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L’antimafia sbarca all’Università

Di Federico Alagna il . Emilia-Romagna

«La mafia teme la scuola più della giustizia». Gaetano Alessi apre così, citando Antonino Caponnetto, la presentazione del dossier “Le mafie in Emilia Romagna”, alla quale – a Bologna, nella facoltà di Giurisprudenza – hanno voluto assicurare la propria presenza più di una sessantina di persone. Lui, Alessi, è fresco vincitore del Premio Giuseppe Fava, riconoscimento non da poco, soprattutto per chi il giornalista non lo fa di professione ma “per amore”. Negli ultimi quattro mesi è stato il curatore di quello che, non a torto, è stato definito come “un progetto rivoluzionario per l’università italiana”: il primo laboratorio di giornalismo antimafia. A Bologna.  Frutto dell’incontro fra le diverse sensibilità di Stefania Pellegrini, la professoressa di Sociologia del diritto che da anni mobilita schiere di studenti per i suoi seminari antimafia, e l’associazione Rete NoName – Antimafia in movimento, il laboratorio ha visto la partecipazione di diciassette studenti delle facoltà di Scienze Politiche e Giurisprudenza dell’Università di Bologna e ha consentito la realizzazione di un corposo dossier di oltre trenta pagine.

A presentarlo alla città, oltre ad Alessi, ai ragazzi di Rete NoName e ad Antonella De Blasio, collaboratrice della cattedra di Sociologia del diritto, c’è anche Gaetano Saffioti, il coraggioso imprenditore calabrese che ha pagato il suo “no” al pizzo e la sua audace denuncia con una vita blindata e costantemente esposta al rischio. E ovviamente ci sono tutti i diciassette studenti-giornalisti: tre di loro, con la voce un po’ rotta dall’emozione e dal senso di responsabilità di chi sa di avere fatto qualcosa di importante, si alternano al microfono e raccontano per filo e per segno il contenuto del dossier e i metodi utilizzati per realizzarlo. Parlano di edilizia, snocciolando un lungo elenco di aziende coinvolte in appalti poco trasparenti, se non evidentemente pilotati; parlano di gioco d’azzardo e delle bische clandestine, riprendendo un filone investigativo inaugurato in Emilia Romagna, appena qualche mese fa, dal Gruppo dello Zuccherificio di Ravenna; parlano, ancora, di sorvegliati speciali e fatti di sangue, tanti, tantissimi, tre solo negli ultimi quattro mesi, “con buona pace di chi dice che se anche la mafia è arrivata in Emilia Romagna, perlomeno non spara”. Tra gli sguardi interessati e al tempo stesso sbigottiti del pubblico – mormorio diffuso: «Ma come ha fatto l’Emilia a ridursi così?» – i relatori si alternano, portando ognuno la propria testimonianza, ognuno il proprio punto di vista. Antonella De Blasio ricorda la necessità, anche per l’istituzione universitaria, di non tirarsi indietro davanti alla sfida delle infiltrazioni mafiose: non si può abdicare al ruolo di educatori che si detiene. Saffioti parte, invece, dalla sua esperienza personale, ma non si risparmia e, anzi, spazia molto, da un campo all’altro, arrivando a spiegare come, a suo modo di vedere, sia stato possibile il radicamento mafioso in Emilia Romagna e raccontando, sulla base di esperienze dirette, di come i soldi e il potere delle mafie non dispiacciano a nessuno, nemmeno alle “cooperative rosse” della civile Emilia. Infine, è il turno del rappresentante di Rete NoName. Che rilancia la possibilità di una seconda edizione del laboratorio per l’anno a venire e si sofferma sulle prospettive che la presentazione di questo dossier apre: «incalzare amministratori e istituzioni in generale, portare avanti la collaborazione tra entità e sensibilità diverse e complementari del mondo antimafia». 

Alla fine, in tanti, tra cui il referente regionale di Libera e un delegato della Fillea-CGIL, vanno a complimentarsi con questi meravigliosi piccoli giornalisti”, per dirla con Gaetano Alessi. E a chi suggerisce loro di godersi la bellezza di questo momento, una ragazza risponde: “Si, ma da domani si torna tutti a lavoro. Le mafie mica ci aspettano!”.

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