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25 anni dopo la strage di Pizzolungo

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Sono al terzo anno consecutivo le iniziative del “Non ti scordar di me” indette dal Comune di Erice per ricordare tre vittime della mafia siciliana, quella specialista nelle stragi al tritolo e capace di intrecciarsi con la massoneria e con quella parte di Stato infedele alle Istituzioni Democratiche. Il 2 aprile del 1985 una autobomba piazzata su una curva della frazione ericina di Pizzolungo, in un punto poco distante dal mare, faceva strazio di tre povere vittime, una mamma, trentenne, Barbara Rizzo, ed i suoi due gemelli, Salvatore e Giuseppe di sei anni. L’autobomba esplose mentre quell’auto veniva sorpassata da due automobili, una di queste, una Fiat 132, era quella usata dal sostituto procuratore Carlo Palermo, da poco più di 40 giorni a Trapani, trasferito dopo essere stato allontanato dalla procura trentina dove indagando su traffici di armi e droga aveva scoperto intrallazzi con la politica che portavano all’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi. Faccenda questa inghiottita dall’oblio nessuno se ne ricorda più, Ma il filo c’è e nessuno dopo Carlo Palermo è andato più a toccarlo. L’altra auto che percorreva quella strada era una Fiat Ritmo normalissima, non era blindata come l’altra, e a bordo c’erano i poliziotti della scorta che si difendevano usando particolare caschi e corpetti. L’onda d’urto dell’esplosione colpì le due auto del magistrato e della scorta senza provocare morti, ma il grosso di quel “botto” spazzò via l’auto di Barbara Rizzo e con lei gli altri due giovanissimi occupanti. Brandelli dei loro corpi e rottami dell’auto sparsi nell’arco di alcuni metri, una macchia rossa fu trovata in cima ad una vicina villetta, ad una certa altezza da terra, sotto quella macchia una scarpetta, il corpicino di uno dei gemellini era finito fin lassù. La mafia non uccise Carlo Palermo ma ottenne lo stesso il risultato che voleva. Il magistrato nel giro di pochi anni lasciò la magistratura, gli agenti della scorta da quel momento cominciarono a fare i conti con la paura, l’angoscia, alcuni con malanni che li portarono alla morte ugualmente. Il contesto sociale poi con la morte di Barbara e dei suoi figli era avvertito su quello che poteva accadere, mostrò di recepire bene il messaggio il sindaco dell’epoca, il Dc (moroteo) Erasmo Garuccio che sostenne anche davanti ai morti dilaniati dal tritolo mafioso che la mafia non esisteva. A completare l’opera la memoria che via via si è fatta affievolita, quei morti per 23 anni sono rimasti solo dei loro parenti e dei conoscenti, di Margherita Asta, figlia e sorella delle vittime, nel frattempo colpita da un altro lutto la morte del padre, Nunzio. Sono occorsi 23 anni e un nuovo sindaco di Erice perché la comunità ha ricominciato a ricordare. E lo farà ancora quest’anno a 25 anni dalla strage.

Quando si racconta questa strage spesso si sente dire che Barbara ed i suoi figli furono uccisi per sbaglio. Vero, gli obiettivi erano altri, un magistrato, e con lui la sua scorta, ma se fossero stati uccisi loro oggi dovremmo dire che loro erano i morti giusti? Non ci sono morti giusti e morti per sbaglio. Ci sono solo morti uccisi dalla crudeltà mafiosa, dalla barbarie di Cosa Nostra, ci sono stragi e attentati partoriti dalle menti contorte, pericolose, criminali e assassine di soggetti che hanno scelto un altro credo, quello mafioso, illiberale, antidemocratico predicato da Cosa Nostra. Che è lo stesso credo sia se porta ad uccidere sia se sovraintende a pilotare gli appalti, a controllare le imprese, se inquina l’economia e la politica, come fa tanto di questi tempi, condizionando lo Stato senza bisogno di sparare nemmeno un colpo.

Uno Stato che però a donne  e uomini, tante donne e tanti uomini, pronti a fare il loro dovere. Ad uno di questi è dedicato il “Non ti scordar di me” del 2010: era un agente di polizia penitenziaria, si chiamava Giuseppe Montalto. Fu ucciso l’antivigilia di Natale del 1995 davanti la casa dei suoi congiunti, una frazione a qualche chilometro da Trapani. I mafiosi lo uccisero perché lui in servizio, lavorava all’Ucciardone, carcere di Palermo, aveva “intercettato” lo scambio di un pizzino tra detenuti. Ma l’ordine di morte nei suoi confronti fu anche pronunciato dall’inappellabile giudizio di Cosa Nostra perché quel delitto doveva essere anche il regalo di Natale da parte dei boss liberi ai detenuti ristretti al 41 bis, al carcere duro. Il boss libero che lo fece uccidere è lo stesso di quello che oggi comanda la mafia sommersa, quella che fa impresa, produce soldi e non spara, Matteo Messina Denaro, il capo mafia del Belice, capo della mafia trapanese e pronto se si ricostituisce la cupola siciliana a prendere il posto che fu di Badalamenti, Riina, Provenzano. Montalto fu ucciso mentre sedeva in auto, al suo fianco la moglie Liliana, che era incinta e ancora non lo sapeva, sul sedile posteriore c’era Federica, nata da qualche mese. I killer furono precisi a sparare, colpirono solo Montalto. Furono in due a sparare, le indagini hanno portato ad identificarne solo uno, Vito Mazzara, un campione di tiro a volo diventato killer spietato della mafia, oggi all’ergastolo per questo omicidio e indagato perché sospettato di essere stato lui il 26 settembre del 1988 ad uccidere Mauro Rostagno. A Giuseppe Montalto è dedicata la manifestazione del prossimo 29 marzo, gli studenti delle scuole ericine invaderanno pacificamente l’aula bunker del carcere di  San Giuliano a Trapani, dove fu celebrato il processo per il delitto di Giuseppe Montalto, presenteranno i loro lavori, video, scritti, poesie, diranno agli adulti come sarà possibile non scordarsi di chi ha dato la vita per la Democrazia e di chi facendo il suo dovere si è trovato suo malgrado ad essere un eroe.

