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Reggio Emilia contro l’arroganza dei boss

Di Gaetano Liardo il . Emilia-Romagna

Reggio Emilia è una città tranquilla. Almeno a prima vista molti pensano che lo sia. E’ una delle realtà più produttive dell’Emilia Romagna, ma anche quella che sta pagando a caro prezzo la crisi economica. E’ una città aperta, attiva e produttiva. La gente si interessa del bene comune e partecipa alla vita civile della comunità. Reggio Emilia, però non è un’isola felice. Probabilmente non lo è mai stata. Come tutte le realtà emiliano-romagnole sta conoscendo l’avanzata del crimine organizzato. I boss da anni hanno piantato solide radici in tutta la provincia, facendo affari.

Un momento di riflessione lo offre l’associazione Libera, attiva a Reggio Emilia dal 2008. Sabato, una cena con i cittadini con un momento di riflessione comune sul problema mafie, organizzato con il Pd locale al circolo Sandro Pertini. L’ospite più atteso della serata è Enrico Bini, il presidente della Camera di Commercio reggiana. Bini è una persona normalissima, un imprenditore che ha lavorato lunghi anni nel mondo dell’autotrasporto. Camionista, presidente di una delle principali aziende di trasporto locali, fino alla nomina di presidente dell’ente camerale. E’ una persona schietta che va dritto al punto. «Da camionista e da commerciale per un’azienda di trasporti ho conosciuto il fenomeno mafioso in Emilia Romagna». Il suo ragionamento è lineare, e segue di poche ore quanto dichiarato all’inaugurazione dell’anno giudiziario dal Procuratore generale Emilio Leodonne. I boss fanno affari in regione, sono diventati imprenditori e sono capaci di muoversi nel silenzio, senza destare sospetti.

L’incontro segue di alcuni giorni un servizio sulle mafie a Reggio Emilia, realizzato dal giornalista Vito Foderà per la trasmissione Piazza Pulita su La7. Foderà ha raccolto le “opinioni” di alcuni autotrasportatori durante i blocchi delle autostrade della scorsa settimana. Una testimonianza molto importante, che ha lasciato di stucco numerosi reggiani. I camionisti, molti di origine calabrese, hanno sparato alzo zero. Contro Bini, senza però citarlo direttamente, contro le cooperative reggiane, e contro i politici. Con molta arroganza hanno chiamato in causa cinque politici, eletti grazie al loro voto. Sottinteso il voto della ‘ndrangheta.
L’autotrasporto e l’edilizia sono due dei settori dove maggiore è stata l’infiltrazione delle ‘ndrine calabresi, per lo più originarie di Cutro e di Isola Capo Rizzuto. I Grande Aracri, i Nocoscia, gli Arena, i Muto, e numerose altre cosche hanno allungato le mani sull’economia legale reggiana. Soffocandola.

«Il problema è stato ignorato nel tempo – commenta amaro Enrico Bini – non si è capito come una persona che è arrivata qui con cinque camion, oggi ne ha 250 e va ai picchetti con l’auto blindata». «Sono state le gare al massimo ribasso – aggiunge – a favorire l’ingresso delle mafie in regione». I boss hanno vinto gare d’appalto con offerte del 30, 40 o 50% inferiori rispetto a quelle delle aziende locali. Hanno soldi in abbondanza e vogliono “ripulirli”. Utilizzano manodopera sottopagata, o in nero. Stabiliscono chi e come deve lavorare. Non accettano interferenze o defezioni. Così facendo hanno avvelenato il libero mercato, distorcendo la concorrenza. «Servono garanzie per tutelare le realtà locali – commenta Bini – solo così si può bloccare l’ingresso delle imprese mafiose, e la morte di quelle locali».

Nella provincia reggiana nel 2010 è stato registrato il 14% delle operazioni finanziare sospette di tutta la regione, mentre non si trova un solo bene confiscato ai boss. I soldi ci sono, le mafie pure, ma le indagini sono lente e difficoltose. A Reggio Emilia negli ultimi anni qualcosa, tuttavia, è cambiato, si è mosso. La Camera di commercio è stata in prima fila. Denunce e protocolli di legalità. Come quello siglato con gli enti camerali di Modena, Crotone e Caltanissetta, che ha fatto da apripista ad una stretta collaborazione con magistratura e forze dell’ordine. La Prefettura, inoltre, ha operato con decisione. La prefetto De Miro ha firmato numerose interdittive, ritirando il certificato antimafia a aziende anche importanti. Le istituzioni locali hanno siglato protocolli antimafia con la Prefettura per vigilare attentamente le gare di appalto, e le ditte sub-appaltatrici.

«Oggi – aggiunge Enrico Bini – si assiste ad una risposta positiva in tutta la provincia, dalle istituzioni agli enti locali, dalla Prefettura alle associazioni. La risposta di Reggio Emilia è stata diversa rispetto a quella delle altre province dell’Emilia Romagna. Tuttavia, nonostante le risposte date, questi signori continuano a fare il loro “lavoro”». Mostrandosi arroganti, denunciando, come nel servizio di Piazza pulita, che la vera mafia è a Reggio Emilia. «Questi signori – si legge in una nota stampa di Libera Reggio Emilia – sostengono che la mafia è a Reggio Emilia e sono mafiose le persone che li accusano, con chiari riferimenti al Presidente della Camera di Commercio Enrico Bini, che viene anche incolpato di essere razzista. Ribadiamo ancora una volta con forza – aggiunge Libera – che il Presidente Bini ha tutto il nostro appoggio e che nessuno qui è razzista. Non volere la ‘ndrangheta non vuol dire non volere i calabresi. Noi almeno consideriamo le due cose ben distinte, mentre ci pare che siano le stesse persone che lanciano le accuse, ad associare con troppa facilità i calabresi con l’organizzazione criminale. Continueremo a fare ciò che serve perché non vogliamo né ‘ndrangheta né altre organizzazioni criminali nel nostro territorio e continueremo a sostenere persone come il Presidente Bini o la Prefetto De Miro che facendo seriamente il proprio lavoro difendono il nostro territorio dalle presenze mafiose».

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