Italiani che(r)esistono
E’ il gran giorno, e partiamo dalla Memoria, con la M maiuscola. Ci troviamo alle nove di mattina, per l’incontro che inaugura la nostra carovana, alla Risiera di San Sabba, nella nostra Trieste, unico lager nazista dell’Europa meridionale, unico campo di sterminio su suolo italiano. Il cortile di mattoni e cemento è vuoto di visitatori, e trasmette solo gelo: sopra, il cielo grigio fa dimenticare che si è ormai ad agosto. Entro nel locale che era adibito alle celle per i prigionieri, un brivido sale e ho la sensazione netta che quei cubicoli non potevano essere per persone –no- e invece lo erano. Stalle per uomini, minuscole e claustrofobiche. Che lo si voglia o meno, è tutto qui, nella nostra Italia, una dura presenza fatta di cemento e mattoni, ma anche di dolore che traspare, e che non può essere ignorata: che chiama a star desti, che maledice l’oblìo.
Ci sono le autorità, il vice-sindaco di Trieste Fabiana Martini e l’assessore provinciale alle politiche giovanili, Roberta Tarlao: dobbiamo ringraziarli del sostegno e patrocinio con cui hanno permesso la realizzazione del nostro progetto. Una vicinanza preziosa, non scontata, e che ci auguriamo tutti continui. Ma anche loro ringraziano noi, per esserci, per il valori con cui partiamo, per l’impegno: ma abbiamo ancora tutto da dimostrare, in realtà. Parla poi il nostro ospite, il sig. Susich, dell’Anpi, dell’Assocazione ex deportati e dell’Associazione ex perseguitati politici: chi meglio di lui può dirci cosa sia resistere? «La democrazia si fonda sul dialogo, e a quello mai dovrete rinunciare, ragazzi! Solo così potrete crescere e far crescere il nostro paese. Anche nell’inferno di Buchenwald, ricordo che cercavo di instaurare un dialogo con ciascuno dei miei compagni di lavoro, per non perdere mai questa dimensione profonda della democrazia». Terminato l’incontro, c’è giusto il tempo per i saluti, e poi via: si parte alla volta di Milano. Dobbiamo muoverci, non c’è tempo da perdere. Il traffico è fluido, e filiamo diritti verso la meta, con la voglia di gettarci a rotta di collo nell’impresa. Stranamente siamo puntuali e la grande metropoli ci accoglie senza intoppi nel suo enorme ventre: nella calura opprimente del pomeriggio agostano raggiungiamo il Circolo della Acli, dove ci attende il presidente onorario di Libera, Nando dalla Chiesa.
Molti di noi lo hanno spesso visto in veste ufficiale di presidente, o professore, agli incontri di Libera, ai raduni: ma quello con cui abbiamo avuto il piacere di parlare oggi era solo Nando dalla Chiesa, un cittadino italiano a tutto tondo. Oggi, ci parla solo (si fa per dire) della sua vita, della storia del suo impegno politico, associazionistico, accademico, e non solo. Ci racconta di come, suo malgrado, dovette trasformarsi in ricercatore di verità, in investigatore: come denunciò senza timore, e ne subì le conseguenze, le responsabilità che ebbero le alte sfere della politica nel lasciar morire il generale suo padre. Parla dei lunghi anni di lotta, dei tentativi di creare il primo movimento di antimafia sociale, dal basso. Come, con il Circolo e la rivista “Società Civile”, si cercò di creare una sensibilità sociale nuova sui temi della giustizia, della lotta alla mafia, che fosse veramente autonoma dalla logica partitica. E poi la voglia di tradurre in movimento politico quell’esperienza, con la “Rete”, che entrò in Parlamento e che alcune battaglie le vinse. Come quella dell’abolizione dell’immunità ai parlamentari, in quell’infuocato inizio di anni ’90, ai tempi di Tangentopoli e dell’inizio dell’agonia della prima repubblica e dei vecchi partiti. Ma non solo: parliamo della candidatura a sindaco di Milano, dei difficili anni in Parlamento, i contrasti e gli attriti, la disillusione, anche.
La sensazione che, a destra come a sinistra, si possa restare puliti solo finché non si pretende che anche gli altri lo siano. Finché non si tocca un sistema che, è un’amara constatazione, non è fatto di buoni o cattivi, di bianchi o neri, ma da entrambe le parti pare rispondere a una medesima logica. Ripartiamo con l’immagine di un combattente stanco ma non vinto, che troppe battaglie ha visto per avere l’ingenuità di noi ragazzi, ma che non rinuncia alla lotta neanche un minuto, e ci tiene che le nuove leve apprendano l’etica dell’impegno e la necessità di non rinunciare al sogno di cambiare la nostra Italia. Di nuovo sulla strada, e il lungo tramonto di mezza estate ci accompagna attraverso il Piemonte: il sole sta scendendo quando giungiamo infine alla Cascina intitolata al giudice Bruno Caccia e a sua moglie Carla Caccia, confiscata a coloro che uccisero il procuratore e oggi data in gestione a Libera. Ci inerpichiamo sulle colline di San Sebastiano da Po, ma alla fine ne vale la pena: la vista della ridente valle del grande fiume, sotto di noi, è mozzafiato.
Lo sguardo si spinge ad abbracciare la piana, fino alla sagoma della Alpi, in fondo. Che pace. Ma la serata non è finita: c’è uno spettacolo da mettere in scena per i nostri amici, e forse poi si cenerà. Già, perché a ogni tappa va in scena lo spettacolo appositamente scritto e realizzato per questa carovana: ma di questo parleremo nelle prossime tappe.
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Dizionario della Resistenza
Testimonianza
Siamo in molti a sentire bisogno di verità. Di una verità profonda, vera. Sì, siamo in molti in questo nostro Paese. Verità riguardo l’economia, la politica, la giustizia, il lavoro. Desideriamo sapere, desideriamo capire. Vogliamo sentircelo dire con sincerità e con autorevolezza. Abbiamo bisogno quindi di qualcuno che oltre alla parola, ci dia testimonianza di quanto afferma. Abbiamo bisogno di testimoni che parlino e agiscano, seppure a fatica, preoccupati di trasmettere un messaggio frutto di ricerca sincera, di competenza approfondita, di onestà. In molti vogliamo respirare, assieme ad altri, aria nuova, corroborante, vera.
Don Mario Vatta
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