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Mettersi al loro fianco, diffondere i loro articoli

Di Alberto Spampinato* il . Emilia-Romagna

Accadono brutte cose nel cuore dell’Italia, e non se ne parla
abbastanza. Le infiltrazioni mafiose stanno lasciando il posto a un vero
e proprio radicamento criminale. Il riciclaggio sta diventando un
canale di finanziamento alternativo per le imprese. Centinaia di negozi
vanno a fuoco,  uno dietro l’altro, e solo qualcuno riconosce la puzza
di bruciato tipica delle estorsioni. Appalti, commesse, concessioni,
incarichi spesso non vanno al miglior offerente, vanno al più forte. Gli
scambi di favori fra ambienti criminali, politici, imprenditori,
professionisti sono sempre meno occasionali…

Accadono queste e
altre brutte cose nel cuore dell’Italia e non se ne parla abbastanza. In
pochi anni, i peccati più gravi del Sud povero e arretrato si sono
diffusi come metastasi nel corpo del paese. Si sono diffusi, hanno
trovato terreno fertile ed hanno attecchito. I cittadini delle regioni
più ricche e sviluppate del Centro e del Nord ancora non riescono ad
ammetterlo, ma l’economia criminale ha già conquistato molto terreno sul
loro territorio e le sue turpi necessità – oltre a limitare la libera
concorrenza – limitano le regole di giustizia e di uguaglianza nelle
loro orgogliose regioni fino a poco tempo fa invidiate per essere immuni
dalle forme più gravi di criminalità.

Che tutto ciò stia
accadendo è attestato da indagini, fascicoli giudiziari, articoli,
inchieste giornalistiche e libri come quelli scritti da Giovanni Tizian,
David Oddone e Antonio Roccuzzo, per quanto riguarda l’Emilia Romagna.
Dunque bisogna prendere atto che le mafie da tempo sono di casa e
cercano di espandersi sempre più  anche in questa parte d’Italia.
Prendere atto ed, eventualmente, chiedersi come una infezione tanto
grave si sia potuta diffondere così silenziosamente, senza suscitare
allarme e ancora sia largamente sottovalutata.

Ma non è questo lo
scopo dell’incontro di oggi. Qui vogliamo discutere di possibili
rimedi, di iniziative possibili e realizzabili per arginare il
diffondersi dell’infezione. Vogliamo discutere in particolare di come
fare valere la libertà di cronaca e il diritto dei cittadini di essere
informati, due cose essenziali per contribuire ad arginare la
contaminazione dell’illegalità.

Di fronte a qualsiasi infezione,
la prima cosa da fare è fornire ai cittadini gli elementi per conoscere
il morbo, i metodi con cui si diffonde, la profilassi per limitare il
contagio. E’ necessario affinché i cittadini possano fare attivamente la
loro parte. Anche di fronte al contagio della peste mafiosa, bisogna
dare ai cittadini le informazioni di base e inoltre bisogna informarli
tempestivamente e senza reticenza di ogni novità rilevante su ciò che
accade intorno a loro. Ecco il compito delle istituzioni e il ruolo dei
giornali e dei giornalisti. Il loro compito non è facile quando le
notizie che devono trattare sono sgradite a personaggi potenti, a
criminali in grado di intimidire e di fare ritorsioni. Di fronte a
questi personaggi, i giornalisti provano la stessa paura che chiude la
bocca ai testimoni e alle vittime. Perciò se si vuole che i giornalisti
informino in modo completo i cittadini bisogna aiutare i giornalisti a
superare la paura, riducendo al massimo i  rischi. Occorre riconoscere e
valorizzare la funzione sociale dell’informazione giornalistica. A
questo fine si possono fare molte cose. Ad esempio, con il giornalismo
di squadra i giornali possono ridurre il rischio personale
spersonalizzando la notizia, possono evitare che un giornalista giochi
da solo la partita contro le notizie più difficili, come se fosse una
lotta personale. E’ ciò che si è fatto durante gli “anni di piombo” per
trattare le notizie più scottanti sul terrorismo. Ad esempio, le
istituzioni possono riunire le forze della società e dell’informazione
impegnate nell’opera di alfabetizzazione antimafia. E moltissimo ancora
si può fare rendendo concreta la solidarietà nei confronti dei
minacciati, di tutti i minacciati, giornalisti, imprenditori, funzionari
pubblici, professionisti, amministratori. E’ necessario perché la
solidarietà è la vera arma di difesa che rende forti i deboli e li fa
vincere.

