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La «mafia sommersa» si riorganizza

Di Rino Giacalone il . Sicilia

È l’uomo della «nuova» Cosa nostra, ma anche il riferimento più autorevole della mafia siciliana. Il nuovo «padrino». Oggi che i grandi latitanti sono stati catturati, Matteo Messina Denaro tiene le fila del potere mafioso. Super latitante, originario di Castelvetrano, 48 anni ad aprile, ricercato dal 1993, è oggetto principale di trattazione nella relazione presentata dal Servizi segreti al Parlamento. Il documento non indica delle novità, dà le conferme circa l’esistenza di una «mafia sommersa», «costretta ad inabissarsi dall’aggravarsi delle fasi critiche», e che starebbe cercando di «recuperare figure carismatiche, segnatamente storici capimafia che, accanto alle giovani leve, in una prospettiva temporale di medio-lungo termine siano in grado di ripristinare modelli organizzativi più efficaci ed idonei a superare le attuali difficoltà».

Una Cosa nostra che torna all’antico, secondo i Servizi, con gli «storici e carismatici capimafia» recuperati anche per risolvere altre problematiche: «Riempire i vuoti di potere a livello apicale e recuperare risorse economiche tramite l’esercizio estorsivo, l’ingerenza persistente e sistematica negli appalti e nell’esecuzione di lavori pubblici e privati, anche per soddisfare le crescenti esigenze di un circuito carcerario sempre più influente».

In questo scenario così scrivono i Servizi: «Il profilo criminale del latitante trapanese Matteo Messina Denaro lascia ipotizzare un suo peso crescente a livello extraprovinciale, a fronte di una precarietà di equilibri che è parsa caratterizzare tutte le principali realtà criminali della Sicilia». Nella relazione c’è la conferma che a partire dal trapanese la Cosa Nostra di Messina Denaro ha chiuso il cerchio e completato la fase di intromissione nel tessuto sociale ed imprenditoriale, a Trapani ha preso piede il predominio di quel livello mafioso «dove non ci sono “punciuti”, ma soggetti in grado di gestire grandi risorse che agiscono con comportamenti mafiosi».

Insomma, il «terzo livello degli uomini d’onore, dove restano in auge i vecchi “consigliori” e a disposizione i gruppi di fuoco però affianco ai colletti bianchi». C’è una Cosa nostra dentro quella tradizionale, una «Cosa nostra» conosciuta solo da Matteo Messina Denaro. È la Cosa nostra «moderna» che ha cercato, trovandola, «una via verso la legalizzazione». Ci sono i «pizzini» mandati dal boss e sequestrati nel tempo dagli investigatori che gli danno la «caccia» che tradiscono tante cose, anche il «rimpianto» del «padrino» che in uno dei «pizzini» scirve di avere una figlia e di non averla mai vista.

Sidi  chiama Lorenza come la nonna paterna, e vive in una casa dove in ogni stanza c’è una foto del padre e del nonno, «don» Ciccio Messina Denaro morto nel 1998, perchè forse possa crescere senza potere dire di non conoscere. Nella relazione non si fa riferimento al tentativo dei servizi di «stanare» Messina Denaro utilizzando i contatti dell’ex sindaco di Castelvetrano Tonino Vaccarino al quale la Polizia ignara un paio di anni addietro andò a sequestrare accusandolo di favoreggiamento i «pizzini» della loro corrispondenza: poi davanti ai pm di Palermo Vaccarino tirò fuori le «credenziali» che gli aveva rilasciato il Sisde e che lo salvarono da un probabile processo.

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