione dalla camorra, prosperavano tra le altre attività, i ristoranti.  Una liquidità fin troppo evidente in un caso esemplare: tra i sequestri, uno yatch di 12 metri ancorato a Livorno. La proprietaria, una delle donne appartenenti alla famiglia, pur dichiarando di non avere reddito (l’ultima denuncia al fisco risale al 2007 ed è di 3.007 euro), possedeva un’imbarcazione dal valore di 300.00 euro. “Noemi”, questo il nome della barca e della donna, secondo quanto emerso dalle indagini dei finanzieri, in un solo anno aveva movimentato denaro per oltre un milione di euro.  Tuttavia, l’insediamento a Prato della cosca riconducibile alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, era nota alle autorità fin dagli anni ‘80, quando il boss Giacomo Terracciano vi fu trasferito in soggiorno obbligato.

Radicamento tale da spingere lo stesso magistrato a parlare di “toscanizzazione” della camorra: “Il clan si era toscanizzato, perché la sua lunga permanenza lo ha reso piuttosto armonico col territorio – spiega – Non erano stati abbandonati i legami né il metodo mafioso, ma, allo stesso tempo bisogna sottolineare che siamo di fronte a qualcosa di più, certamente, di un’infiltrazione mafiosa in Toscana”.  Un vero e proprio radicamento come nel resto delle regioni a nord della linea Gotica, testimoniato da ultimo, dal fatto che ben 22 degli immobili dei 31 sequestrati oggi, fossero in Toscana. Cosa che da anni una parte della stampa e della magistratura non si stanca di ripetere: ”E’ bene che si sappia che anche in zone baciate dalla fortuna di essere più tranquille di quelle da cui proviene la criminalità organizzata tradizionale – commenta il capo della Dda di Firenze durante la conferenza stampa – c’è il rischio di trovarsi di fronte ad impieghi di denaro che sono il frutto dell’attività criminosa”.  Più che un rischio, è una certezza. L’originario gestore delle “chianche”( i quartieri spagnoli di Napoli), il clan dei Terracino ha messo radici in metà dello stivale: otto le regioni coinvolte, inclusa la Toscana (tra cui spiccano Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Umbria) a dimostrazione della ramificazione delle attività principali della famiglia, racket e usura e dell’enorme capitale in cui si è tentato di ripulire il denaro. 

I Terracciano, oltre al distinguersi per i tassi di interesse sull’usura, che raggiungevano picchi anche del 1000% della somma estorta agli imprenditori locali, hanno nelle proprie mani lo sfruttamento della prostituzione nell’area tra Firenze e Prato, il settore dei locali notturni, lentamente sottratti agli imprenditori e le bische clandestine. Il clan della camorra aveva già subito un duro colpo nel 2009, quando un’altra operazione congiunta di GdF e carabinieri delle città toscane, coordinati dalla procura antimafia di Firenze, era sfociata nell’arresto di otto persone tra cui proprio il boss Giacomo Terracino, il fratello Paolo, “avvocato” dell’impresa camorristica, i due figli e alcuni imprenditori, nonché al sequestro di altrettanti immobili, società e conti correnti (oltre 20 milioni di euro il valore complessivo, allora). 

Tre anni prima, la Direzione distrettuale antimafia di Napoli era invece riuscita a mettere le mani sul capoclan Salvatore Terracciano, con le accuse che andavano dall’associazione a delinquere di stampo mafioso, all’estorsione continuata, lesioni personali, violenza privata aggravata, porto e detenzione di armi. O’nirone, così soprannominato, fu artefice negli anni ’90, del patto con l’Alleanza di Secondigliano.

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