Premesso che la solidarietà deve valere nei confronti di
tutte le vittime di violenze, soprusi, intimidazioni della criminalità
organizzata, voglio sottolineare quanto sia necessaria la solidarietà
nei confronti dei giornali e dei giornalisti minacciati. Bisogna pensare
ai giornali come ai mezzi di trasporto delle informazioni e ai
giornalisti come ai controllori che scelgono quali notizie far salire a
bordo per farle conoscere ai cittadini. I giornali sono dunque nodi
strategici del sistema dell’informazione. I mafiosi lo hanno sempre
saputo. Proprio per questo hanno sempre intimidito i giornalisti. E’ una
funzione fisiologica della criminalità organizzata. I giornalisti
vengono intimiditi, minacciati, colpiti da violenze, abusi e ritorsioni
proprio per condizionare e piegare a interessi privati il potere di
scelta che sono chiamati ad esercitare nell’interesse generale. I
giornalisti hanno dunque un’alta responsabilità sociale che dovrebbe
essere tutelata più attivamente se vogliamo che non siano mediatori
passivi, ma testimoni e certificatori della realtà, sentinelle in grado
di dare l’allarme quando è necessario. I giornalisti hanno il dovere di
raccontare ai lettori, tempestivamente, senza omissioni e senza
parzialità, tutti i fatti di rilevanza generale di cui vengono a
conoscenza. Non possono limitarsi a guardare le informazioni convogliate
attivamente dalle  varie fonti (con conferenze stampa, comunicati,
segnalazioni verbali) per scegliere cosa pubblicare e cosa non
pubblicare notizie. La deontologia professionale impone ai giornalisti
di cercare con il lanternino le notizie più nascoste, le informazioni
importanti per i cittadini. Ad esempio, se un personaggio pubblico
appare coinvolto in certe vicende, un giornalista deve approfondire la
questione e riferire come appaiono le cose, non può dire che non
pubblica nessuna notizia perché la vicenda è in evoluzione e magari si
concluderà con l’assoluzione dell’interessato. Un giornalista sportivo
non sta alla finestra ad aspettare che una partita di calcio sia finita
per dire chi ha vinto e chi ha perso, racconta le azioni mentre si
svolgono in campo. Un giornalista che si occupa di cronaca politica, di
giudiziaria, di cronaca nera deve fare lo stesso: raccontare gli
sviluppi. Se un giorno ci sono ragionevoli elementi per pensare che
probabilmente un personaggio pubblico si è comportato male, oppure
risulta che certe istituzioni probabilmente stanno favorendo affari
loschi o discutibili, o che certi professionisti, colletti bianchi,
imprenditori sono compiacenti con chi aggira le regole, vorremmo leggere
queste cose su tutti i giornali, ascoltarle in tutti i notiziari.
Sappiamo che in realtà le cose non vanno così: di solito un solo
giornale e un solo giornalista pubblica la notizia più delicata. A volte
è uno “scoop”, ovvero una informazione ottenuta da una fonte esclusiva.
Altre volte, il più delle volte, invece, quella informazione era stata
accessibile a più di un giornalista, ma solo uno l’ha resa pubblica,
mentre gli altri cronisti l’anno lasciata nella penna. Ciò accade perché
non è pacifico pubblicare notizie sgradite ai personaggi a cui si
riferiscono. Pubblicarle crea sempre fastidi. A volte è anche
pericoloso: di solito diventa pericoloso quando un giornalista pubblica
quella certa notizia e gli altri stanno a guardare, fingono di non
saperne nulla,  colpevolizzano ed isolano l’autore dello scoop. Un
giornalista isolato è facilmente esposto a minacce e ritorsioni. E’
facile che sia intimidito, minacciato, querelato, citato per danni  o
che passi altri guai.

Dunque bisogna avere molto rispetto per
giornalisti come Giovanni Tizian che hanno il coraggio di dire certe
cose, di pubblicare notizie sgradite a personaggi potenti e temibili.
Bisogna essere grati ai giornalisti come lui che prendono il fuoco con
le mani. Se non si è disposti a riconoscere il merito, il coraggio, il
senso civico di chi nell’interesse collettivo si espone personalmente ai
rischi e alle ritorsioni, si rischia che la libertà di informazione
debba cedere il passo all’arbitrio dei violenti e dei prepotenti.

Come
evitare che ciò possa accadere? E’ necessario che innanzitutto gli
altri giornalisti lo difendano con la solidarietà, cioè mettendosi
intorno a lui.

