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Scudo flop?

Di Gaetano Liardo il . Lazio

Si sta sollevando in questi giorni un gran polverone sullo Scudo fiscale e la sua incidenza sull’economia reale del nostro paese. In coincidenza, tra l’altro, con i grandi scandali di corruzione che hanno travolto il sistema Protezione Civile, e successivamente le due grosse imprese telefoniche, Telecom e Fastweb. Tangenti e appalti truccati hanno messo in nudo il sistema gelatinoso della gestione di emergenze e grandi eventi da parte della Protezione Civile, la cui trasformazione in Spa è stata bloccata proprio in seguito alle inchieste della Procura di Firenze.

La Procura di Roma, invece, ha indagato su un grosso giro di evasione e riciclaggio di denaro sporco riconducibili a Telecom e Fastweb, una somma di denaro pari a 2,2 miliardi di euro.

Nell’infuriare della tempesta, che non ha risparmiato politici, magistrati, esponenti del governo e  boss della criminalità organizzata, ritorna a galla lo Scudo fiscale. La Banca d’Italia, infatti, corregge, e di molto, i dati fatti circolare dal Ministero del Tesoro relativi ai capitali rientrati in Italia con lo scudo. Se da via XX Settembre lo scorso dicembre si cantava vittoria per l’ingresso di 95 miliardi di capitali nel nostro paese, via Nazionale corregge il tiro, affermando che a rientrare sono stati soltanto 35 miliardi di euro. Meno della metà dei dati governativi. Come se non bastasse, l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, chiede chiarimenti e apre una indagine conoscitiva per la carenza di misure antiriciclaggio nell’operazione scudo fiscale.

Le argomentazioni di Bankitalia si basano su quanto previsto dalla normativa che regolamenta la scudo. Esistono, infatti, tre possibiltà per “scudare” i capitali illecitamente portati all’estero: la regolarizzazione, il rimpatrio giuridico e il rimpatrio con liquidazione. Nel primo caso, la regolarizzazione, i capitali rimangono all’estero presso un intermediario straniero, ma vengono denunciati al fisco. Il secondo caso, il rimpatrio giuridico, prevede che i capitali rimangono all’estero ma vengono gestiti da un intermediario italiano. Il rimpatrio con liquidazione, infine, prevede il rientro effettivo dei capitali nel nostro paese. Quest’ultima opzione è l’unica a far rientrare fisicamente i soldi nel paese, iniettando liquidità ad una economia dissanguata dalla crisi. Soltanto 35 miliardi di euro sono, così, fisicamente rientrati in Italia, gli altri invece solo virtualmente.

Se i conti non tornano, rimangono invariate le preoccupazioni relative alla provenienza dei capitali “scudati”. Rientrata o meno in Italia questa ingente somma di denaro è regolarizzata, quindi ripulita, con la garanzia dell’anonimato. Nello specifico, regolarizzando i capitali, in cambio del pagamento di un’aliquota, lo Stato garantisce anonimato, elimina l’obbligo da parte dell’intermediario finanziario di segnalare operazioni sospette in termini di riciclaggio, e copre reati di natura finanziaria e fiscale. Aspetti che stanno allarmando l’Ocse proprio nel periodo in cui ha lanciato una stretta ai paradisi fiscali, imponendo trasparenza e collaborazione tra i paesi in materia di evasione e riciclaggio.

Un’ulteriore riflessione per valutare la strategia di contrasto a mafie, corruzione e illegalità dilagante realizzata dal nostro governo: punire i corrotti e aggredire i patrimoni dei boss…con lo scudo fiscale. 

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