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Le domande scomode sulla mafia

Di Lorenzo Frigerio il . Recensioni

Una esperienza pluridecennale messa al servizio del lettore più acerbo ma in grado di riservare spunti interessanti anche all’esperto più esigente: prende forma in un bel libro, intitolato “FAQ mafia”, il cammino professionale di Attilio Bolzoni, firma storica del quotidiano “La Repubblica” che da Palermo ha raccontato le vicende di mafia negli ultimi trent’anni. Proprio seguendo il meccanismo delle “FAQ” e cioè delle “Frequently Asked Questions” – le domande che si pongono più frequentemente sugli argomenti più disparati, secondo il lessico che abbiamo imparato dal web – il cronista palermitano ci accompagna per mano nella conoscenza di Cosa nostra.  Dalla prima («Che cosa significa mafia?») all’ultima delle domande («Chi e perché ha coperto i boss mafiosi?»), il lettore è lentamente condotto per mano a leggere e interpretare i contenuti che fondano l’esistenza del potere mafioso. 

Nello specifico Bolzoni si sofferma sull’origine storica della mafia siciliana e ne accompagna l’evoluzione: dai campieri ai gabellotti ai moderni boss del narcotraffico, passando dalla campagna alla città, la mafia ha sempre dimostrato di sapersi adattare a nuovi scenari e nuovi affari. Esemplare il ricorso ad una plastica similitudine, per spiegare la pervasiva capacità della mafia di danneggiare la società: «L’uomo d’onore è come un ragno. Per tutta la vita trama, costruisce intrecci di amicizie, di favori, di ricatti, di conoscenze». Questa capacità di inquinare, di infiltrarsi rende i mafiosi estremamente pericolosi per la tenuta del tessuto sociale e civile di cui si interessano, perché tendono a farlo diventare proprietà privata, al di là di ogni legge. Nel primo capitolo del libro (“Cos’è la mafia”), ci si sofferma su regole e organizzazione, per narrare anche l’evoluzione di Cosa nostra e il rapporto con l’universo femminile e la religione, approfondendo anche la funzione del pizzo nel controllo del territorio. A tale proposito il giornalista non esita a leggere i positivi cambiamenti introdotti dall’avvento di esperienze associative quali Addio Pizzo e della decisione della Confindustria siciliana di espellere chi cede al racket delle estorsioni, per pagare una protezione. 
Nel capitolo “Storia di mafia”, invece il giornalista risponde alle domande che riguardano l’evoluzione storica di Cosa nostra, fino all’epoca stragista, condotta dai corleonesi di Riina. Si affrontano anche i temi degli oscuri rapporti con la massoneria, dal golpe Borghese ad oggi e degli innumerevoli segreti di Stato che costellano le vicende di mafia, ma la risposta più chiara viene data ad una domanda semplice all’apparenza ma invece quanto mai complessa: «La mafia è di destra o di sinistra?». Bolzoni, infatti, replica deciso, senza mostrare dubbio alcuno: «La mafia non ha ideologia. La mafia non è di destra e non è di sinistra: sta con il potere, si attacca al potere, si è sempre insinuata dentro il potere». La lunga cavalcata all’interno delle vicende del pool antimafia – il terzo capitolo è dedicato alle vicende del maxi processo alle cosche intentato da giudici come Falcone e Borsellino – ha lo straordinario vantaggio di attingere a piene mani ai ricordi vissuti in prima persona dall’autore e ci restituisce, nel corso dell’esposizione, lunghi squarci di malinconia su quello che è stato e che poteva essere il momento di non ritorno nella lotta a Cosa Nostra. Una grande occasione persa, sembra dirci Bolzoni. Domande scomode sono quelle del capitolo successivo, che riguardano l’antimafia dello Stato, con le misure legislative prese nel corso dei decenni, rincorrendo spesso le emergenze e anche l’antimafia della società civile e responsabile. Parole di elogio sono spese anche nei confronti di Libera («Gente che non fa chiacchiere, ma che fa»). 
Ampio spazio è poi dato al ruolo di giornalisti e uomini di cultura nel contrasto alla mafia (“Mafia raccontata, mafia denunciata” è il quinto capitolo pieno di domande e risposte documentate), in quasi cent’anni di storia del nostro Paese: dalla polemica di Sciascia sui “professionisti dell’antimafia” alle recenti invettive del premier contro libri e fiction che danneggerebbero l’immagine dell’Italia all’estero, passando dal racconto della disavventura occorsa a lui e a Saverio Lodato, che finirono in carcere con l’accusa di concorso in peculato, per aver pubblicato i verbali dell’interrogatorio del pentito Antonio Calderone. Il procuratore capo di Palermo dell’epoca – siamo nel 1988 – li accusò di aver sottratto beni dello Stato, vale a dire la carta delle fotocopie del verbale. C’è ancora spazio per parlare di mafie nel sesto capitolo, raccontando dell’evoluzione di Cosa nostra in America, del ruolo mondiale della ‘ndrangheta oggi, della vischiosità sociale della camorra, raccontata da Roberto Saviano. 
Si arriva così all’ultimo capitolo, che cerca di illuminare quello che viene definito “il mistero dei misteri”, vale a dire le stragi del 1992 e le polemiche e i retroscena che ancora oggi occupano le cronache dei giornali: “Totò Riina è il mandante siciliano. Il mandante italiano è ancora senza nome”. Bolzoni non intende sottrarsi poi alla domanda più insidiosa («Berlusconi è un amico dei mafiosi?»), per rispondere che il premier “paga il rapporto con Marcello Dell’Utri, che con molti boss di Cosa Nostra ha sempre avuto una vicinanza sin dalla metà degli anni settanta e forse anche da prima”. Il giornalista ricorda che Berlusconi poteva chiarire tutto con i magistrati di Palermo ma preferì nel 2002 avvalersi della facoltà di non rispondere alle domande scomode. Le domande scomode invece alle quali Bolzoni ha dimostrato di non sottrarsi fino all’ultima.

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