Purtroppo ciò accade raramente. Accade che la
solidarietà si esprima con un comunicato a cui non fanno seguito gesti
concreti. Questo non basta. Bisogna fare di più. Questo è il problema
principale che i giornalisti devono risolvere da tempo ed è più che mai
attuale. Non è facile risolverlo, perché ci sono molte implicazioni,
innanzi tutto politiche, culturali, ideologiche. Ci sono partigianerie
dure a morire che inducono molti a pensare che la loro solidarietà
spetti solo agli amici più stretti, ai compagni di cordata, di partito,
di corrente, ai giornalisti della stessa testata. E’ un errore in cui
incorrono anche persone di saldi principi. E’ l’eredità di una stagione
in cui le ideologie hanno scavato solchi profondi fra esseri umani. E’
un atteggiamento che indebolisce i giornalisti onesti e perciò bisogna
sforzarsi di superarlo.

Per riuscirci i giornalisti devono
cominciare a parlarne apertamente. Devono discuterne. Devono
confrontarsi. Devono rompere il tabù che finora lo ha impedito. I tempi
sono maturi per sviluppare una riflessione rispettosa di tutti i punti
di vista, anche di chi pensa che pubblicare notizie sgradite a persone
potenti e temibili rappresenti un rischio dal quale un giornalista non
ha modo di proteggersi.  Bisogna considerare anche questo punto di
vista, perché in effetti i rischi sono concreti e reali e finora nessuno
ha detto come si aiuta concretamente un giornalista a fronteggiarli,
come si aiuta un giornalista alle prese con una notizia  scomoda e
pericolosa a trovare la forza e il coraggio che sono necessari in questi
casi.

In Italia chi maneggia le notizie scomode corre veramente
il rischio di subire violenza, aggressioni, ritorsioni, di finire in
carcere per diffamazione, di essere condannato a pagare milioni di euro
per il  semplice fatto di aver formulato una critica che in altri paesi
sarebbe considerata normale. Negli ultimi anni il numero dei giornalisti
italiani che hanno subito queste conseguenze è aumentato enormemente,
come testimoniano i dati raccolti da Ossigeno. Da 20 casi l’anno del
2006, siamo passati a 40, 60, 78 annui, per arrivare ai 95 casi del 2011
in cui sono coinvolti 324 giornalisti. Fino ad arrivare a 924
giornalisti coinvolti in cinque anni. Questi numeri dicono che In Italia
il giornalismo critico e la raccolta di notizie scomode sono attività
poco tollerate e che le notizie oscurate con abusi e violenze sono molto
numerose.

Il numero dei giornalisti intimiditi è da anni in
continuo, progressivo aumento, per alcune ragioni essenziali che il
Rapporto Ossigeno 2011-2012 di imminente pubblicazione illustrerà in
dettaglio:

1 – La diffusa presenza della criminalità organizzata e della corruzione;

2
– Gli effetti di una legislazione arcaica sulla diffamazione a mezzo
stampa, sul segreto professionale e sui risarcimento danni, animata da
spirito punitivo nei confronti dei giornalisti che ricalca quella di
alcuni regimi autoritari;

3 – L’impunità quasi assoluta per chi,
con la violenza o con palesi abusi del diritto,  impedisce a un
giornalista di informare l’opinione pubblica.

4 – L’elevata
dipendenza dei giornali dai finanziamenti pubblici; la struttura
editoriale che nella generalità dei casi è affidata ad imprenditori che
hanno interessi prevalenti in altri settori economici; la concentrazione
delle risorse pubblicitari e della proprietà editoriale dell’emittenza
televisiva in poche mani;

5 – L’enorme diffusione del lavoro
giornalistico precario, che prevede paghe misere, a cottimo e non
impegna l’editore a farsi carico di eventuali spese di assistenza
legale.

Tutto ciò ha indebolito all’osso l’autonomia e
l’indipendenza dei singoli giornalisti, ha indebolito il giornalismo
italiano. Bisogna sciogliere questi nodi per restituire al giornalismo
italiano la sua autonomia ed indipendenza.

Ma intanto bisogna
aiutare concretamente quei giornalisti che prendono il fuoco con le
mani. Quelli che accettano il rischio. Quelli che si espongono di più e
perciò subiscono intimidazioni, minacce e ritorsioni. Sono tantissimi.
Più di quanti si possa immaginare.

