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Un’estate di fermento

Di Stefano Fantino il . Liguria



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Difficile negare il fatto che, negli
ultimi mesi, l’argomento “mafie” sia diventato in Liguria un tema
più consueto di quanto non fosse in passato. Non per una nuova e
celere colonizzazione che d’improvviso ha intrappolato le Riviere,
essendo da decenni provata la presenza di varie mafie, ‘ndrangheta in
testa. Quanto per una serie di movimenti, giudiziari innanzitutto,
che stanno avendo il merito di focalizzare su questo tema. Al momento
nessun provvedimento eclatante ma sono diverse le inchieste che hanno
avuto il potere di scompaginare una situazione da sempre troppo
immobile. La commissione di inchiesta prefettizia per appurare le
possibili infiltrazioni mafiose a Bordighera, la “città delle
Palme”, è solo un esempio: la stessa inchiesta “Il Crimine”,
che ha portato all’arresto di centinaia di persone, ha acceso più di
un riflettore sulla Liguria. E nell’estate diversi casi hanno
dimostrato la necessità di scavare a fondo in un territorio come
quello della piccola regione costiera.

I lavori della Commissione

L’invio della commissione prefettizia a
Bordighera ha permesso al viceprefetto di Imperia Biagio De Girolamo,
al viceprefetto aggiunto di Savona, Marco Di Giovanni, e al direttore
amministrativo contabile della prefettura di Genova, Michele Sicuro
di mettersi al lavoro. De Girolamo nella fattispecie ha già alle
spalle una esperienza simile, sul comune piemontese, poi sciolto, di
Bardonecchia. Ora al loro fianco, da qualche giorno ormai, un pool di
forze dell’ordine, al fine di valutare la presenza di eventuali
infiltrazioni mafiose all’interno del comune di Bordighera. La
commissione insisterà sui lavori degli ultimi otto anni
dell’amministrazione di Palazzo Garnier, prima raccogliendo dati e
quindi incrociandoli tra di loro. Il controllo avverrà tramite
visure camerali, passaggi di mano, controllo dii codici fiscali dei
diretti interessati, per trovare gli eventuali espedienti che
avrebbero, ad esempio portano a una disinvolta assegnazione di
appalti. Nel frattempo si è intensificata anche l’attività di
polizia lasciando alle cronache inquietanti notizie. Quattro fucili e
tre pistole semiautomatiche regolarmente detenuti da una casalinga di
Bordighera, sono stati sottoposti a sequestro amministrativo, dai
carabinieri dato che si ritiene che la donna, affiliata alla
‘ndrangheta, li detenesse per conto di altri malavitosi aderenti alla
criminalità organizzata, soggetti finiti nelle recenti inchieste che
hanno scosso il Ponente.

Non solo “Estremo Ponente”

Francantonio Granero, procuratore capo
di Savona. Qualcuna se ne ricorderà come giudice istruttore, quasi
trent’anni fa del processo Teardo, l’eclatante caso che coinvolse il
presidente della regione Alberto Teardo, socialista, ponendo per la
prima volta i fari accesi sul rapporto politica – mafia.
Recentemente Granero è ritornato all’onore della cronaca. In una
recente intervista al Secolo XIX ha dichiarato: «Dopo le inchieste
nel ponente ligure e a Genova, può essere Savona la sola isola
felice?» . Una domanda retorica a cui aveva già dato una risposta,
e promuovendo per il territorio della procura savonese la
costituzione di un superpool di polizia giudiziaria, composto da
Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, con una specializzazione
riguardo ai temi di criminalità organizzata di tipo mafioso. La
notizia che un siffatto gruppo, organizzato dalla procura della
Repubblica, in grado di lavorare tempo pieno sulla criminalità
organizzata, sulle mafie, sui tentativi di infiltrazione nella
politica e nell’economia locale, rappresenta una sicura svolta.
Segno che le inchieste hanno inciso profondamente sul tessuto sociale
ligure. Ricordiamo, sempre notizie estive, la richiesta da parte di
frange della società, di una commissione di inchiesta prefettizia
anche per il comune di Arenzano, il primo a ponente di Genova. La
qual cosa potrebbe innescare un meccanismo che vedrà sotto la lente
di ingrandimento non solo il “caso Bordighera” ma molti comuni
apparentemente innocui in tutta la regione.