Le manifestazioni continueranno, e il 2 aprile sarà ufficializzato il bando di concorso con il quale il Comune di Erice sceglierà il miglior progetto per arredare e attrezzare come parco della memoria l’area di Pizzolungo rimasta disadorna e dove sul punto in cui era posteggiata l’autobomba 24 anni addietro Nunzio Asta con i suoi soldi fece collocare una stele e un bronzo a ricordo dei suoi familiari. Ancora 25  anni non sono stati sufficienti a raggiungere questo traguardo, per le disattenzioni decennali di altre amministrazioni comunali, disattente quasi al punto tale da fare approvare un paio di anni addietro un progetto per realizzare su quel’area una terrazza sul mare, la stele si sarebbe trovata tra ombrelloni e sdraio, tra gazebo e banchi per la vendita di gelati. Il cantiere fu fermato in tempo dall’amministrazione dell’allora neo eletto sindaco Tranchida, i suoi predecessori si erano occupati di altro, una volta l’anno il pensiero era quello di mettere una ghirlanda poggiata sulla stele.

Il 14 aprile il centro sociale di San Giuliano, rione fatto di case popolari in territorio di Erice, verrà dedicato a Giuseppe Impastato, ucciso dalla mafia a Cinisi il 9 maggio del 1978. Giornalista e esponente politico, oggi si direbbe giornalista fazioso per quel suo schierarsi contro mafia e mafiosi. Forse lo chiamerebbero anche professionista dell’antimafia. Sarà l’occasione per parlare un poco di informazione. A Trapani ma non solo a Trapani se ne parla da tempo ma non cambia nulla. Qui suscita scandalo la frequentazione tra giornalisti e forze dell’ordine, indispone il giornalista che frequenta palazzo di giustizia, non suscita indignazione il giornalista che copre la notizia, che parla e concorda le cose da scrivere con l’imprenditore o il politico colluso, a Trapani ci sono pseudo editori che fanno gli untori. Qui diventa una controversia personale il fatto che un giornalista possa essere additato come mafioso o si trova a dovere rispondere in tribunale di una maxi richiesta di risarcimento, tutto questo per avere esercitato diritto di cronaca. Non sono controversie personali, è rivendicare il dir
itto a fare il proprio dovere non solo per se ma per tutti gli altri che hanno scelto questo lavoro. Non ci si può ricordare di Impastato e di Rostagno e degli altri giornalisti uccisi dalla mafia solo per riempire palcoscenici o fare cerimonie. Quel centro sociale dedicato a Impastato sarà un segno importante, in controtendenza a chi a qualche chilometro di distanza ha deciso di intestare una via del porto di Trapani ai “grandi eventi” gli stessi che in questi giorni stanno mettendo a ferro e fuoco, e speriamo che i magistrati ci riescano davvero, un sistema fatto di collusioni, complicità, criminali e criminose, che ha tolto risorse pubbliche per darle a pochi.

Ultimo passaggio della manifestazioni dedicata al “Non ti scordar di me” 2010 ci sarà il 3 maggio. Quando Erice incontrerà uno dei più grandi uomini che l’Italia può vantare di avere, don Luigi Ciotti. Incontrarlo sarà preziosa occasione. Ascoltarlo sarà importante. L’uomo che contro la mafia agita ogni giorno il “noi”, la coralità, l’impegno. In quella giornata il sindaco di Erice Giacomo Tranchida ha deciso di conferire al capo della Polizia Antonio Manganelli la cittadinanza onoraria di Erice, dopo averla conferita al prefetto Fulvio Sodano, al capo della Squadra Mobile di Trapani Giuseppe Linares, all’ex magistrato Carlo Palermo.

Venticinque anni dopo la loro morte non è rimasto più vano il sacrificio di Barbara, Rizzo e Giuseppe. Ha scrollato le coscienze Margherita Asta e i tanti che lavorano con Libera, non è una passerella fine a se stessa quella di Erice, la finalità è solo a favore della Democrazia, è il popolo che ha gli strumenti per governare lo Stato, Erice dice questo alla gente di ogni dove, e lo dice a chi oggi ci Governa e a chi ci governerà domani.

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