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A Latina si spara per uccidere

Di Antimo Turri il . Lazio

Lunedì 25 gennaio. Intorno alle otto di mattina, Carmine Ciarelli ha appena fatto colazione al bar vicino alla sua abitazione nella zona Pantanaccio di Latina. Una macchina si avvicina. Partono sette colpi di pistola, di cui cinque raggiungono Ciarelli all’addome, al polmone e all’inguine. La macchina fugge. L’uomo, in un lago di sangue, entra nel bar e chiede aiuto. L’ambulanza che arriva sul posto lo trasporta all’ospedale, dove viene operato. Tuttora le sue condizioni sono considerate serie. Carmine Ciarelli, già noto alle forze dell’ordine e alle cronache giudiziarie, è un esponente dell’omonimo clan, da anni stanziatosi a Latina. Secondo le relazioni della Dda di Roma e degli organi di polizia, questa nota famiglia è dedita principalmente all’usura e all’estorsione sul territorio pontino. Solo martedi 19 gennaio, il padre di Carmine, Antonio Ciarelli, viene arrestato dagli agenti della squadra mobile di Latina, con in tasca assegni datigli da una donna che lo aveva denunciato per estorsione. Ma, bisogna tornare ancora una volta al Processo Anni Novanta. All’interno delle centinaia di pagine contenenti le motivazioni della Corte d’Assise di Latina, a sostegno della condanna emessa a carico degli imputati del processo, emerge un atto intimidatorio posto in essere contro il clan Ciarelli.  Nel 1996, infatti, Antonio e Carmine Ciarelli denunciano uno dei referenti dei casalesi nel sud pontino. Per quale motivo? Perché i Ciarelli, abituati a perpetrare il ricatto e l’estorsione, stavolta la subiscono: per le loro attività criminose devono pagare, ai Casalesi del basso Lazio,  cinquanta milioni di lire al mese. La pena per il mancato pagamento della somma richiesta sarebbe l’uccisione di un figlio al giorno per i Ciarelli, che decidono di collaborare con i carabinieri di Latina.

Martedì  16 gennaio Latina continua la sua vita non dando il giusto peso agli accadimenti di questi giorni. Forse ci si è già dimenticati che nella notte tra il 10 e l’11 gennaio, un altro uomo già noto alle forze dell’ordine, Paolo Celani, viene quasi ucciso da tre colpi di pistola che lo raggiungono in pieno petto. Anche in questo caso, gli inquirenti dichiarano che chi ha aperto il fuoco voleva uccidere. Prove militari di quinta mafia.

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