“L’eco del Crimine”

Come mai questo fermento? Sono passati
alcuni mesi ma non bisogna dimenticare che la maxi-inchiesta “Il
Crimine” coordinata dalla Dda di Milano e di Reggio Calabria,
centinaia di arresti soprattutto al Nord, aveva toccato anche la
Liguria. E nel territorio regionale ha sfiorato più di una volta i
rapporti tra i boss della mafia calabrese e la politica. All’interno
dell’ordinanza che ha portato agli arresti, ad esempio, una
telefonata tra due boss concerne proprio un appoggio elettorale.
Voti, promesse, appoggi. A parlarne sono due personaggi, Domenico
Belcastro, arrestato e Giuseppe Commisso, tirandone in ballo un
altro, Mimmo Gangemi, anche lui finito nelle maglie del Ros. Dalle
intercettazioni traspare la volontà di dare un appoggio a Rosario
Monteleone, presidente del consiglio regionale e coordinatore
dell’Udc in Liguria. Durante i colloqui i due arrestati si mostrano
discordi, perché la volontà di Gangemi di far confluire i voti su
Monteleone si scontra con la volontà di Belcastro di appoggiare
un’altra candidata.

E qui entra in scena nello specifico il
Ponente. La candidata altri non è che Fortunata Moio, figlia
ventitreenne di Vincenzo Moio, ex vicesindaco Pdl di Ventimiglia ,
poi allontanato dopo liti col sindaco Scullino. Lo stesso Vincenzo
Moio che ottenne, in quella tornata elettorale, un numero così alto
di voti da far tappezzare la città di confine con manifesti recanti
la frase«Orgoglioso di rappresentarvi». Alle scorse regionali,
però, la figlia di Moio, che non è risultata eletta, era nella
Lista Bertone Federazione Pensionati alleata del centrosinistra. Al
telefono con Commisso, Belcastro dice:«…stiamo appoggiando ad uno,
voi sapete chi è questo che lui veniva sempre a Siderno e vi
conosce… quel Moio ve lo ricordate voi?» tra l’altro specificando
che si tratta di un amico che si impegna e la cui figlia, candidata,
è da loro appoggiata. Contro la volontà di Mimmo Gangemi. Questa
spaccatura iniziale implicava la mancata votazione in«camera di
controllo» come Belcastro sottolinea al telefono imputandola a una
azione personale del Gangemi:«…se ne è andato a Ventimiglia lui a
chiamare persone ad uno ad un altro là… invece questi hanno
mandato da me a questo, no?… gli hanno detto: «andate da Mimmo e
non vi preoccupate»… e lui si è risentito che è venuto da me…
e io non l’ho mandato a chiamare… poi mi ha mandato a chiamare
lui, poi alla fine ha detto che voleva parlare con Moio a chiedergli
scusa che ha sbagliato in buona fede, poi gli ha chiesto scusa pure a
questo Moio…»

«Pare che la Liguria è
‘ndranghetista»

L’estate sta per finire ma non si tace
l’eco di ciò che in quella inchiesta ha dato molte conferme al
radicamento delle ‘ndrine in regione. La pervasività della loro
azione la penetrazione risalta tutta da una intercettazione in cui,
molto schiettamente, viene detto:«Siamo tutti una cosa, pare che la
Liguria è ‘ndranghetista». Lo afferma il boss Mimmo Gangemi,
sottolineando l’ideale situazione ricreate nella regione di arrivo da
parte dei molti calabresi emigrati decine di anni fa. Una importante
conferma della struttura della ‘ndrangheta in Liguria viene fuori
dalle carte allorché in una conversazione si fa riferimento a una
questione territoriale con gli appartenenti alla ‘ndrangheta operanti
in Svizzera. Dal passaggio che ci interessa della conversazione
emerge, per la Liguria, un organismo definito«camera di passaggio»
che ha sede a Ventimiglia:«voleva fare il direttore, però questo
non è possibile, ma non glielo lasciavano nemmeno…là…Fabrizia,
pure là, Fabrizia gliel’hanno negato, non solo il Crimine eccetera
eccetera, perché non esiste da nessuna parte questo qua, c’è solo
una camera di passaggio a Ventimiglia, però è solo per quelli che
se ne vanno in America eccetera, eccetera, però qua non esiste da
nessuna parte». Questo riferimento alla città di confine non fa che
rinsaldarsi alle già conosciute indicazioni che vedevano appunto a
Ventimiglia la presenza di una salda struttura di controllo e
coordinamento internazionale, soprattutto con la vicina Costa
Azzurra. Anche l’ordinanza lo ribadisce riferendosi ad acquisizioni
investigative del Ros: Il locale di Ventimiglia diviene anche camera
di passaggio o di transito, destinata a regolare i rapporti di
cooperazione con i locali calabresi, operanti in Costa Azzurra,
rispetto ai quali si pone in posizione di sostanziale continuità
operativa».

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