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Fiamme, solitudine e accuse

Di Rosario Cauchi il . Sicilia

Quattro attentati, quattro avvertimenti, quattro affronti economici: il commerciante gelese Nicola Interlici, uno dei tanti prima dello scorso 25 Luglio, sembra divenuto esclusivo bersaglio di una criminalità, organizzata o meno, incline a non demordere, sfrontata ed evidentemente conscia dei mezzi a propria disposizione.  Due automobili dilaniate dalle fiamme, una vetrina in frantumi, gran parte della merce custodita in un magazzino resa inutilizzabile; queste le fasi di un travaglio iniziato, in maniera plateale, la notte del 25 Luglio: Calogero Greco, ventenne figlio di Angelo, affiliato a cosa nostra gelese, e nipote di Salvatore, anch’esso esperto dei meccanismi della locale mafia, tra gli “amici” dell’ex portavoce di Giuseppe Madonia, Carmelo Barbieri, non esitò ad appiccare il fuoco alla Mini-Cooper di proprietà del commerciante e a cagionare notevoli danni alla vetrina di uno dei suoi tre punti vendita.

Una consumazione gratuita negata in discoteca, questa, stando alle indagini, sarebbe stata la motivazione alla base della condotta di Calogero Greco: non mi garantisci un cocktail “omaggio” e, per giunta, mi fai fare brutta figura difronte agli amici? Allora aspettati la “giusta” reazione. Questo accade a Gela, quando un imprenditore, conosciuto anche per la gestione di una nota discoteca, incrocia il “rampollo” di una delle tante famiglie chiacchierate della città: nessuna intimidazione né richiesta di pizzo, solo l’orgoglio ferito di un giovane “balordo”, si disse.

Ad un mese dai fatti, però, una nuova notizia battuta dalle agenzie, “un magazzino in fiamme a Gela, 250.000 euro i danni accertati”; non ci si meraviglierà se la piccola struttura colpita, proprio entro i meandri del centro storico, è di proprietà di Nicola Interlici: ennesimo avvertimento? La vittima ha, però, sempre negato qualsiasi approccio criminale nei suoi confronti, e allora? Tutto sembra tacere durante questo lungo inverno, ma la tregua, almeno per quanto concerne la vita di Nicola Interlici, si arresta il primo giorno di Marzo: l’automobile in sosta proprio innanzi all’abitazione della madre viene presa dalle fiamme, l’esplosione è quasi immediata, l’orologio segna solo le 19:30.

Rimanere costantemente sotto il cannocchiale di qualcuno o di qualcosa non fa per lui; basta con Gela e con l’asfissiante indifferenza che la pervade, “vendo tutto e vado via”: questa la reazione di Nicky. Gela, nuova patria di estreme pratiche legalitarie, lo ha tradito: “nessuno mi ha sostenuto; lo Stato non ha saputo tutelarmi; ha vinto la mafia”, punto e a capo.
Ma il rammarico e la rabbia, sentimenti sempre più penetranti, lo conducono anche alla critica di uno dei simboli della “rivoluzione” gelese: l’associazione antiracket “Gaetano Giordano”.

Interlici, sulla spinta indotta dall’avvento di Rosario Crocetta, oggi parlamentare europeo del Partito Democratico, fu tra i primi sostenitori della nascitura associazione, uscendone, però, intorno al 2007. L’attuale presidente di questa entità, nonché componente del direttivo nazionale della Federazione Antiracket Italiana, Renzo Caponetti, ricorda che lo stesso Nicola Interlici non chiarì in nessun modo i motivi del suo abbandono, “se ne andò e basta”.

Le parole pronunciate dal commerciante, però, lasciano poco spazio ad ogni opzione interpretativa: all’interno dell’associazione antiracket ci sarebbe poca trasparenza, “al suo interno è maggiore la presenza di malavitosi piuttosto che quella di persone oneste”. Caponetti non può che rispondere elencando i successi ottenuti nel corso di questi anni: un numero assai rilevante di denunce, il più alto in Italia; l’adesione di almeno cento imprenditori; risultati impensabili in altre fasi storiche trascorse dalla città.

Il presidente, sotto scorta da ormai cinque anni, tiene a precisare che, nonostante le ripetute intimidazioni subite, Nicola Interlici non ha mai contattato alcun tesserato dell’organizzazione, sottolineando, dunque, l’infondatezza delle accuse mosse, accertata dalle attestazioni prefettizie che ogni aderente all’entità antiracket gelese deve necessariamente ottenere, pena l’esclusione. Quel che appare evidente, però, anche agli occhi degli osservatori meno attenti, è la totale assenza di veri segnali di solidarietà nei confronti di un imprenditore sottoposto ad uno strategico attacco: le organizzazioni criminali operanti sul territorio gelese hanno individuato un obiettivo al quale lanciare messaggi che potrebbero, però, estendersi, prima o poi, all’intera città.

L’eventuale ipotesi B, tutta incentrata sulla vendetta di concorrenti economici, non può di certo consolare, soprattutto quando, al fine di espellere definitivamente un proprio “avversario”, non si antepone neanche il dilemma dell’incolumità pubblica.
Nessuno può trascurare l’estrema importanza della raccolta del pizzo in città: i clan, in declino o, comunque, in piena riorganizzazione, non possono neanche ponderare l’abbandono di una “fetta di mercato” così decisiva; allora nulla può essere lasciato all’improvvisazione.

Nicola Interlici, intanto, solo e privo di un vero sostegno popolare, difficile da ottenere in una terra assai avara di bagni di folla, continua a meditare; l’antimafia gelese, invece, appare sempre più spaccata, orfana di una guida, negli ultimi anni raffigurata da Rosario Crocetta, capace di impedire pericolose derive.
Come se non bastasse, chi ha interesse ad inoltrare molteplici messaggi, certamente difficili da ovviare, ha ritenuto opportuno posizionare, proprio nei pressi dell’automobile appartenente alla signora Rocca Lopez, una tanica di benzina: il motivo di tanto clamore? La destinataria del “regalo” altri non è che la consorte di Renzo Caponetti, presidente dell’associazione antiracket “Gaetano Giordano”.

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