Giovanni Tizian, 29 anni, è
stato il quinto giornalista minacciato in Italia dall’inizio del 2012.
Dopo il suo caso, che è fra i più gravi di questi anni, Ossigeno ha
registrato altri quattro casi di intimidazioni, con 19 giornalisti
coinvolti. E siamo ancora a gennaio! Dal 22 dicembre 2011 Tizian vive
protetto dalla polizia 24 ore su 24. Anche altri giornalisti (mancano
informazioni complete sul loro numero) conducono una vita blindata e
rischiano tutti i giorni. Dal 2007, Lirio Abbate, Rosaria Capacchione e
Roberto Saviano vivono in queste condizioni. Un’altra decina di
giornalisti meno noti conduce la stessa vita blindata. Sono cronisti
che, come Tizian,  hanno pubblicato in esclusiva notizie e inchieste che
i boss della mafia considerano dannose per la loro attività criminale.

Pubblicare
notizie approfondite sull’attività della mafia aiuta molto la lotta
contro la mafia, perché apre gli occhi ai cittadini onesti è li aiuta a
difendersi. E’ dunque un’attività di pubblico interesse. Ma è
un’attività rischiosa. Molto rischiosa. In Italia fra il 1960 e il 1993
sono stati uccisi nove giornalisti che pubblicavano questo genere di
notizie e due giornalisti che scrivevano coraggiosamente sul terrorismo
[1]. L’ultimo giornalista assassinato in Italia è stato Beppe Alfano,
ucciso in Sicilia. Da allora la mafia non ha ucciso altri giornalisti,
ma non ha rinunciato a minacciarli e pianificare l’assassinio dei più
irriducibili. Non ci sono stati altri omicidi per due principali
ragioni: perché i mafiosi riescono a condizionare o bloccare le notizie
scomode con mezzi più subdoli; perché, per fortuna, nel frattempo, gli
inquirenti hanno sviluppato strumenti di indagine più raffinati, e ciò
ha permesso di sventare numerosi attentati.

Finché ci saranno
giornalisti liberi e coraggiosi, ci saranno giornalisti  minacciati. Per
risolvere il problema bisogna sradicare la mafia, che non può fare a
meno di esercitare minacce, intimidazioni e violenze per oscurare
informazioni sulla sua attività, sui suoi affari, sui contatti che
sviluppa nella società legale. Perciò oltre a sviluppare la lotta contro
la mafia,  bisogna preoccuparsi di proteggere i giornalisti minacciati.

Questi
giornalisti devono essere protetti dalle forze dell’ordine, ma anche
gli altri giornalisti devono proteggerli, mettendosi al loro fianco,
anche i cittadini  devono proteggerli, circondandoli di solidarietà,
facendo vedere che non sono soli, dimostrando che le intimidazioni non
spengono la voce del giornalista preso di mira, ma anzi la amplificano,
la moltiplicano per cento, per mille, e quindi le minacce sono vane e
controproducenti. Non è facile, ma è possibile. Ad esempio, pubblicando
gli articoli per cui sono stati minacciati su tutti i giornali,
diffondendoli con ogni mezzo, rendendo facilmente accessibili quelle
notizie che si è cercato di oscurare con la violenza e con gli abusi: in
altre parole, dimostrando che le minacce rendono più conosciute e più
visibili le informazioni che si cerca di nascondere ai cittadini.

In
Italia  queste intimidazioni nei confronti dei giornalisti sono molto
numerose. Il fenomeno è molto diffuso. I giornalisti non sono minacciati
solo da mafiosi, ma da potenti di ogni risma e di ogni livello che non
tollerano notizie sfavorevoli, informazioni giornalistiche in grado di
danneggiarli o metterli in cattiva luce.

I dati dettagliati di
Ossigeno per l’Informazione dicono che in Italia nel 2011 i giornalisti
minacciati in vari modi sono stati almeno 324. E’ un numero  alto, che
descrive solo la parte visibile di un fenomeno in gran parte sommerso
dalla paura e dall’indifferenza: un fenomeno sommerso quanto l’usura, il
“pizzo” ed altri racket che si avvalgono di intimidazioni e minacce
alle vittime. Questo problema è ormai evidente e produce gravi danni
sociali. E’  tempo di affrontarlo in modo nuovo, anche sul piano
politico.

*La traccia dell’intervento illustrato da Alberto
Spampinato, consigliere della FNSI e direttore di Ossigeno, al convegno
“I giornalisti con Giovanni Tizian” che si è svolto il 29 gennaio 2012, a
Bologna,  alla Sala Farnese di Palazzo d’Accursio

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