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Estorsioni e usura nel Salento

Di Norma Ferrara il . Puglia

Due volte vittime.  Per pagare il pizzo nel salento, in provincia di Lecce, a Tricase, commercianti ed imprenditori erano stati costretti dai loro estorsori, a procurarsi il danaro da alcuni “cravattari” che imponevano tassi d’interesse fra il 120-150 per cento. Questa la vicenda venuta alla luce dopo alcuni mesi di indagine dai carabinieri del comando provinciale di Lecce, che hanno dato il via all’inchiesta a  seguito di una denuncia presentata da una delle vittime, nel settembre del 2008. 

A denunciare proprio un giovane commerciante di 28 anni di Tricase, titolare di una ditta di articoli per ufficio e scuola che, in una situazione di difficoltà economica, sin dal 2006 aveva accettato il prestito di 5 mila euro da uno degli arrestati. Il giovane era poi stato costretto a versare,  sino all’estinzione del debito, 500 euro mensili quali interessi, pari al 120 per cento annui. Condizioni queste, che non gli consetirono più di portare avanti l’attività, nè di restituire il capitale. Il  commerciante era dunque stato costretto a rivolgersi agli usurari, per negoziare alcuni assegni, che a loro volta fecero scattare nuovi prestiti a tassi usurai. Una catena quasi impossibile da spezzare, ogni giorno in più sul ritardo nel pagamento poteva portare ad un incremento di un tasso d’interesse pari al 25 per cento (900 euro all’anno).

In manette sono finiti stamani  Salvatore Peluso e Cosimo Orlando, di Tricase, e Antonio Protopapa, di Alessano, professione “buttafuori”. Contestata a tutti “l’appartenenza al Clan Padovano”. Per i tre l’accusa è di usura aggravata da metodi mafiosi e per Peluso anche quella di estorsione, per le minacce attuate nei confronti delle vittime, finalizzate ad ottenere ingiusti profitti dagli interessi usurari.

Vittima della consorteria criminale, inoltre, anche un impiegato di 57 anni che aveva avviato un’attività di ristorazione a conduzione familiare, a Santa Maria di Leuca. In un periodo di difficoltà economica e di spese eccessive, aveva chiesto 20milaeuro in prestito ad uno degli estorsori – usurai, all’epoca “buttafuori”,  proprio del locale gestito dalla vittima.  Dopo gli arresti l’uomo ha confermato di essere vittima dei tre e soggetto ad attività usurai ed estorsiva.

 Peluso, già condannato per mafia, ha commesso inoltre i reati con modalità operative mafiose, riferendosi  “stretti rapporti con il clan Padovano di Gallipoli” e imponendo così omertà e violenza alle vittime. Cosimo Orlando, invece, dovrà rispondere anche dell’accusa di detenzione e spaccio di stupefacenti per aver ceduto a terzi circa 20 grammi di hashish. Gli arrestati sono stati rinchiusi nel carcere di Lecce e saranno ascoltati nei prossimi giorni dall’autorità giudiziaria.

Intanto dalle indagini emergono altri nomi: almeno 4 imprenditori del sud salento, infatti, sarebbero state vittime del clan collegato ai Padovano.  Il provvedimento per gli indagati è stato emesso dal Gip  Brancato su richiesta del Procuratore Cataldo Motta e sostituto procuratore dott. Alessio Coccioli.

La Sacra Corona Unita è ufficialmente una mafia morta. Nel Salento però e in tutta la Puglia i clan si sono riorganizzati da tempo. Seguono in prima persona i commerci illegali che avvengono sulle coste pugliesi. Impongono racket e prestiti a prezzi usurai, con conseguente ingresso di capitali sporchi nell’economia della regione e condizionamento dell’attività imprenditoriale locale. Sono interlocutori quotidiani degli affari delle mafie straniere nello stivale.

Il 19 novembre scorso, sempre a Tricase, 19 persone sono state arrestate per detenzione armi da fuoco e traffico di sostanze stupefacenti. Cerfeda, Rizzo, Padovano, questi alcuni dei cognomi che nella provincia e nella città di Lecce si muovono sul territorio, all’interno di una pax mafiosa in via di definizione. Nel settembre del 2008 questa ricerca di equilibri è costata la vita al boss “reggente” , Salvatore Padovano. Un anno dopo la procura di Lecce ha emesso ben 38 ordinanze di custodia cautelare contro i boss delle cosche salentine, colpevoli di numerosi reati e protagonisti della “guerra di mafia” che,  fra il 1987 e il 2002, insanguinò il Salento. Gran parte dei boss era già in carcere al momento dell’arresto, per scontare altre pene connesse, ma l’operazione ha dato un importante colpo ai clan De Tommasi e Tornese, protagonisti della prima fase di faida, e poi all’interno dello stesso clan De Tommasi, al gruppo Toma-Cerfeda e quello Pellegrino-Presta-Vincenti.

Cosi il procuratore Cataldo Motta in quei giorni aveva commentato l’operazione Maciste e la mafia del Salento: “Gli affiliati alla Sacra corona unita hanno capito che non conviene usare violenza e allarmare la gente. Si sono abbandonate certe logiche di schieramento che hanno portato ai conflitti all’interno della stessa Sacra corona unita. C’è stato un periodo in cui si sono svolti affari tra gruppi una volta contrapposti, con un cambiamento radicale dell’atteggiamento, e adesso gli omicidi sono ridotti e gli affari continuano con una dimensione anche transnazionale”.

La Scu è dunque diversa,  rispetto al passato. Molte delle attività criminali sono portate avanti da affiliati esterni alla stessa e gli affari criminali nella provincia non sarebbero solo appannaggio di questi clan.  A Brindisi solo alcuni giorni fa il pm antimafia Milto Nozza è stato minacciato, attraverso un plico contentente alcuni bossoli, a lui indirizzati: segnale di un clima nettamente cambiato, nonostante un silenzio appartente.

Commercio di droga, affari illeciti e contrabbando, non sono le uniche attività connesse al sistema mafioso (seppure frammentato) locale. L’attenzione dei clan è rivolta anche agli appalti e alle aste giudiziarie ma si espande con una geografia economico – criminale ancora da decifrare.

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