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A Roma il primato degli omicidi

Di Antonio Turri il . Lazio

Droga, montagne di droga, prostituzione, tratta degli esseri umani, racket, usura, gioco d’azzardo, mercato del compro oro, riciclaggio del denaro sporco, conto proprio e conto terzi, sono i settori che riempiono i forzieri dei vecchi e nuovi cassieri delle mafie capitoline e della Regione. Se i cronisti di nera e di giudiziaria potessero entrare negli archivi delle Questure, dei Comandi dei Carabinieri, della Guardia di Finanza della Capitale e consultare i fascicoli dei capi, sottocapi e aspiranti tali che risiedono in città, nella provincia e nel resto del Lazio, impallidirebbero. Sono centinaia e centinaia i fascicoli che raccontano le vicende e le gesta criminali dei boss.

Mappa del crimine organizzato. Alcuni sono capi indiscussi di camorra, ‘ndrangheta e cosa nostra, altri sono esponenti di primo piano delle mafie straniere, altri ancora leader consolidati o emergenti delle mafie da contaminazione o di “casa nostra”. A questi, si debbono aggiungere alcune migliaia di delinquenti, in servizio permanente effettivo, con la funzione di gregari o meglio di manovalanza criminale. Coloro i quali seguono dal confine tra Lazio e Campania le vicende dei tanti, più o meno famosi, esponenti del crimine organizzato e mafioso che hanno messo su casa nei centri del litorale laziale da Minturno al confine con la Toscana, passando per Formia, Fondi, Terracina, Sabaudia, Latina Nettuno, Trovaianica, Ostia sino a Civitavecchia, non si meravigliano più di tanto per  quanto sta avvenendo. C’è da far tremare i polsi anche a chi segue le vicende criminali di Palermo o Casal di Principe. Si va, per quanto riguarda la camorra,  dai Bardellino, ai Moccia, ai Magliulo, dai Mallardo agli Schiavone al clan Cava e non solo. Dai Tripodo ai Gallace-Novella, agli Alvaro per quanto riguarda la ‘ndrangheta più “derivati”. Dai Santapaola ai Renzivillo e ad altri importanti gruppi di “cosa nostra” siciliana. Tutti quanti residenti o soggiornanti in riva al mare non per motivi turistici.

Storia di una contaminazione in corso. Tra arresti e sequestri di beni per centinaia e centinaia di milioni di euro le Direzioni investigative antimafia di Roma, Napoli e Reggio Calabria passano in trasferta sui lidi di Enea e nella città eterna, gran parte del loro impegno investigativo. Il panorama di città e paesi  della Regione e di Roma è costellato da numerosissime presenze stabili di personaggi, ritenuti appartenenti o organici a clan mafiosi: “di elevatissima capacità e pervasività criminale” come si legge in copiose informative della polizia. Sono cosi tante e corpose le ordinanze della magistratura emesse contro i boss stanziali nel Lazio, decine di migliaia di pagine, che ci vorrebbero più di una vita per leggerle tutte. In questa area della Regione già due processi arrivati a sentenza di primo grado, per    associazione a delinquere di stampo mafioso o delitti collegati, denominati : “Anni Novanta” e “Damasco 2”, processo quest’ultimo che ha svelato la “Fondi Connection”, hanno permesso di condannare all’ergastolo e a centinaia di anni di carcere,  boss mafiosi campani, calabresi e laziali e con loro imprenditori, politici e amministratori nati a Roma, a Formia, a Fondi e in altri centri del Lazio.

Questi  mafiosi  “da contaminazione” o di “quinta mafia” non sono meno capaci e organizzati dei primi. Ma va detto che nonostante l’impegno della magistratura e delle forze di polizia su entrambi le vicende processuali ha pesato e peserà il mancato scioglimento per infiltrazione mafiosa del comune di Fondi, luogo che rimane un focolaio attivo di contaminazione criminale non solo per la regione Lazio. A Roma, in particolare, le mafie in tutte le loro numerose aggregazioni e articolazioni sono attive da almeno quarantanni. Le mafie, si sa, sono spesso un passo avanti rispetto a chi tenta di capirne le strategie e le modalità di aggressione dell’economia e del tessuto sociale. Oggi si ammette l’infiltrazione dei clan, seppur parziale, mentre questi sono in una fase di radicamento con una tendenza spiccata a contaminare settori della criminalità romana e dell’economia dell’intera regione. E quando si contamina l’economia di un territorio il passo verso la compromissione di pezzi della politica è difficile da evitare. 

Mattanza criminale. Dei trentatre omicidi avvenuti nella Capitale dall’inizio dell’anno, almeno undici sono classificati, da chi studia le scienze criminologiche, a modus operandi mafioso. Anche coloro i quali non hanno avuto la possibilità di vedere il film capolavoro di Francis Ford Coppola “Il Padrino” sanno che questi delitti  hanno una funzione didattica: non mandano  messaggi a chi muore ma ai vivi. Le armi sequestrate in questi giorni dai Carabinieri di Roma e il sequestro ancor più inquietante di armi da guerra rinvenute nelle scorse settimane nei tir che trasportavano frutta, anch’esse destinate al mercato criminale della Capitale, mandano messaggi sinistri su ciò che potrà avvenire nei prossimi mesi. In questa regione tutto questo si era già visto negli anni novanta nel Basso Lazio. Le cronache di allora raccontavano le mattanze dei criminali autoctoni di Formia, Latina e Aprilia e di alcune periferie romane che non si allineavano al potere criminale e alla potenza di fuoco dei nuovi arrivati: casalesi,’ndranghetisti e loro soci locali. Molti di quegli  omicidi  sono rimasti impuniti proprio perchè commessi da killer mafiosi. 

I cronisti dalla memoria lunga ricordano che anche allora si parlò di scontri tra piccoli gruppi criminali. Poi con l’arrivo dei pentiti di camorra, in particolare con le rivelazioni di Carmine Schiavone si seppe che la la mafia casertana poteva contare su un esercito di “soldati” di mafia, ben sessanta che, dal basso Lazio a Roma, eliminavano coloro i quali non volevano comprendere chi dettava le regole del gioco mafioso o non sapeva riconoscere le nuove gerarchie criminali.  Camorra e ‘ndrangheta si accordavano con i boss locali e delle altre mafie per controllare i mercati criminali e gli investimenti nell’economia legale e chi li intralciava doveva morire. Molti dei gruppi criminali di quegli anni sono ancora attivi e molti altri si sono aggiunti e non tutti sono disposti a riconoscere i nuovi capi.Se cosi è a Roma e nel Lazio, i killer hanno ancora da lavorare.

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